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venerdì 16 dicembre 2016

Ma Grillo ha veramente capito tutto sull'energia?




A qualche giorno di distanza dalla pubblicazione del mio post "Grillo ha capito tutto" sull'energia, posso provare a fare il punto sulle reazioni che ho ricevuto. E, devo dire, sono piacevolmente sopreso.

Senza pretendere di avere dati statistici, ci sono stati tantissimi commenti favorevoli e anche quelli contrari sono stati quasi sempre educati (anche su "ComeDonChisciotte", il che è tutto dire!). C'è stato, è vero il solito gruppetto dei complottisti, sciachimisti, fusofreddisti, ecc. che sono intervenuti ma, devo dire, con una certa moderazione nel tono delle loro esternazioni. Un bel risultato in un epoca in cui sembra molto difficile discutere con qualcuno con cui non sei d'accordo senza insultare i suoi parenti stretti.

A parte quelli che sono d'accordo con me, credo che le critiche che ho ricevuto meritino un commento, che vi passo qui di seguito.

1. In primo luogo c'è stata una critica politica. Ho ricevuto diversi commenti del tenore, "siccome Grillo è un fascista/dittatore/nemico del popolo/eccetera, ne consegue che non si può essere d'accordo con lui su nessun argomento." Su questo mi limito a notare che mi sembra di aver colpito nel segno quando ho ricevuto qualche commento un po' stizzito da parte di persone legate in vari modi al PD. Evidentemente, si sono resi conto del disastro che è stato il governo Renzi con le sue politiche energetiche che hanno fatto scomparire decine di migliaia di posti di lavoro e un intero settore industriale italiano.

2. Critiche specifiche al post di Grillo. Qui, a mio modesto parere, chi critica non ha capito quello che Grillo voleva dire nel suo post. Non era un programma politico, non era un programma energetico. Era un post giornalistico che serviva a stabilire delle priorità. Allora, non ha senso criticarlo nel senso che non dice tutto quello che c'è da dire sull'energia, perché mancano certe cose, perché certe cose sono troppo enfatizzate. Il punto è che Grillo è intervenuto con forza per stabilire la priorità dell'energia e questa è la cosa buona. Va detto, in ogni caso, che Grillo non è un tecnico e tende a entusiasmarsi su cose che non meritano entusiasmo. Per questa ragione, nel passato ha anche nettamente sbarrocciato su questioni energetiche, come quando si è messo a sostenere l'olio di colza come combustibile per i motori diesel (e questo glie l'ho fatto notare esplicitamente). Diciamo, comunque, che sta migliorando, ma farà bene a rimanere su argomenti generali.

3. Molte critiche sono state basate sul fatto che bisogna privilegiare l'efficienza e il risparmio piuttosto che la produzione di energia. Questo punto avrebbe bisogno di un'estesa trattazione. Mi limito a dire che era una posizione legittima una decina di anni fa; per intendersi, al tempo in cui Maurizio Pallante cominciava a proporre il concetto del "Secchio Bucato," nel senso che bisognava tappare il buco prima di ingegnarsi a riempire il secchio. Ma oggi le rinnovabili sono molto meno costose di allora e, allo stesso tempo, l'urgenza di liberarsi dei combustibili fossili è diventata pressante. Quindi, è sensato oggi dare la priorità alla produzione di energia rinnovabile dando un taglio netto all'uso dei fossili.

4. Una critica comune è che il governo fa male per principio a dare dei sussidi alla produzione di energia rinnovabile; cosa vista come una perversione del libero mercato. Una posizione che mi trova in completo disaccordo: il governo ha fatto quello che un governo deve fare: correggere il meccanismo del libero mercato per distribuire le risorse a favore della comunità. Nessuno si lamenta (di solito) se le proprie tasse sono pagate per ospedali, o per la pubblica istruzione, o per tante altre infrastrutture che non rendono soldi ma che sono necessarie alla comunità. E allora perché prendersela in particolare con il fotovoltaico?

5. Sono state ripetute molte leggende comuni sul fotovoltaico; tipo che occupa troppo spazio, che non rende l'energia spesa per costruirlo, che è inquinante, che usa elementi rari, eccetera. Tutte cose che indicano come manchi un minimo di informazione pubblica su come stanno le cose. Lo stesso vale per qualche tentativo di ritirar fuori i famosi "errori del Club di Roma" che peraltro è stato spesso rintuzzato da commentatori più informati.

6. C'è stato, infine, il discorso che i fattori politici, tipo uscire dall'euro, sono la cosa importante e che l'energia è una cosa secondaria. Mi aspettavo molti più commenti di questo tenore di quelli che ho visto; in ogni caso è un punto di vista lecito anche se, a mio parere, sbagliato. Non si può avere democrazia senza energia.

