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domenica 27 marzo 2022

L'impennata di mortalità del 2015. Cosa ci insegna a proposito del Covid?

 

Di certe cose, già si parlava anni fa. L'impennata di mortalità attribuita al Covid non è stata la prima osservata in Italia. Già nel 2015, c'era stato un notevole "picco di mortalità." Meno intenso di quello del 2020, ma paragonabile. Tuttavia, era passato quasi completamente inosservato. 

Nell'articolo che vi riproduco più sotto, pubblicato su questo blog, commentavo sull'impennata del 2015, attribuendola in parte all'ondata di calore dell'estate di quell'anno, ma anche al degrado del sistema sanitario e all'invecchiamento della popolazione. Ero stato anche abbastanza profetico a dire che non sarebbe stata l'ultima volta -- ma era una facile profezia! Certamente, non mi aspettavo quello che sarebbe successo nel 2020!


Italia 2015: l'impennata nel tasso di mortalità mostra che la crescita economica non è la soluzione a tutti i problemi.



Ha destato un certo interesse sulla stampa un articolo di Giancarlo Blangiardo apparso su "Neodemos" il 22 Dicembre 2015. intitolato, "68 mila morti in più nel 2015." Molti hanno trovato la cosa sorprendente e lo stesso Blangiardo specula che possa essere dovuto al degrado delle strutture sanitarie dovuto alla carenza di risorse.

L'articolo di Blangiardo è basato sui dati riportati nella figura qui sopra (presa dall'articolo stesso). Come si vede, i dati sono ancora incerti ma, nel complesso, la tendenza è abbastanza chiara.

In particolare, il picco delle morti a Luglio, potrebbe essere correlato all'ondata di calore di questa estate, molto più calda di quella dell'anno precedente. Che le ondate di calore abbiano un effetto negativo sulla salute, specialmente degli anziani, è ben noto, e su questo non ci sarebbe niente di sorprendente. Lo stesso Blangiardo nota come l'aumentata mortalità sia associata alla fascia più anziana della popolazione

Ma come si inserisce questo risultato nelle tendenze un po' più a lungo termine? Ho trovato questi dati da "Index Mundi," a loro volta basati sul "factbook" della CIA.
 

La prima cosa che si nota in questo grafico è il crollo del tasso di mortalità nel 2011. Non c'è stato nessun evento particolare che lo possa giustificare, per cui credo che sia soltanto un artifatto dovuto al censimento del 2011 che ha causato un aggiustamento dei dati. In pratica, il tasso di mortalità è stato in continuo aumento dal 2000 al 2012, di circa l' 1% -2% all'anno.  Questo è in gran parte un risultato naturale dell'invecchiamento della popolazione.

Ne consegue che l'aumento di circa l'11% nella mortalità nel 2015, riportato da Blangiardo, è effettivamente un'impennata sorprendente; messo sul grafico, il dato va quasi fuori scala. E' un risultato che va preso con cautela, essendo i dati ancora provvisori. Ma certamente è una cosa preoccupante che va ben oltre a un semplice effetto del graduale invecchiamento della popolazione.

Ci sono vari fattori che potrebbero essere in gioco ma, sicuramente, l'impoverimento della popolazione italiana e uno di essi, con il correlato degrado delle strutture sanitarie. Poi, la calura estiva, e forse anche l'inquinamento in crescita, hanno messo qualcosa in più. E, come ultimo fattore, anche l'invecchiamento generale della popolazione. Il risultato è quello che vediamo. E probabile che non sarà l'ultimo di questi picchi di mortalità. 

Insomma, situazione difficile in Italia e, a questo punto, la retorica del governo sul "meglio che sta arrivando" rischia di fare ulteriori danni. Questo per non parlare dello slogan di qualche anno fa "viva l'Italia viva" che, visto in luce degli ultimi dati sulla mortalità, suona decisamente male.

