martedì 7 febbraio 2012

Come non uscire da questa crisi

Guest post di Antonio Turiel, Traduzione di Massimiliano Rupalti



Immagine dal blog di Stephen Rees, http://http://stephenrees.wordpress.com


Come non uscire da questa crisi

di Antonio Turiel

Cari lettori,

alcuni giorni fa ho avuto l'onore di partecipare ad un evento organizzato dal Comune di Figueres. Si trattava di una tavola rotonda sul cambiamento climatico ed il protocollo che devono avere i comuni per affrontarlo. Mi ha invitato l'assessore all'Ambiente locale, il quale, di sicuro, non è per niente in linea con il post che ho dedicato al tetto fotovoltaico installato in una piazza centrale della nostra città (mi ha spiegato i suoi motivi ed anche se non li condivido pienamente, almeno ora posso capire le ragioni che sono state addotte per giustificarlo). Nonostante questa, diciamo, lettera di accompagnamento non molto apprezzata, l'assessore, che mi aveva già sentito parlare in un altra occasione, ha voluto che fossi presente in questa occasione – imparzialità che gli fa onore.

Senza entrare nei dettagli, la tavola rotonda stava procedendo verso percorsi sempre più cupi: prima un imprenditore del settore delle energie rinnovabili “di prossimità”, realista e ponderato, ha descritto i vantaggi e gli inconvenienti (e gli innumerevoli ostacoli) della sua attività; poi è toccato a me fare una rapida panoramica della crisi energetica globale, delle sue connessioni con la crisi economica e su come la via d'uscita che tenteremo di percorrere assurdamente ci porterà ad aggravare il problema del cambiamento climatico (tema che al quale ci siamo già approcciati in un post) senza cambiare significativamente il corso generale degli eventi, se non di peggiorarlo. Per ultimo ha parlato il Direttore del Consiglio consultivo per lo sviluppo sostenibile (CADS) della Generalitat de Catalunya, che avevo conosciuto l'ultimo giorno che sono stato a Radio Catalunya (ma questa è un'altra storia), che mi ha sorpreso facendo un discorso abbastanza nero e deprimente sul futuro che ci aspetta. Con una leggera venatura di speranza nel finale, ma essa stessa con tono dimesso.

Dopo l'evento stavamo con diversi partecipanti, alcuni di loro con responsabilità politiche, bevendo qualcosa (in modo molto frugale, l'austerità sta permeando l'amministrazione) ed ho osservato qualcosa che noto da qualche tempo: un certo fatalismo alla
Mad Max (come amano dire alcuni lettori per descrivere visioni apocalittiche). Così, qualcuno diceva che l'essere umano è condannato all'estinzione, mentre qualcun altro sosteneva la rivoluzione sanguinosa era il capitolo successivo della nostra storia. E lo dicevano così, tranquillamente, come se la cosa non gli appartenesse, come se non fossero loro ed i loro famigliari ad essere passati per le armi. Il più moderato diceva che apprendiamo solo a forza di schiaffoni e che ci sarà una reazione solo quando ci beccheremo il primo forte (il che, disgraziatamente, è abbastanza sicuro: quello sì, bisogna vedere se poi riusciamo a rimetterci in piedi).

Ciò che preoccupa di questa dose di sur-realismo, che a poco a poco si sta insinuando nella nostra classe politica (coloro che hanno un contatto più ravvicinato con chi è amministrato, temo), è che tanto fatidico è per il nostro futuro l'eccesso di trionfalismo e la fiducia (il “non far nulla” col quale si sono superate le crisi in Spagna) quanto lo è il disfattismo assoluto e l'inazione. E sta lì il cuore della questione che vorrei discutere oggi, cioè vedere quali misure ed atteggiamenti non ci permettono di uscire dalla crisi e che, anzi, la peggiorano.