Insomma, io credo che questi siano gli argomenti che un dibattito sul futuro del paese dovrebbe prendere in considerazione. Forse questo mio post è stato un modesto contributo ad andare nella giusta direzione. Quindi, rilevo con grande piacere che molta gente ha capito quanto sia importante l'energia rinnovabile per il nostro paese. Adesso andiamo avanti.


venerdì 9 gennaio 2015

Ma il 2015 sarà sicuramente l'anno della ripresa!




(immagine trovata su internet - scusate se non so l'attribuzione precisa. Qui sotto, l'andamento del PIL italiano insieme ai consumi di idrocarburi in Italia)


lunedì 3 novembre 2014

La guerra dei gasdotti (ovvero: Renziologia applicata)




Riproduco qui di seguito parte di un interessante post di Aldo Giannuli che racconta della "guerra del gas" in corso e di come questa influenzi le decisioni  del governo italiano. Leggendo questo e altri commenti, non finisco mai di stupirmi di quanto il discorso del gas/petrolio sia così platealmente assente dal dibattito politico a tutti i livelli e di come, invece, sia fondamentale nella pratica. Insomma, siamo alla "Renziologia" come una volta si parlava di "Kremnlinologia". Ovvero, a frizionarsi vigorosamente i neuroni per cercare di capire cosa vogliono veramente dirci i nostri governanti nei loro vacui discorsi. Evidentemente, deve essere l'essenza della democrazia.


Renzi fra Gentiloni e la Camusso.

di Aldo Giannuli
Nel giro di una settimana il governo Renzi ha dovuto affrontare tre grane: la manifestazione della Cgil, il pestaggio degli operai di Terni ed il cambio della guardia alla Farnesina. Iniziamo dall’ultima cosa: che significato ha la nomina di Gentiloni? Per capire sino in fondo ci mancano dei passaggi: a quanto pare (ma vatti a fidare delle indiscrezioni giornalistiche!) Gentiloni non faceva parte della prima rosa di nomi offerta al Quirinale e che era composta da sole donne, di cui una sola di qualche autorevolezza internazionale (la Dassù). Non sappiamo per quali motivi Napolitano abbia respinto queste candidature, forse ritenendole troppo “leggere”, in una fase politica di crisi montante come questa presente. Se ne dedurrebbe che il nome di Gentiloni sia stato imposto dal Colle o che sia stato una sorta di compromesso fra i due presidenti. Ma non c’è ragione di pensare che Renzi possa proporre Gentiloni come candidato di “seconda scelta”: viene dalla Margherita, come gran parte dello staff renziano ed è dall’inizio nella cordata del fiorentino, inoltre ci sono ragioni specifiche per pensare che sia l’uomo più adatto ai bisogni di Renzi in questo momento. 

Dunque, non era nella rosa iniziale, solo in omaggio al principio della “parità di genere” nel governo? Renzi è abbastanza fatuo per andare dietro a queste fesserie, ma la cosa non convince del tutto. Di sicuro, se l’esigenza di Napolitano era quella di un nome di maggior peso, Gentiloni risponde a questa esigenza e gli orientamenti del nuovo ministro degli esteri non gli dispiacciono. Ma allora come mai non ci si è pensato subito? Ecco qui c’è un passaggio che ci manca. In compenso la logica politica dell’operazione è abbastanza trasparente e proviamo a spiegarla.

Dopo una breve scapigliatura giovanile, che lo portò a militare nel Movimento Studentesco e nel Pdup per il Comunismo, ed una più matura collaborazione con il Manifesto (dove era ritenuto esperto di mondo cattolico), Gentiloni è andato a sciacquare i suoi panni nel Potomac, diventando uomo assai sensibile alle ragioni a stelle e strisce. Ed ancor più sensibile è diventato, con il tempo alle ragioni di Israele: è interessante constatare come proprio alla vigilia della sua nomina, Gentiloni abbia avuto un caloroso incontro con i maggiori rappresentanti della comunità ebraica italiana.

