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mercoledì 9 marzo 2016

Crisi globale: uno sguardo nell'altra direzione.

Di Jacopo Simonetta

Quando si parla e si scrive della crisi che minaccia la nostra civiltà, si focalizza l’attenzione sulle risorse che l’economia richiede in quantità crescenti.   Si ragiona quindi su come i ritorni decrescenti nello sfruttamento delle risorse pongano un’ipoteca sulle possibilità di ulteriore sviluppo dell’economia globale. 

Certamente è un tema di estremo interesse, ma qui io suggerisco di voltarsi e dare un’occhiata dall'altra parte; cioè a cosa succede dove scarichiamo le risorse usate.

In effetti, la nostra società (come tutte le altre nella storia) è una struttura dissipativa.   Ciò significa che esiste solamente in quanto è capace di dissipare energia, accumulando informazione al proprio interno.  Questo genera un anello di retroazione positiva: più energia permette di costruire più complessità e più complessità necessita, ma anche permette, un maggiore flusso di energia.

Io penso che il punto cruciale sia questo: alla fin fine, la ricchezza non è altro che informazione accumulata nel sistema socio-economico di varie forme (ad esempio bestiame, infrastrutture, sistemazioni agrarie, macchine, costruzioni, libri, internet eccetera.) La popolazione umana è particolare perché costituisce essa stessa una grossa fetta dell’informazione accumulata nel sistema sociale.   Quindi, da un punto di vista termodinamico, noi siamo parte integrante della “ricchezza”, mentre da un punto di vista economico la gente può essere vista semmai come il denominatore della ricchezza globale.

Le leggi fisiche ci assicurano che l’accumulo di informazione all'interno di un determinato un sistema è possibile solo aumentando l’entropia al di fuori di esso.   E’ una norma generale a proposito delle strutture dissipative, ma la nostra civiltà è unica nella storia per le sue dimensioni.   Oggi circa il 97% della biomassa di vertebrati terrestri è composta da noi e dai nostri simbionti (bestiame).   Usiamo circa il 50% della produttività primaria, più quasi 20 TWh all'anno che ricaviamo dai combustibili fossili ed altre fonti inorganiche.

Ai suoi albori, la nostra moderna civiltà si comportò allo stesso modo di tutte le altre nella storia: appropriandosi di bassa entropia sotto forma di cibo, bestiame, minerali, schiavi, petrolio, carbone eccetera.   E scaricando alta entropia nella biosfera in forme diverse come inquinanti, semplificazione di ecosistemi, estinzioni, calore, eccetera.   Oppure scaricando entropia ad altre società sotto forma di guerre, migrazioni eccetera.
Ma  mano che l’economia industriale ha soggiogato e sostituito le altre, è diventata l’unico sistema economico globale.   In tal modo, necessariamente, ha trovato sempre più difficoltà a dissipare energia fuori da se stessa.  
In pratica, le discariche (sink) sono diventate un problema prima dei pozzi (well).   Ma ricordiamoci che per mantenere il proprio livello di complessità, una struttura dissipativa ha bisogno di un flusso crescente di energia, cioè ha bisogno sia di pozzi che di discariche inesauribili.

Oggi, sia l’inquinamento globale, sia l’immigrazione di massa verso i paesi più industrializzati evidenziano che il nostro sistema non è più in grado di espellere alta entropia fuori da se stesso, semplicemente perché di questo “fuori” ce ne è sempre di meno.    Ma se l’alta entropia non è scaricata fuori dal sistema, necessariamente si accumula entro di esso.   E man mano che fluisce più energia, aumenta l’entropia interna, minando la complessità.   Una tipica dinamica di Ritorni Decrescenti.   Forse possiamo vedere in questo una retroazione negativa che sta fermando la crescita economica e che, forse, sbriciolerà l’economia globale in qualche decennio.Se questo ragionamento fosse corretto, la crisi economica e politica, la disgregazione sociale e, alla fine, la disintegrazione degli stati non sono altro che l’aspetto visibile dell’entropia che cresce all'interno del mostro meta-sistema.