Tutto il cosiddetto "meglio" che arriva dovrebbe essere il risultato della crescita economica; cercata atutti i costi senza troppo preoccuparsi dell'effetto sul clima e sull'inquinamento. Quest'anno, qualche risultato in termini di crescita (forse) si è visto, ma se è stato ottenuto a spese della salute dei cittadini, non ne valeva certamente la pena

mercoledì 24 febbraio 2016

Espulsi dal Paese dei Balocchi. Il destino degli anziani nel mondo post-picco



Di Jacopo Simonetta.

“L’86 per cento dei decessi è provocato da malattie croniche, che colpiscono più dell’80 per cento
delle persone oltre i 65 anni. Una vera piaga, che costa alla sanità 700 miliardi di euro all'anno”
Questa frase, letta in un articolino di agenzia, mi ha molto colpito perché solo una cinquantina di anni fa questi stessi dati si sarebbero letti più o meno in questo senso: “L’86% della gente muore di vecchiaia. “  
Sarebbe stato considerato un bel progresso e ci si sarebbe preoccupati di quel 14% di persone che muoiono giovani o quasi.    Che cosa è cambiato?

Per cominciare è aumentata la vita media che, in Italia, in questi 50 anni è passata da circa 65 a quasi 85 anni.   Questo ha cambiato la nostra prospettiva.   Quando ero bambino, un settantenne veniva complimentato per la sua veneranda età, mentre oggi si dice che “è ancora giovane” e si pretende che lavori e produca come quando di anni ne aveva 40.

Questo ci porta alla seconda considerazione.  

Sicuramente l’aumento della vita media è dovuto all’aumento del benessere, ma in modo un po’ diverso a seconda delle classi di età.   Nel bambini, infatti, la drastica riduzione della mortalità è dipesa sia da una migliore alimentazione media che, soprattutto, dalle campagne di vaccinazione di massa.   Per i vecchi i fattori principali sono invece stati il pensionamento ad un’età attorno ai 60 anni ed il miglioramento delle cure per le malattie croniche, da cui siamo partiti.  

Questo ha però provocato un’esplosione dei costi sanitari e sociali che, malgrado le ristrettezze di bilancio, continuano a crescere.    In media, il costo sanitario di ognuno di noi cresce esponenzialmente dopo i 50 anni, il che è semplicemente naturale.   A 50 anni il fisico comincia infatti a deperire e gli effetti dei fattori avversi ad accumularsi.   La spesa sanitaria nell’ultimo anno di vita di ognuno di noi costa alla società praticamente quanto tutta la sua vita precedente.

Costi che necessariamente ricadono sui giovani sotto varie forme, principalmente una  pressione fiscale crescente.   Né il tentativo di tamponare la spesa sociale alzando l’età pensionabile ha dato buoni risultati poiché riduce drasticamente le opportunità di impiego dei giovani.

Ma proprio la crescente età media dell’elettorato preclude qualunque cambiamento di rotta.   La politica non va solo per classi sociali, ma anche per classi di età e non è un caso se, in tutta Europa, oggi circa il 40% della spesa sociale è per gli anziani e poco più del 2% per i giovani.   In Italia, pensioni e sanità assorbono  quasi il 45% del bilancio statale, contro un 9% all’istruzione, uno scarso 10% alla manutenzione delle infrastrutture vitali e poco più del 3% alla difesa.   Nient’altro che la nostra imprevidenza ha creato una situazione in cui gli anziani, volenti o nolenti, sono diventati un peso anziché un sostegno per i giovani.

Nei prossimi decenni le cose andranno rapidamente peggio per il convergere di tre fattori avversi.

  Il primo è il giungere “in dirittura d’arrivo” dei “baby boomers”.    Tra una ventina di anni la maggior parte della popolazione sarà composta da vecchi, né l’immigrazione o una fiammata di natalità potrebbero mitigare la situazione.   Aumentare i bambine ed i giovani di oggi significa semplicemente aumentare i vecchi di domani, con l’unico risultato di gonfiare ulteriormente la bolla demografica e di farla esplodere in condizioni ancora peggiori.   Insomma sarebbe il classico saltare dalla padella nella brace.