Prima che saltino su i soliti dietrologi che vedono Israele dietro ogni complotto o i più fanatici sostenitori di Israele ad accusarmi di antisemitismo per aver insinuato chissà cosa, preciso: niente oscuri complotti, ma uno scenario politico che è sotto gli occhi di tutti e che ha una sua logica interna. Non è un mistero che da almeno 5 anni (epoca del “discorso del Cairo” di Obama), Washington e Telaviv vanno in direzioni via via divaricanti e l’intesa non è più quella di un tempo. Israele avrebbe voluto l’intervento in Iran che non c’è stato, Israele non ha visto affatto di buon occhio la primavera araba che gli Usa hanno, in parte, incoraggiato, Washington si è mostrata meno allineata del passato ad Israele sulla questione palestinese. Ma soprattutto, in tempi recenti, è la questione energetica a dividere i due vecchi sodali: gli Usa hanno l’obiettivo strategico di indebolire la Russia ed, in particolare, la sua influenza sull’Europa, determinata dal peso delle sue forniture di gas. A questo scopo, gli Usa hanno cercato in tutti i modi di impedire la nascita del gasdotto Southstream, prima con il progetto concorrenziale di Nabucco, dopo spingendo per l’inserimento del Quatar nella rete metanifera europea. Entrambe le questioni vedono al centro il nostro paese: Southstream avrebbe dovuto essere costruito dall’Eni (ora non sappiamo che fine farà il progetto), mentre la via più semplice per agganciare il Quatar alla rete europea è agganciarlo al gasdotto italo-libico-algerino; cosa tentata nel 2005 e bloccata dal governo Berlusconi, per evidenti preferenze moscovite. Cosa che i quatarioti si legarono al dito, rendendo all’Italia pan per focaccia in occasione della crisi libica. Va da sé che Israele veda il piano di inserimento del Quatar come il fumo negli occhi; ed è ovvio, dato che il Quatar finanzia i Fratelli Musulmani e accentuare la dipendenza dell’Europa dalle forniture di un paese arabo è in palese contrasto con i suoi interessi strategici. Per questo si è determinata una oggettiva convergenza fra Mosca e Telaviv.

La cosa era tornata per un attimo alla ribalta (all’inizio della crisi ucraina) in occasione del viaggio di Letta in Quatar per trattare sul loro ingresso in Alitalia. Poi la tempestiva crisi del governo Letta bloccò sul nascere la ripresa del disegno.

Dopo, con il governo Renzi (sul quale si sa avere molta influenza l’economista Yoram Gutgeld, già ufficiale superiore dell’esercito israeliano), sono venute le nomine Eni con la promozione di De Scalzi al posto che fu di Scaroni e, con essa, la conferma piena degli orientamenti filorussi dell’ente petrolifero di Stato. Insomma nel governo Renzi si è riprodotta in sedicesimo quella convergenza russo-israeliana di cui dicevamo. E gli americani non hanno affatto gradito, riservando al giullare fiorentino più di uno sgarbo. Poi, puntuale come Big Ben è arrivato lo scandalo Nigeria, che ha colpito De Scalzi, oltre che Scaroni. Renzi in un primo momento ha difeso a spada tratta De Scalzi, ma si è molto raffreddato quando questi, per salvarsi, ha buttato a mare Scaroni (“decideva tutto lui”). Ed il gelo è sceso in occasione della visita di Italia di Li Kequiang, quando, alla cerimonia della firma dei contratti d’affari conclusi, tutti hanno notato la clamorosa assenza di De Scalzi, unico a mancare fra i big delle imprese di Stato.

Insomma, mi pare che tutto confermi che sia in atto una nuova puntata della guerra segreta dei gasdotti e che essa passi per il governo italiano.

Di qui la necessità di un ministro degli esteri molto ben accreditato sia presso Washington che presso Telaviv per trovare una mediazione in un conflitto che potenzialmente può travolgere il governo.

E meglio ancora se questo mediatore disponga di buone entrature in Vaticano e sia amico di un personaggio come Stefano Silvestri (altro ex estremista passato al campo a stelle e strisce) che può contare a sua volta su amici a Mosca ed a Washington. Come mai un nome così perfetto non è stato la prima scelta? Forse perché occorreva coprirlo con altre candidature di parata, per non bruciarlo nel partito, dove c’erano altri candidati pure renziani? O per distrarre l’attenzione dal vero senso dell’operazione? Chissà, dovremmo avere più informazioni.



Aldo Giannuli

lunedì 18 agosto 2014

Meno male che abbiamo Renzi (IV)





Sicuramente il 2014 vedrà un inversione di tendenza e il ritorno alla crescita!


(immagine da "Mondo Elettrico")

sabato 16 agosto 2014

lunedì 11 agosto 2014

lunedì 14 luglio 2014

Trivella, ragazzo, trivella! Renzi continua a sbagliare tutto


Da "Qualenergia"

Renzi vuole trivellare per il bene del paese

"Raddoppiare la percentuale di petrolio e del gas in Italia e dare lavoro a 40mila persone. Non lo si fa per paura delle reazioni di tre o quattro comitatini”. Questa è la moderna visione energetica del nostro premier, in perfetta sintonia con la Ministra Guidi. E poi ci sorprendiamo se provano ad affossare le fonti rinnovabili?