Attualmente, la società globale è talmente grande e complessa da essere articolata in moltissimi sub-sistemi correlati fra loro.   Stiamo quindi gestendo le cose in modo da aumentare l’entropia nelle parti più periferiche del meta-sistema.   Ad esempio alcuni paesi, classi sociali subalterne e, soprattutto, i giovani che pagheranno il prezzo di tutto il benessere che abbiamo avuto noi.
Ma questo sistema provoca instabilità politica, sommosse e masse di migranti verso il cuore del sistema. Ciò significa anche che la classe dirigente mondiale ha perduto la capacità di capire e/o controllare le dinamiche interne del sistema socio-economico.

Nel frattempo, il sovraccarico delle discariche (sink) sta cominciando a deteriorare i pozzi di bassa entropia (well).   Esempi evidenti sono l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, l’acidificazione degli oceani, l’estinzione di specie, la distruzione di ecosistemi e molto altro ancora.   Alla fine, man mano che l’economia cresce, il sistema sociale necessariamente perde la sua capacità di dissipare energia all'esterno, condannandosi così alla disintegrazione.

Si può trovare lo stesso fenomeno ad una scala minore.   Ad esempio un singolo organismo, come un essere umano.   Se è disponibile un buon flusso di energia in forma di cibo e calore, un bambino cresce diventando un adulto forte e sano.   Un buon flusso di energia durante la vita adulta significa una buona qualità di vita e la possibilità di sviluppare cultura, abilità, arte, scienza e di restare sani per molto tempo.  Scarsa energia significa malnutrizione e malattia.   Ma anche se il corpo assorbe più di quanto riesca a dissipare ci sono problemi come ingrassamento, malattie ed obesità; in definitiva una brutta vita con una prematura morte.

Troviamo sostanzialmente lo stesso fenomeno a scala maggiore.   Anche la Terra nel suo insieme è una struttura dissipativa ed un sistema complesso.   Non ha alcun problema dalla parte del suo pozzo principale: il Sole.   Possiamo contare sul fatto che i circa 86.000 TWh che riceviamo mediamente dal Sole non diminuiranno.   Anzi, semmai aumenteranno molto gradualmente in tempi estremamente lunghi.
 
Eppure proprio ora l’intera Biosfera sta collassando in una delle più gravi crisi mai verificatesi nei circa 4,5 miliardi di anni della sua storia.   Una crisi risultante dell’attività umana che riduce la capacità dell’ecosistema di dissipare l’energia in entrata, in particolare come risultato dell’effetto serra prodotto bruciando combustibili fossili.   Così l’entropia interna cresce minando ulteriormente gli ecosistemi e riducendo la complessità.   Potenzialmente, producendo un disastro globale di portata geologica.

In conclusione, suggerisco che, nei prossimi decenni, l’aumento dell’entropia sarà un problema anche più drammatico del rifornimento di energia.   
Solamente una drastica riduzione nell'ingresso di energia nel sistema socio-economico potrebbe salvare al Biosfera.   Ma ci sarebbe un prezzo elevato da pagare perché una riduzione nel flusso di energia significa necessariamente una riduzione della complessità e della quantità di informazione accumulata nel sotto sistema umano.   In parole povere, questo significherebbe miseria e morte per la maggior parte della popolazione attuale, anche se significherebbe speranza per quella del futuro. 
  
In definitiva, affinché  possano nascere nuove civiltà, è necessario che la nostra collassi abbastanza in fretta da lasciare un pianeta abitabile ai nostri discendenti.

mercoledì 6 gennaio 2016

I fisici confermano l'irreversibilità termodinamica in un sistema quantico



Da “Phys.org”. Traduzione di MR (via Emilio Martines)

Di Lisa Zyga


Nell'esperimento, un campione di cloroformio liquido (CHCl3) viene posto al centro di un magnete superconduttore dentro ad un magnetometro a risonanza nucleare magnetica (NMR). Vengono applicati impulsi magnetici avanti e indietro al campione, che porta rotazioni del carbonio nucleare fuori equilibrio e produce un'entropia irreversibile. Immagine: Batalhão, et al. ©2015 American Physical Society

Per la prima volta, i fisici hanno svolto un esperimento che conferma che i processi termodinamici sono irreversibili in un sistema quantico – il che significa che, anche a livello quantico, non puoi far ritornare intero un uovo rotto. I risultati hanno implicazioni per la comprensione della termodinamica nei sistemi quantici e, a loro volta, nella progettazione di computer quantici ed altre tecnologie informatiche quantiche. I fisici, Tiago Batalhão dell'Università Federale del ABC del Brasile ed i suoi coautori, hanno pubblicato il loro articolo sulla dimostrazione sperimentale della irreversibilità termodinamica quantica in un numero recente della Physical Review Letters.

martedì 4 agosto 2015

Economia per un mondo pieno

Da “Great Transition Initiative”. Traduzione di MR

Di Herman Daly Giugno 2015

Questo saggio è stato adattato da un discorso fatto in occasione del premio Pianeta Blu, nel novembre 2014. 