Mettiamo in chiaro una cosa ovvia per il lettore assiduo di questo blog. Come abbiamo ripetuto,
questa crisi economica non finirà mai, perlomeno non all'interno del nostro paradigma economico. L'ovvio corollario e che quindi dobbiamo cambiare il nostro sistema economico e perciò anche quello finanziario. Che non ci sia soluzione entro questo paradigma, vale la pena insistere su questo, non vuol dire che non ci sia soluzione abbandonando il paradigma, ed abbiamo già parlato qui di alcuni modi ragionevoli per affrontare questa uscita per la tangente. Ma una tale pretesa viene considerata tanto pazzesca e massimalista da non risultare accettabile. Pertanto si parla e si parla di riformare il sistema politico quando quello che fallisce e manda tutto in cancrena è quello economico. Ciò porta una serie di attitudini dissonanti caratteristiche dei nostri rappresentanti e dei loro cittadini, che in realtà tendono a peggiorare la situazione per il fatto di non capire cosa stia succedendo. Cioè:


  • Inazione nell'attesa del Deus ex Machina: Questa è la pratica più consueta in Spagna negli ultimi decenni. Consiste nell'aspettare che i paesi ricchi d'Europa (Germania, Francia, Inghilterra e i paesi nordici) escano dalla crisi e, con l'afflusso di turisti ed investimenti, ci tolgano dal marasma. Di sicuro questa è stata la scommessa inconfessabile anche del governo precedente, durante i primi anni di questa crisi. Ma a questo livello, con un 22,3% di disoccupazione, con la disoccupazione giovanile al 40% ed essendo più del 50% degli impiegati “mileuristas” (milleuristi, che guadagnano 1.000 euro al mese, ndT), nessun governo si può permettere il lusso di incrociare le braccia e sedersi di fronte alla propria porta ed aspettare. E' che i paesi ricchi non riescono a riprendere il volo e tutto sembra suggerire che torneranno in recessione (nella nuova recessione).
  • Legiferare molto, soprattutto in campo fiscale: Questa è la corrente che ha dominato l'ultima fase del governo precedente e che domina la prima parte del governo attuale. Siccome non si può non fare niente, facciamo molto, e siccome non sappiamo cosa fare, andiamo ad agire sui meccanismi più diretti e che conosciamo meglio. Se c'è contrazione dell'economia, andiamo a stimolare l'investimento diminuendo l'esazione agli imprenditori con diminuzione delle tasse o riducendo i loro costi, soprattutto rendendo più facile il licenziamento e le misure per ridurre gli stipendi – con relativa distruzione del contratto collettivo – nel contesto della cosiddetta riforma del lavoro (che in realtà è una revoca della legislazione del lavoro vigente). Siccome dall'altra parte c'è uno squilibrio fiscale importante (frutto della rapida e non prevista riduzione delle entrate per la caduta stessa dell'attività economica), vengono aumentate le tasse alle classi medie e basse, che sia per via diretta o indiretta. Il problema di tale modo di agire è che inibisce il consumo, in parte per la perdita di reddito della massa di consumatori e in parte per la sensazione crescente di insicurezza e tendenza a risparmiare “per tempi peggiori”, il che ha un impatto negativo sulle imprese che si alimentano del mercato interno. Per un po' si è parzialmente compensato questo effetto negativo grazie alle imprese che si alimentano del mercato estero, delle esportazioni, ma adesso che anche la Cina ed il Brasile mostrano un rallentamento economico (quando non vera e propria recessione) la caduta degli introiti delle imprese è evidente e pertanto la crisi si aggrava; meno imprese, meno introiti per lo Stato, maggiori problemi per far quadrare i conti – maggior deficit – ecc, in una spirale di autodistruzione.