Riteniamo piuttosto noioso commentare le ultime dichiarazioni del politico di turno. A volte è un’offesa al lavoro giornalistico che dovrebbe basarsi sui fatti e non sulle parole in libertà. Stavolta però non si può sottacere una critica a quanto dichiara il presidente del Consiglio Matteo Renzi al Corriere della Sera

Nel piano sblocca Italia c’è un progetto molto serio sullo sblocco minerario. E’ impossibile andare a parlare di energia e ambiente in Europa se nel frattempo non sfrutti l’energia e l’ambiente che hai in Sicilia e Basilicata. Io mi vergogno di andare a parlare delle interconnessioni tra Francia e Spagna, dell’accordo Gazprom o di South Stream, quando potrei raddoppiare la percentuale di petrolio e del gas in Italia a dare lavoro a 40mila persone e non lo si fa per paura delle reazioni di tre, quattro comitatini”.

Questo sarebbe l’uomo del cambiamento? L’uomo che guarda agli interessi dei cittadini? Cosa diavolo c’entra poi l’Europa con le trivellazioni sul nostro territorio o nel nostro mare? E quale sarebbe questa "energia e ambiente" (?) da sfruttare?

Sulla quantità di idrocarburi abbiamo già detto e continuiamo a credere che questa propaganda pro-idrocarburi nazionali sia ingannatrice e abbia un approccio di breve termine per il paese. Ma naturalmente elevati profitti per il comparto coinvolto. Ad esempio si è stimato che le riserve esistenti di petrolio nostrane coprirebbero, qualora si riuscisse ad estrarle totalmente, poco meno di tre anni di consumi italiani di idrocarburi. Questa è la dimensione della questione di cui si sta discutendo.

Il problema è che i nostri governanti vecchi (vedi Prodi) e nuovi continuano ad avere un’idea di sviluppo (loro la chiamano crescita), di infrastrutture e di industrializzazione legata al passato e, chiaramente, agli interessi di poche aziende italiane ed estere del settore fossile. Le criticità ambientali e sanitarie non vengono nemmeno valutate. Sono invece sistematicamente affossate le opportunità di creare le condizioni migliori per nuovi investimenti in rinnovabili ed efficienza energetica proprio da quando si è compreso che questi settori avrebbero le potenzialità per modellare diversamente il sistema energetico nazionale. E, non contenti, vengono pure colpiti gli investimenti già realizzati, suscitando rabbia e apprensione da parte di investitori nazionali ed esteri. Lo dimostrano gli atti di questo governo, più di ogni altra fasulla dichiarazione di ministri e viceministri, che non rinunciano mai ad appoggiare, a chiacchiere, le rinnovabili. Sono credibili?

Uguale disprezzo per le popolazioni locali, alla stregua di Renzi, viene dalla Ministra Guidi, una signora spinta alla conduzione del Ministero dello sviluppo economico anche per la pressione dei grandi gruppi energetici che ‘comandano’ in Confindustria. Per lei la questione dei rischi della perlustrazione e dell'estrazione di idrocarburi è minima e se le popolazioni si preoccupano troppo vuol dire che sono male informate. Lei e Renzi sanno forse che vivere tutti i giorni presso aree di estrazione è qualcosa che mette a dura prova psiche e salute? Sanno che in queste zone vengono rilasciati pericolosi composti organici volatili, idrogeno solforato e altri elementi nocivi come quelli, ad esempio, usati per la perforazione e l’estrazione contenenti materiali cancerogeni, come toluene e benzene?

Per avere un quadro degli impatti sanitari, può essere utile dare uno sguardo ai dati del Registro dei tumori in Basilicata (Relazione di Attività IRCCS-CROB, 1997-2006), dove si può notare per la maggior parte delle aree della regione una notevole incidenza delle patologie tumorali. Altri effetti sulla salute sono riscontrabili in patologie respiratorie e cutanee. Alcune zone limitrofe ai centri petroliferi in Basilicata sono invivibili per la puzza prodotta da impianti e raffinerie tanto da dover restare sempre con le finestre serrate. Siamo di fronte alla presenza di discariche non autorizzate, scarti tossici, falde acquifere inquinate, con effetti devastanti su vigneti, frutteti e casi in cui si è riscontrata addirittura la presenza di petrolio nel miele.

Per gli amministratori locali la questione dirimente riguarda per lo più solo la quantità di royalties a titolo di compensazione ambientale o se sia il caso che queste vengono escluse dal conteggio del Patto di Stabilità, come ha chiesto recentemente Marcello Pittella, governatore della Basilicata. Peraltro, come ha scritto nel suo documentatissimo libro “Trivelle d’Italia Pietro Dommarco (Altreconomia Edizioni), le royalties in Italia sono tra le più basse del mondo: oltre alle tasse governative, le società che estraggono cedono solo il 4% dei loro ricavi per le estrazioni in mare e il 10% per quelle su terraferma. In Norvegia quasi l’80% del ricavato dell’industria petrolifera viene riscosso dallo Stato. In Gran Bretagna c’è una tassa aggiuntiva del 32%.