Il secondo fattore è la decrescita di parecchie economie, fra cui quelle dei paesi cosiddetti avanzati.   Non possiamo prevedere i modi ed i tempi con cui questo avverrà, ma che il declino economico in corso sia reversibile non ci crede più nessuno.   Nemmeno le roccaforti del BAU, come l’FMI e la World Bank che parlano eufemisticamente di “stagnazione secolare”.   Dunque, con perfetto contrappasso, l’onda dei nati nel periodo di massima crescita economica morirà povera.   E con chi viene non condivideremo benessere.

Il terzo fattore è il peggioramento delle condizioni ambientali come la circolazione di sostanze tossiche, il clima, le tensioni sociali ed i livelli di stress psicologico.   Forse ancora più importante è il fatto che i vecchi attuali hanno cominciato ad esser esposti a molti di questi fattori avversi in età già avanzata, al contrario delle generazioni successive.   Con quali effetti  sanitari è ancora presto per dirlo.

In molti paesi europei (fra cui l’Italia),  nel 2015 si è verificata la prima molto modesta  riduzione dell’aspettativa di vita dalla fine della guerra mondiale.   Solo fra alcuni anni sapremo se si è trattato di un incidente o di un’inversione di tendenza, ma poco importa perché comunque la tendenza si invertirà .   Tanto vale farsene una ragione ed organizzarsi di conseguenza.

Da una parte, dire a qualcuno che per tutta la vita ha lavorato e pagato “non c’è niente per te” è un evidente tradimento.   Dall’altra coloro che oggi hanno dai 50 anni in su si sono goduti i gli anni migliori dell’intera storia dell’umanità; una festa che non è stata per tutti e che non tornerà mai più per nessuno.    Ed ora che abbiamo finito di mangiare la mela, ci troviamo a contenderci il torsolo coi nostri stessi figli.
Volenti o nolenti, saremo costretti a tagliare servizi e pensioni in misura molto più drastica di quanto non si sia fatto finora.   Eliminare le evidenti sacche di sfacciato privilegio in questo campo sarebbe di vitale importanza politica, ma non cambierebbe gran che sotto il profilo strettamente economico.    Dunque quali scenari possiamo prospettare?    Ci sono società in cui gli anziani vengono soppressi o abbandonati negli interstizi delle megalopoli, dove sopravvivono finché possono e come possono, ma io credo che potremmo evitarlo.   A condizione naturalmente di piantarla di fingere che in futuro le cose andranno come ora o perfino meglio.   Ed a condizione di smettere di considerare “normali” degli standard di vita che, nella storia, non si sono mai visti.  La prima cosa da capire è che non è strano quello che sta accadendo.   Molto strano è quello che è accaduto fra il 1950 ed il 2000; ora stiamo tornando alla normalità.

Negarlo od ignorarlo vale solo ad impattare contro la realtà nel modo più duro possibile.   Viceversa, ammetterlo può essere deprimente, ma apre anche delle possibilità per mitigare questo impatto.    Per fare un esempio,  l’Italia è punteggiata di caserme abbandonate, spesso in città.   Invece di cederle alla speculazione edilizia, con poca spesa vi si potrebbero organizzare degli ospizi e delle mense gratuite o quasi, da fare gestire direttamente da chi ne usufruisce.  

 Certo vitto ed alloggio sarebbero frugali, ma poco è infinitamente meglio di niente.

Non pretendo che questa sia necessariamente una buona idea.   Ciò di cui sono però sicuro è che fare finta di niente per 50 anni non ha portato buoni risultati.   Continuare per altri 20 condurrà milioni di persone al disastro.  

Pinocchio pagò caro il soggiorno nel Paese dei Balocchi.   Già con le orecchi d’asino in testa,  preferì giocare ancora un poco.    Il risultato lo sappiamo e se lui se la cavò fu solo perché era di legno e perché era il protagonista del romanzo.   Noi siamo di carne e siamo tutti personaggi di contorno, esattamente come Lucignolo.

L'unica cosa sensata che possiamo fare è buon viso a cattivo gioco ed organizzarci perché questa bufera passi il meno peggio possibile.   Cercare di contrastarla farebbe solo peggio.