  • Disfattismo ed abbandono: Alcuni nostri rappresentanti, che cominciano ad interiorizzare che da questa crisi non si esce senza saperne il perché, stanno cominciando ad abbassare le difese ed a lasciarsi andare, ma non confidando nel fatto che la cosa si autoregoli, ma desiderando che non si danneggi molto di più. In alto ogni giorno ricevono più biasimo e disprezzo da parte dei cittadini, sempre più sopraffatti da una crisi che minaccia di far precipitare quasi il 50% degli europei un tempo ricchi, nella povertà e nell'esclusione (cosa che è stata anche discussa con una certa profondità in questo blog). Tutto ciò rende i nostri politici un po' cinici e scettici, oltre che leggermente amareggiati, poiché in molti casi si mettono con l'intento di cambiare le cose ed invece le cose cambiano loro. Questo abbandono è un atteggiamento umano ma infantile ed è inaccettabile in chi deve fare da riferimento e guida ai propri cittadini in questi tempi difficili.
  • Tentare di risolvere la crisi con misure di risparmio energetico: Altri identificano giustamente che c'è un problema di energia, ma saltano la connessione energia-economía (come se fossero due aspetti differenziati ed indipendenti) e credono che ciò che si deve fare è spingere sul risparmio e l'efficienza energetica, oltre alla ricerca sull'energia rinnovabile. Non tengono conto che tutto ciò che uno risparmia lo consumerà un altro, perché il sistema economico cerca di massimizzare l'output (la produzione, di quello che sia, beni o servizi) e che pertanto il nostro sistema economico è programmato per lo spreco, non potendo funzionare efficientemente in altro modo. L'efficienza energetica, un altro dei luoghi comuni della proposta di azione politica, non è sempre ottenibile: a volte guardiamo solo ad una parte del ciclo di vita di un prodotto – per esempio l'uso di lampadine efficienti – senza tenere conto che la spesa energetica totale – per esempio maggior costo energetico di fabbricazione nell'utilizzare materiali rari, difficili da processare, importati da molto lontano ed il cui riciclaggio è costoso. Anche nei casi in cui si ottenga una maggior efficienza, in un'economia di libero mercato tale guadagno di efficienza implica un maggiore costo energetico e non minore (è detto il paradosso di Jevons, che Quim ha discusso in dettaglio in un post). In alcuni casi, quando ho segnalato questo problema con l'efficienza, i gestori giustamente hanno sottolineato la necessità di regolare il consumo di risorse, ma senza rendersi conto che l'attuazione di una restrizione legislativa tale è incompatibile con un sistema di libero mercato e che può dar luogo a molti problemi indesiderabili. Per ultimo, riguardo all'incentivazione della ricerca sulle energie rinnovabili, non è meno curiosa tale affermazione, come se non avessimo già investito e ricercato per decenni in tali fonti, come se siccome adesso ne abbiamo bisogno otterremo quello che vogliamo (e questo senza parlare dei limiti di massimo potenziale e di altro tipo che hanno). Ma ciò che mi allarma di più è che la gente che mi sente parlare di crisi energetica ed è consapevole, tende ad incidere sul risparmio energetico e non si rende conto che il suo problema non è energetico, in primo luogo, ma economico. Che differenza fa risparmiare energia (che alla fine consumerà qualcun altro) se il suo problema è che non ha capitale per pagarsi i suoi progetti, per il mantenimento dell'infrastruttura, per preservare l'impiego, per dar da mangiare alla gente... La crisi energetica è solo il sintomo, il problema è più grave e profondo e non è altro che l'insostenibilità di tale sistema economico e produttivo (e quindi finanziario) e per come è impostato. Tentare di agire sulla crisi energetica, il sintomo, è come pretendere di curare un cancro con l'aspirina solo perché al paziente fa male la testa.