Sui danni in mare più eclatanti riconducibili alle attività offshore (vedi piattaforma Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico) c’è solo una presunzione di rischio (un evento simile sarebbe però disastroso), ma basterebbe già considerare che questi impianti hanno dispersioni quotidiane di elevatissime concentrazioni di mercurio per reputarli un grave pericolo per un mare delicato come quello Mediterraneo.

Parliamo anche di impatti occupazionali. In realtà stiamo discutendo di poche centinaia di occupati a livello diretto e indiretto per azienda (vedi dati Total E&P Italia per la Basilicata, ma lo stesso si potrebbe dire per Eni). Forse nel complesso e per un periodo di tempo limitato potremmo toccare al massimo un paio di migliaia di addetti locali per l’Italia. La storia delle promesse occupazionali dei progetti di estrazione degli idrocarburi è esagerata e smentita dai fatti.

Vogliamo migliorare seriamente e rapidamente la nostra bilancia energetica con l’estero? Investiamo in efficienza energetica a tutti i livelli, residenziale, industriale, nella PA, e puntiamo sulle rinnovabili. Renzi non ci venga a raccontare che dobbiamo trivellare il nostro territorio per il bene del paese e per renderlo credibile oltre confine. E ci tolga quella, ormai profonda convinzione, di essere stato piazzato lì per assecondare i ‘poteri forti’ di questo paese.

sabato 28 giugno 2014

Renzi: un governo contro l'energia pulita






da "Il Fatto Quotidiano"

Rinnovabili e blackout: Italia vs. Germania

Mentre vengono resi noti i risultati degli stress test condotti su 145 reattori nucleari europei che hanno evidenziato estese criticità, la Commissione Europea rimane in stand-by. Non intima la chiusura delle 13 centrali più obsolete e a rischio perché sono fortissime le pressioni del vecchio sistema energetico a mantenere la megastruttura che unifica fossili e nucleare. Così si contrasta la stessa Roadmap 2050 dell’Ue, che prevede una larga prevalenza delle fonti rinnovabili per la metà del secolo.

Il nostro Governo, pur obbligato dal referendum a stoppare il nucleare, rientra nel gruppo degli avversari delle rinnovabili. Continua in questo la politica di Berlusconi – d’altra parte gli interessi dei banchieri al governo sono contigui a quelli delle lobby dei mega-impianti che ispiravano il Cavaliere – e quindi rilancia gas, petrolio e carbone. Tutto questo con lo spauracchio dei blackout energetici, in agguato, a quanto vorrebbero farci credere, se dovesse affermarsi un sistema decentrato, governato sul territorio e alimentato dalle fonti naturali.

Niente di più falso e indimostrabile. A riprova della faziosità di Passera & Co quando ipotizzano un’Italia solcata da tubi e elettrodotti, costellata di rigassificatori e magari depositi di CO2, viene la conferma che in Germania, l’inverno scorso, le luci sono state tenute accese dall’energia solare. Il Governo tedesco, che si prepara a chiudere i suoi 22 reattori nucleari, ha ridotto anche gli scambi nucleari con la Francia rischiando il blackout ma, come ha detto il responsabile per l’energia del Bunderstag: “Siamo stati salvati dal sole”. È pur vero che lo scorso febbraio il territorio dalla Baviera alla Mosella ha avuto un’eccezionale insolazione ma i 28 GW di potenza fotovoltaica, concentrati nella regione, erano collegati alla rete ed hanno fornito il 3% circa della potenza totale. Il solare è un generatore di elettricità intermittente, dipendente dagli impianti di stoccaggio e di back-up che ovviano, se ben progettati, alla capacità di potenza quando il sole non splende.

È risultato determinante per la Germania l’avere investito nelle reti e nei sistemi di immagazzinamento. Lo sforzo tedesco consiste nel ritenere le rinnovabili sostitutive dei fossili e quindi meritevoli della massima attenzione lungo tutta la filiera. Si è così creata una capacità di energia in eccesso, che ha consentito di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Francia ipernucleare da 4 a 5 GW.

“I dati non mentono – ha affermato Brandon Mitchener, portavoce di First Solar, azienda leader nel fotovoltaico – e dimostrano che solare ed eolico sono in grado di fornire reale potenza proprio quando è più necessario, quando la domanda è al suo apice”. I governi europei dovrebbero puntare ad ampie e ben coordinate connessioni alla rete inter e intra-europea, che non esistono ancora. È proprio la “Roadmap 2050” a richiedere l’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili nella rete e piani di sviluppo delle infrastrutture, ivi compreso il consolidamento delle interconnessioni con i paesi vicini. Invece di mettere controlli alle frontiere per l’energia elettrica (è bene sapere che il gas che passa da Dobbiaco subisce un aumento del 7% quando entra nelle condotte Snam!), occorrerebbe in Europa assicurare una migliore integrazione delle energie rinnovabili.

