domenica 16 giugno 2013

Il grande errore dei biocombustibili

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR



Di Antonio Turiel

Cari lettori,

già da un paio di decenni nella maggior parte dei paesi occidentali è obbligatorio per legge che una parte di ciò che viene distribuito dalle pompe delle stazioni di servizio sia quello che la legge denomina biocombustibile. Per biocombustibile si intende un liquido di origine vegetale che può supplire, almeno parzialmente, ai carburanti convenzionali di origine fossile. La percentuale della miscela che deve essere biocombustibile conforme dal punto di vista legale, oscilla dal 7%, come obbliga l'Unione Europea, al 15% vigente in molti stati degli USA. 

Perché è stato introdotto quest'obbligo di miscelare i carburanti di origine fossile un un surrogato povero, con minore potere energetico e che, come vedremo, porta molti problemi? C'è stata, a suo tempo, una motivazione principale: diminuire la dipendenza dall'esterno. L'idea che avevano i legislatori era che i nostri agricoltori occidentali avrebbero coltivato il nostro combustibile. Tuttavia, come mostrano numerosi studi, il ritorno energetico (EROEI) della maggior parte dei biocombustibili è talmente basso che in realtà quello di “coltivare la nostra energia” è un affare disastroso. Tanto disastroso che finora l'aggiunta di biocombustibili era sovvenzionata dagli Stati, nella speranza che la tecnologia si sviluppasse sufficientemente da far aumentare la redditività energetica e con essa la redditività economica e che alla fine ne sarebbe valsa la pena. 

Tuttavia, quello che è successo nella pratica è che, al calore della normativa che da un lato obbliga l'aggiunta di biocombustibili e che dall'altro li sovvenziona, è nata una grande industria su scala globale, destinata alla coltivazione su grande scala di diverse piante per la produzione di biocombustibile. Di sicuro conviene chiarire che il nome più corretto per queste sostanze è agrocombustibili, visto che il prefisso “bio” potrebbe dar da intendere che siano prodotti naturali e tutto sommato rispettosi dell'ambiente e/o della biodiversità, mentre in realtà si tratta di prodotti derivati dall'attività su grande scale del settore alimentare e coltivati a livello industriale. E giustamente, a causa dell'uso delle tecniche di grande scala necessarie per coprire una tale mole di domanda, questo è il motivo per cui l'EROEI è così basso: per produrre i 2 milioni di barili giornalieri di “biocombustibili” (agrocombustibili in realtà, insisto) che si producono oggigiorno nel mondo, si utilizza una quantità enorme di fertilizzanti, pesticidi, trattori, mietitrebbie e diverse macchine di macchina per la lavorazione, con grandi input di energia. Un vero e proprio spreco energetico, ma che fino ad ora poteva essere marginalmente redditizio – con le sovvenzioni – visto che finora l'energia era a buon mercato. 

Come abbiamo frequentemente denunciato, la produzione di agrocombustibili è in competizione con gli usi alimentari, portando a situazioni aberranti. Per esempio, nel 2011 gli Stati Uniti hanno dirottato il 43% della produzione di mais verso il bioetanolo – con un EROEI di 1 (!!) - mentre a livello mondiale il 6,5% dei cereali e l'8% degli oli vegetali sono stati destinati ai biocombustibili (come spiega il ricercatore Tim Searchinger). L'Argentina ora coltiva grandi quantità di soia destinata all'esportazione e alla produzione di biodiesel (e con un EROEI che non arriva a 2), la produzione di bioetanolo da canna da zucchero del Brasile è solo marginalmente redditizia e l'unica grande coltivazione davvero redditizia su scala globale è quella dell'olio di palma proveniente dall'Indonesia e dalla Malesia (anche se è difficile che possa continuare a lungo termine, visto che le pratiche di coltivazione utilizzate non sono affatto sostenibili). E nel frattempo, grazie al fatto che vengono dirottati questi alimenti per sfamare le macchine dei ricchi, i poveri muoiono di fame.

E se questo fosse poco, l'introduzione di agrocombustibili genera problemi nuovi, a volte di particolare gravità. Per esempio, l'etanolo di origine vegetale è corrosivo (come in realtà lo solo la maggior parte dei composti derivati dal petrolio), il che obbliga ad introdurre più inibitori della corrosione. Dall'altra parte, il biodiesel non equivale perfettamente al petrodiesel, la sua molecola è polare e più igroscopica, per cui può accumulare acqua con più facilità. Quest'acqua diminuisce il potere combustibile della miscela, ma in più genera un problema anche peggiore: in questa interfaccia troppo spesso proliferano colonie di batteri ed altri microorganismi che generano una gelatina che può produrre ostruzione nel motore e che se arriva agli iniettori possono causare una grave avaria. Per evitare reclami, i proprietari delle stazioni di servizio fanno trattamenti periodici dei propri depositi con biocidi, che sono essenzialmente antibiotici – non negherete questa è una grande, grande ironia: togliendo il cibo agli uomini per darlo alle macchine abbiamo ottenuto che le macchine soffrono di malattie da uomini. Aggiungete a ciò che alcuni biodiesel, come l'olio di palma, hanno punti di fusione abbastanza alti, per cui a temperature moderatamente basse solidificano e causano problemi simili – il che obbliga la grande distribuzione di carburante a tenere un occhio sulle previsioni meteorologiche a vari giorni, al fine di decidere la miscela (e, se avete una macchina diesel, non stupitevi se in giorni repentinamente freddi la macchina abbia dei considerevoli cali di potenza). 