  • Eccesso di garantismo: L'altro giorno, giustamente, quando ho cominciato a parlare più seriamente di questi temi ed i miei interlocutori erano disposti ad andare un po' più in là, è sorta una questione che credo a lungo termine sarà una questione chiave: la necessità, in certi momenti, di saltare come un torero la legislazione vigente. Non sto parlando, naturalmente, di trasgredire la legislazione penale né nessun'altra che influisca sulla salute ed il benessere delle persone, ma meramente di quelle amministrative, emerse da un ambiente di ampie risorse dove l'attività è più controllata e regolata e la parsimonia è la norma, il che può essere letale quando il tuo obbiettivo è assicurare cibo alla gente. Non ho potuto sviluppare il mio argomento perché i miei interlocutori si sono allarmati alla mia affermazione iniziale, posto che l'Amministrazione non deve violentare le norme (nonostante che lo faccia molto di frequente ed in materie penalmente più gravi). Tuttavia, penso a cose molto più semplici e banali. Per esempio, è certo che la normativa del Comune X non permette di avere un orto in un terreno abbandonato se non si soddisfano le procedure Y e Z. Bene, si tratta semplicemente di “chiudere un occhio” su questa normativa o anche di revocarla, se così risolviamo un problema più grande, anche se la città diventa un po' meno chic (per esempio nella mia città è proibito stendere il bucato se questo si vede dalla strada e quindi chi ha solo un balcone deve comprarsi un'asciugatrice se vuole evitare di pagare multe in continuazione). Insomma, che risulta conveniente avere un po' di margine per potersi adattare ad una situazione che ancora oggi suona come inimmaginabile e da pazzi, ma che fra non molto sarà il nostro pane quotidiano (che ci daranno ogni giorno).
  • Volontariato male inteso: L'altro giorno la nuova sindaca di Madrid ha fatto un appello perché i cittadini si facessero carico dei servizi in modo volontario (sembra incredibile, ma la notizia è vera). Il che è anche buono, perché uno degli elementi chiave della transizione è il sostegno della comunità. Ciò che dimostra che la signora sindaca non ha capito la sostanza della situazione è la sua affermazione: “mi piacerebbe che per questi spazi pubblici, centri culturali e polisportivi che abbiamo costruito e per i quali non possiamo fare fronte a tutte le le necessità che hanno a causa della crisi, i cittadini di Madrid si coinvolgessero per renderli redditizi". Il grassetto sta nella notizia originale ed è molto opportuno, perché lì sta la chiave dell'errore della signora sindaca, o del subconscio che l'ha tradita facendole dire quello che avrebbe dovuto tacere, ed è che la sua motivazione è la redditività, non il servizio. E 'chiaro che la strada da seguire è quella del coinvolgimento dei cittadini, di fronte a istituzioni che falliscono, anche se per cose più importanti che mantenere un centro polisportivo (il cui mantenimento, come accade sempre in Spagna, non viene considerato come spesa corrente del contraente). Succede che se gli amministrati assumono il ruolo degli amministratori, perché vogliono un'amministrazione? La socializzazione della gestione comporta la perdita di senso del Comune. Anche se molti Comuni potrebbero fallire e siano quindi questi municipi ufficiosi e volontari che esercitano il potere locale reale. In ogni caso questo tipo di “soluzione” non solo non risolve il problema, ma ne crea uno nuovo: quello dell'eliminazione dell'amministrazione locale in via di fatto (il che ricorda la terza frase del “collasso).
Insomma, una collezione curiosa di cattive pratiche per gestire una situazione inedita, quando più che mai c'è la necessità di chiarezza di idee e fermezza d'azione. Ma per la quale, probabilmente, il popolo stesso deve avere le idee chiare e la prima cose è, insisto, capire ciò che sta accadendo (ecco un testo semplice per coloro che ancora non lo capiscono) e di fronte a questo agire da adulti, non da bambini. Ora, tornate a leggere le proposte che abbiamo fatto a suo tempo e fermatevi a pensare se in realtà non sono molto più pratiche di ciò che si sta facendo.

Saluti,
AMT


Traduzione da "The Oil Crash" a cura di Massimiliano Rupalti