Come si comporta l’Italia, dove il silenzio copre tutte le decisioni strategiche che i cittadini dovrebbero conoscere? Il piano energetico di Passera, in discussione in questi giorni, va in direzione opposta alla linea proposta dalla Ue. Prevede l’autarchia da petrolio e gas e la marginalità delle rinnovabili. Niente visione di lungo periodo, né partecipazione all’integrazione europea strutturale. Che altro aspettarsi da banchieri e tecnici che usano la crisi per rimettere in corsa vecchi poteri, anziché aprire il varco a speranze, intelligenze, competenze e tecnologie che si misurino positivamente con la crisi climatica e ne facciano occasione per buona occupazione, risanamento ambientale, tutela della salute?

mercoledì 25 giugno 2014

Come il governo Renzi vuol distruggere l'energia rinnovabile in Italia


Fotovoltaico: la vera speculazione arriva adesso, grazie al governo

Oltre all'effetto nefasto sull'affidabilità economico finanziaria, lo spalma-incentivi ha altre conseguenze negative. Con lo spettro del default che si aggira nel settore del fotovoltaico italiano, questo governo che ha accusato le fonti rinnovabili di speculazione ora favorirà quella vera, di rapina, dei "vulture funds". 


«Don't come knocking on my door». Non bussate alla mia porta. Si chiude così l'articolo pubblicato sul Wall Street Journal a firma di Bonte-Friedheim il CEO di NextEnergy Capital Group che commenta il provvedimento spalma-incentivi sul fotovoltaico varato dal Governo. Ma piuttosto che investitori esteri, saranno ben altri i soggetti attratti, come mosche al miele, in Italia dal default di parecchi impianti fotovoltaici che seguiranno i provvedimenti degli ultimi giorni e che potranno acquistarli a prezzi di saldo, mentre continueranno a ricevere incentivi, anche se ridotti o spalmati.

Si chiamano "Vulture funds" e sono i fondi "avvoltoio" specializzati nell'accaparrarsi, a prezzi da saldi, ciò che rimane della crisi una volta raschiato il fondo del barile, per poi magari rivendere, dopo poco tempo a prezzi migliori, o magari, come nel nostro caso a godersi gli incentivi ridotti o spalmati perché di una cosa siamo certi: gli 11 GW, su 17,7 (altro che una piccola parte che coinvolge 8.600 soggetti come sostenuto dal ministro Guidi) interessati dal provvedimento continueranno a produrre elettricità anche quando passeranno in mano alla speculazione, quella vera, a causa dei default indotti dallo spalma-incentivi che saranno più probabili di quanto non si pensi.

"I continui cambiamenti nel settore stanno spaventando gli investitori e saranno parecchi quelli che si tireranno indietro.- commenta GB Zorzoli, presidente del Coordinamento Free - E ci sarà anche lo spettro del rientro immediato richiesto dalle parte delle banche per il cambiamento delle posizioni". E le banche a loro volta dovranno rivendere, tentando di realizzare; ed ecco che con ogni probabilità saranno i raiders dei 'vulture founds' ad entrare in azione come sta succedendo in Spagna per le rinnovabili e in tutta l'Europa colpita dalla crisi, per quanto riguarda il mercato immobiliare, dove acquisiscono immobili al 20% del loro valore di dieci anni fa.

Ma è sul serio reale il rischio dei default a fronte di incentivi, come vuole la vulgata, 'ricchi'? Sì, perché una consistente parte degli impianti fotovoltaici della 'migliore generazione' sono già passati di mano, anche per via dell'incertezza italiana, nel cosiddetto mercato secondario, perdendo di valore, mentre sono più bassi i margini sulle ultime edizioni del Conto Energia. Per questa ragione se iniziamo a ragionare in termini squisitamente industriali, e non ideologici, ci si accorge che potrebbero essere non pochi i business plan a rischio.

"Con la struttura che si è impostata attraverso lo spalma-incentivi è abbastanza matematico il fatto che molti non potranno coprire le rate. - ci spiega Piero Pacchione, di Green Utility - E oltre a ciò c'è da dire che le banche non sono strutturate per gestire gli impianti e potrebbero rivenderli anche con ribassi del 50% al netto degli ammortamenti". Inoltre, c'è anche il fatto che: "far iniziare il periodo di decurtazione dell'8% al primo luglio 2014, in estate, periodo nel quale si concentra il 60% del fatturato annuo del fotovoltaico, significa voler provocare dei seri problemi fin da settembre". Secondo Pacchione il problema non riguarda investitori esteri oppure quelli italiani, ma gli investitori e basta.