Tutti questi problemi, insomma, presuppongono un incremento notevole dei costi aggiunti. A volte, per evitare l'escalation dei costi, alcuni controlli indispensabili con l'attuale complessità dei carburanti (controlli sulla contaminazione batterica nelle botti del combustibile e sulla separazione degli elementi della miscela) semplicemente non si fanno, con conseguenze a volte fatali. Per aggravare la situazione, il governo spagnolo ha recentemente ritirato la sovvenzione ai biocombustibili ma ha mantenuto l'obbligatorietà di avere il 7% nella miscela finale. Insomma, tutti questi problemi si convertono in maggiori costi che in genere sono sostenuti dall'ultimo anello della catena di distribuzione, le stazioni di servizio, che in un contesto di domanda decrescente e costi crescenti possono vedersi condannate alla chiusura (come sta accadendo a molte in Spagna e probabilmente in altri paesi dell'OCSE).

C'è qualche buona prospettiva tecnica riguardo ai biocombustibili che giustifichino gli attuali svantaggi? In realtà no. Un recente e molto esteso studio sui biocombustibili realizzato dall'esercito degli Stati Uniti mostra che non solo gli attuali biocombustibili sono un controsenso energetico, ma che persino i previsti biocombustibili di seconda generazione (che proverrebbero dalla frazione di cellulosa dei vegetali e delle alche marine) avranno sempre un EROEI molto basso. 

Ma i biocombustibili hanno vantaggi di tipo politico:

- Servono a convertire il gas naturale in qualcosa di simile al petrolio. Effettivamente, la maggior parte del consumo di energia nelle coltivazioni industriali si deve all'uso di fertilizzanti, i quali consumano grandi quantità di gas naturale. Con questa strategia possiamo ovviare parzialmente alla mancanza di petrolio (che, ricordiamo, è avviato al suo tramonto). Ma questa strategia non è esente dal problema, al contrario. Da un lato, la produzione massima di agrocombustibili è molto limitata, tenendo conto del fabbisogno di terre coltivabili, acqua e fertilizzanti. E' difficile che arrivi mai ai 4 milioni di barili giornalieri (Mb/g, di fronte ai 90 Mb/g di tutti i liquidi del petrolio che si consumano in tutto il mondo proprio ora). Dall'altro lato, il picco del gas è dietro l'angolo (anche tenendo conto della truffa del gas di scisto estratto con la tecnica del fracking – truffa che abbiamo già segnalato due anni e mezzo fa su questo blog). 

- Aiutano a mantenere l'illusione che non sta succedendo niente. Effettivamente, grazie a questi 2 Mb/g che forniscono ad oggi possiamo, da una parte, trasferire l'energia del gas all'energia assimilata al petrolio e, dall'altra parte, nelle statistiche di produzione del petrolio contiamo due volte una certa quantità (perché contiamo il petrolio che va ai trattori, alle mietitrebbie, ecc. e dopo i barili di agrocombustibili prodotti, anche se sappiamo già che l'EROEI è praticamente di 1 in molti casi, cioè, l'energia consumata per la produzione degli agrocombustibili è più o meno la stessa che ci forniscono). E, nella misura in cui aumentiamo la produzione di agrocombustibili, potremo mostrare una maggiore quantità di barili giornalieri prodotti, anche se in realtà l'energia che forniscono è la stessa o inferiore a quella consumata. Così l'energia netta che arriva alla società è in realtà la stessa o inferiore. Questo sì, può mascherare le statistiche di produzione di petrolio, ma aumentando la produzione di agrocombustibili aggraviamo il problema della fame nel mondo. 

- Sono una parte importante delle esagerazioni e dei miti sul futuro della produzione di petrolio degli Stati Uniti. Lo analizzeremo più in dettaglio nel prossimo post. Basti dire qui che gli agrocombustibili sono una percentuale apprezzabile di ciò che si suppone farà aumentare la produzione di tutti i liquidi del petrolio degli Stati Uniti (presupponendo anche che i problemi di produzione agricola non si aggravino, il che è dubitabile). La cosa più divertente è che si pretende di far credere che la base del futuro energetico presumibilmente brillante degli Stati Uniti sono i petroli di scisto, quando questi scenari presuppongono che gli agrocombustibili avranno una produzione maggiore. Cosa succede qui? Che si devono mantenere le aspettative sul petrolio da fracking e sperare che la bolla non scoppi.  

Se ci pensate, le tre motivazioni evidenziate qui sopra sono completamente false e miopi  e in nessun modo rispondono alle ragioni che a suo tempo hanno portato alla piantagione obbligata degli agrocombustibili. Perché, allora, si mantiene una strategia sbagliata? Perché non si fa una rivalutazione degli obbiettivi comparata coi dati reali? Finché non si fa questo, andremo a mettere sotto pressione un altro settore, questo già molto compromesso, aumentando il rischio di collasso repentino e sistemico

Saluti.
AMT