A causa della crescita economica esponenziale dalla Seconda Guerra Mondiale, ora viviamo in un mondo pieno, ma ci comportiamo ancora come se fosse vuoto, con ampi spazi e risorse per un futuro indefinito. Gli assunti di fondo dell'economia neoclassica, sviluppata nel mondo vuoto, non valgono più, in quanto l'onere cumulativo della specie umana sta raggiungendo – o, in alcuni casi, superando – i limiti della natura a livello locale, regionale e planetario. L'ossessione prevalente per la crescita economica ci mette sulla strada del collasso ecologico, sacrificando il sostegno stesso del nostro benessere e della nostra sopravvivenza. Per invertire questa traiettoria sinistra, dobbiamo transitare verso un'economia di stato stazionario concentrata sullo sviluppo qualitativo, anziché sulla crescita quantitativa, e sull'interdipendenza di economia umana e ecosfera globale. Sviluppare politiche ed istituzioni per un'economia di stato stazionario ci richiederà di rivisitare la questione dello scopo e dei fini dell'economia.

L'economia come sottosistema dell'ecosfera

Quando lavoravo alla Banca Mondiale, spesso sentivo l'affermazione “Non c'è conflitto fra l'economia e l'ecologia. Possiamo e dobbiamo far crescere l'economia e proteggere l'ambiente allo stesso tempo”. Lo sento ancora dire molto oggi.

Anche se si tratta di un'idea confortante, è al massimo vera a metà. La parte “vera” nasce da una confusione fra redistribuzione e crescita aggregata. Quasi sempre esistono possibilità di una migliore assegnazione – più di qualcosa di desiderato in cambio di una riduzione di qualcosa di meno desiderato. Tuttavia, la crescita aggregata, ciò che intendono i macro economisti col termine “crescita” (ed anche il significato in questo saggio), è che il valore totale del mercato di tutti i beni ed i servizi finali (PIL) si espande.

L'economia, come mostrato nella Figura 1, è un sottosistema aperto della più vasta ecosfera, che è finita, non in crescita e materialmente chiusa, anche se aperta aperta ad un volume continuo e non crescente di energia solare. Quando l'economia cresce in dimensioni fisiche, incorpora materia ed energia dal resto dell'ecosistema in sé stessa. Deve, per la legge di conservazione della materia e dell'energia (Prima Legge della termodinamica), invadere l'ecosistema, dirottando materia da usi precedentemente naturali. Più economia umana (più persone e beni) significa meno ecosistema naturale. In questo senso, l'affermazione che “non c'è conflitto” è falsa. C'è un conflitto fisico ovvio fra la crescita dell'economia e la preservazione dell'ambiente.

Che l'economia sia un sottosistema dell'ecosfera sembra forse troppo ovvio da enfatizzare. Eppure la visione opposta è comune ai piani alti. Per esempio, un recente studio del Comitato sul Capitale naturale del governo britannico ha asserito che “l'ambiente è parte dell'economia e dev'essere integrato adeguatamente in essa così che le opportunità di crescita non vadano perdute”. Al contrario, è l'economia che è la parte e deve essere integrata nel complesso dell'ecosfera finita di modo che il limiti della crescita non vengano superati. (1)

Ma questo conflitto fisico è economicamente importante? Alcuni credono di vivere ancora in un mondo “vuoto”. Nel mondo vuoto, l'economia era piccola in rapporto all'ecosistema che la conteneva, le nostre tecnologie di estrazione e di raccolta non erano così potenti ed eravamo presenti in numero ridotto. I pesci di riproducevano più rapidamente di quanto fossimo in grado di pescarli, gli alberi crescevano più rapidamente di quanto potessimo tagliarli e i minerali nella crosta terrestre erano abbondanti. In altre parole, le risorse naturali non erano proprio scarse. Nel mondo vuoto, aveva senso economicamente dire che non c'era conflitto fra crescita economica ed ecosistema, anche se non era propriamente vero in senso fisico.