E a una nostra domanda se ci sia stata volontà politica o incapacità, Pacchione risponde secco: "con lo spalma-incentivi forse c'è stata incapacità, ma sulla questione dei SEU (Sistemi efficienza d'utenza, ndr) la volontà politica di bloccarli è scientifica (si veda quanto scritto su questa pagine, ndr)». Il 5-10% di oneri di sistema sull'energia autconsumata, infatti, riduce la forbice di convenienza comune tra produttore e consumatore, ma soprattutto il fatto che siano previsti aumenti futuri della quota, peraltro solo a cairco dei nuovi impianti, aumenta l'incertezza, rendendo difficili investimenti in cui la stabilità del prezzo dell'energia elettrica è fondamentale.

"I contratti di project financing prevedono che il cambio tariffa possa essere un elemento per il default del progetto. - taglia corto Paolo Lugiato, consigliere di assoRinnovabili, responsabile per il settore fotovoltaico dell'associazione - Prima scatta il distribution lock, ossia il blocco dei dividendi per garantire il flusso di cassa verso gli istituti bancari, poi c'è il vero e proprio default del progetto che avviene quando il flusso di cassa è pari alla rata del mutuo". In pratica non è necessario "andare sotto" ma per gli istituti di credito il rischio diventa troppo grande anche quando si va alla pari.

Le ragioni sono chiare. Le rinnovabili sono intermittenti e anche se hanno un rendimento annuo medio, ci sono periodi poco produttivi, come quelli piovosi o poco ventosi, durante i quali hanno bisogno di una provvista. "E bisogna tenere conto anche del contesto nel quale questo provvedimento si inserisce. - prosegue Lugiato - Abbiamo avuto l'abbassamento del prezzo dell'elettricità, la robin tax, l'abolizione del prezzo minimo garantito, tutti elementi che hanno eroso la redditività degli impianti". Insomma, anche per Lugiato lo spettro del default per molti impianti non è una possibilità remota, come invece sostengono dalle parti del MiSE, dove arrivano ad affermare che il provvedimento potrebbe portare a una migliore gestione di parecchi impianti che sarebbero mal gestiti.

"La vera botta la vedremo il 1° gennaio 2015 quando gli impianti che avranno scelto l'autoriduzione dell'8% a cui si aggiunge il 10% di trattenuta da parte del GSE, si ritroveranno con il 18% in meno di flusso di cassa. - afferma Giovanni Simoni, amministratore delegato di Kenergia - Si tratta di una riduzione importante che metterà a massimo rischio gli impianti del secondo e terzo Conto energia".

Su quali possano essere le potenziali quotazioni del watt fotovoltaico in default a fronte dell'aggressione speculativa dei "vulture funds" non si possono fare ipotesi visto che il fenomeno da noi non è ancora definito, ma si possono fare ipotesi diverse su ciò che sta accadendo nel contesto elettrico. Di sicuro la manovra del Governo ha una portata epocale sul fronte dell'affidabilità economico finanziaria del mercato dell'energia poiché introduce il concetto di retroattività, cosa che minerà l'affidabilità dell'Italia circa gli investimenti in tutto il settore energetico, non solo nelle rinnovabili. Non a caso il Wall Street Journal apre il proprio pezzo affermando «A quanto pare il governo italiano ha un rapporto difficile con i capitali privati», ossia tutti i capitali privati, non solo quelli legati alle rinnovabili. E lo fa, come abbiamo visto, favorendo la speculazione, quella vera e rapace fatta di rapina, dopo aver urlato ai quattro venti di voler colpire la "speculazione" nelle rinnovabili che tra parentesi, è bene sempre ricordarlo, hanno agito sempre e comunque sotto le leggi e i regolamenti dello Stato.

venerdì 20 giugno 2014

Renzi combatte contro i mulini a vento



DaWall Streeet Journal”. Traduzione di MR

L'energia rinnovabile non sta determinando i costi energetici italiani, perché quindi attaccare i suoi investitori?

Di Bonte-Friedheim

Apparentemente il governo italiano ha dei rapporti non facili col capitale privato. Piazza Colonna ha recentemente annunciato le prime privatizzazioni del governo in sei anni, per svendere fino a 12 miliardi di euro in patrimoni, per pagare parte del debito pubblico. Finora, tutto bene. Tuttavia, poco più di un mese fa, il governo del nuovo Primo Ministro Matteo Renzi ha anche messo sul tavolo una proposta che mira effettivamente agli investitori azionari istituzionali per finanziare i tagli al prezzo dell'elettricità.

La proposta taglierebbe retroattivamente le tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabile fino al 20%. Queste tariffe impostate dal governo funzionano come contratti a prezzo fisso per i produttori di energia rinnovabile. In Italia, i proprietari di impianti di energia rinnovabile sono un mix variegato: fondi pensione nazionali ed internazionali, fondi patrimoniali privati, imprese di investimento energetico globale – molte sostenute da fondi sovrani di investimento e altri investitori istituzionali. La proposta di tagliare retroattivamente i loro ritorno arriva al culmine di altri tentativi governativi di penalizzare i proprietari di impianti di energia rinnovabile, attraverso una serie di nuove tasse e di oneri che hanno ridotto i ritorni degli investitori approssimativamente della metà dal 2011. Ora il governo Renzi raddoppia.

Pale eoliche in Toscana. Getty Images/iStockphoto
Anche se le tatiffe incentivanti sono un capro espiatorio popolare, i prezzi medi dell'energia elettrica all'ingrosso in Italia sono già diminuiti a 48 euro a megawatt-ora nel 2014, dai 76 euro del 2008. Questa riduzione è stata determinata in parte dalla costruzione di nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile. Ma per qualche ragione queste riduzioni non sono arrivate ai consumatori. Negli ultimi 5 anni, gli investitori hanno versato più di 50 miliardi di euro nell'energia rinnovabile italiana, costruendo circa 17 gigawatt di capacità di energia solare. Le rinnovabili hanno generato il 34% dell'energia elettrica italiana nel 2012, dal 20% del 2008 – il più grande salto fra le grandi economie europee in quel lasso di tempo.

Come con tutti gli investimenti a lungo termine, un chiaro quadro legale è stata la chiave per attrarre i finanziamenti per le rinnovabili italiane. Ora che i soldi sono stati spesi e gli impianti sono operativi, il Signor Renzi vuole strappare i contratti e spazzare via selettivamente gli investitori azionari, anche se i costi delle rinnovabili sono solo una piccola parte del costo energetico italiano. Puntualmente, il governo italiano non sta puntando i servizi inefficienti e costosi forniti dalle grandi compagnie energetiche, come il conglomerato elettrico Enel. Di recente, Enel ha presentato un piano strategico per investire più di 9 miliardi di euro nei mercati emergenti . Finanziati in gran parte dagli introiti generati dai consumatori italiani. La proposta di Piazza Colonna non affronta neanche la distribuzione locale e le aziende di fornitura controllate dai comuni italiani. Alla fine, la proposta delle tariffe incentivanti è fatta su misura per non colpire le banche italiane che fanno prestiti per la costruzione di impianti rinnovabili. (Ogni scrittura di portafogli di credito da parte delle banche porterebbe solo ad ulteriori aumenti di capitale da parte della banche italiane, cosa che il governo italiano vuole evitare). Col tipico finanziamento debt-to-equity che va da 80-20 a 70-30, un taglio del 20% delle tariffe incentivanti permette nettamente a gran parte dei prestiti bancari, se non a tutti, di essere ripagati, mentre gli investitori azionari sopportano il peso dei tagli retroattivi. Legalmente, il governo italiano potrebbe non avere la forza di sostenere i tagli: i cambiamenti di regolamento retroattivi e la riscrittura delle tariffe precedentemente contrattate potrebbe contravvenire al Trattato Charter sull'Energia della UE. Il governo spagnolo ha tentato una manovra simile con le proprie tariffe incentivanti lo scorso anno. Gli investitori hanno prontamente denunciato e il caso ora è di fronte alla Corte Europea di Giustizia. Se Madrid perde, la sentenza potrebbe innescare pagamenti di compensazioni multi miliardari.

Una tale manovra capricciosa del governo italiano sarebbe un fenomeno negativo per l'ulteriore investimento in infrastruttura rinnovabile, o di fatto in ogni settore in Italia. Se succede, il nuovo programma di privatizzazioni italiane comprende aziende soggette al potere legislativo del governo, come le Poste nazionali, l'operatore di rete Terna e il gigante Eni. Il Signor Renzi potrebbe credere che i mercati abbiano la memoria corta e che questa strada sia più facile che non riformare le palesi inefficienze energetiche nel settore energetico italiano e di tagliare tasse terribilmente alte sugli utenti energetici. Forse ha ragione, ma buona fortuna nell'attrarre investitori stranieri in futuro. Che non venga a bussare alla mia porta.

Bonte-Friedheim è l'AD del Gruppo di capitale NextEnergy.

venerdì 25 aprile 2014

Renzi continua a sbagliare tutto



Ovvero, danneggiare attività produttive per incrementare i consumi. In questo caso, il governo tassa la produzione di energia da impianti rinnovabili nelle aziende agricole. Esattamente il contrario di quello che dovremmo fare (immagine da EnergyTransition)



 

Il colpo alle rinnovabili nel decreto sul bonus Irpef

Per coprire i famosi 80 euro in busta paga ai dipendenti con reddito lordo tra 8.000 e 24.000 euro ci sarò anche un prelievo dalle fonti rinnovabili: si inasprisce la tassazione del reddito che le aziende agricole ricavano producendo energia pulita. Per gli agricoltori il provvedimento produrrà “effetti dirompenti per gli investimenti in rinnovabili”.