Figura 1: Welfare in un mondo pieno e vuoto

La teoria economica neoclassica si è sviluppata durante quest'epoca e ne incorpora ancora molti assunti. Ma il mondo vuoto si è rapidamente trasformato in mondo “pieno” grazie alla crescita, grazie all'obbiettivo principale di ogni paese – capitalista, comunista o a metà strada. Dalla metà del XX secolo, la popolazione mondiale è più che triplicata – da due miliardi a oltre sette miliardi. Le popolazioni di bovini, polli, maiali e piante di soia e mais hanno fatto altrettanto. La popolazione non vivente di automobili, edifici, frigoriferi e cellulari è cresciuta anche più rapidamente. Tutte queste popolazioni, viventi e non viventi, sono quello che i fisici chiamano “strutture dissipative” - vale a dire, il loro mantenimento e riproduzione richiede un flusso metabolico, un volume che comincia con l'esaurimento delle risorse a bassa entropia provenienti dall'ecosfera e finisce col ritorno di rifiuti inquinanti ad alta entropia nell'ecosfera. Questo distrugge l'ecosfera da entrambi i lati, un costo inevitabile necessario per la produzione, la manutenzione e la riproduzione della riserva di persone e di ricchezza. Fino a poco tempo fa, la teoria economica standard ignorava il concetto di rendimento metabolico e, ancora adesso, la sua importanza è grandemente sottovalutata. (2)

Il concetto di flusso metabolico in economia porta con sé le leggi della termodinamica, che sono scomode per l'ideologia della crescita. La prima Legge, come osservato sopra, impone uno scambio quantitativo di materia/energia fra l'ambiente e l'economia. La Seconda legge, che l'entropia (o disordine) dell'universo aumenta sempre, impone un degrado qualitativo dell'ambiente – estraendo risorse a bassa entropia e dando indietro rifiuti ad alta entropia. La Seconda Legge della Termodinamica impone quindi un conflitto aggiuntivo fra l'espansione dell'economia e la preservazione dell'ambiente, cioè che l'ordine e la struttura dell'economia è pagata imponendo disordine nell'ecosfera che la sostiene. Inoltre questo disordine, esportato dall'economia, distrugge le complesse interdipendenze ecologiche del nostro ecosistema di supporto vitale.

Coloro che negano il conflitto fra crescita ed ambiente spesso affermano che siccome il PIL viene misurato in unità di valore, non necessariamente ha un impatto fisico sull'ambiente. Ma si deve ricordare che un dollaro di benzina è una quantità fisica – recentemente circa un quarto di gallone negli Stati Uniti. Il PIL è un aggregato di tutte le quantità di questo genere “del valore di un dollaro” comprate per l'uso finale e di conseguenza è un indice di valore ponderato di quantità fisiche. Il PIL certamente non è perfettamente correlato col flusso di risorse. Ciononostante, le probabilità di “disaccoppiamento” assoluto del flusso di risorse dal PIL sono piuttosto limitate, anche se se ne parla molto e sono e desiderate. (3)

I limiti sono resi visibili considerando una matrice ingresso-uscita di un'economia. Quasi ogni settore richiede ingressi da (e fornisce uscite per) quasi ogni altro settore. E questi ingressi richiedono un ulteriore giro di ingressi per la loro produzione, ecc. L'economia cresce come un insieme integrato, non come un misto di settori separati. Anche i settori dell'informazione e dei servizi richiedono ingressi di risorse fisiche sostanziali. In aggiunta al limite dal lato dell'offerta riflesso nell'interdipendenza ingresso-uscita dei settori di produzione, c'è il limite del lato della domanda di ciò che è stato chiamato “ordinamento lessicografico dei desideri” - a meno che prima non abbiamo cibo a sufficienza nel piatto, non siamo interessati all'informazione contenuta in mille ricette su Internet. E, naturalmente, il Paradosso di Jevons – l'idea che, man mano che la tecnologia avanza, l'aumento di efficienza col quale viene usata una risorsa tende ad aumentare il tasso di consumo di quella risorsa – nega gran parte dei benefici di tale progresso. Ciò non nega le reali possibilità del miglioramento dell'efficienza tecnica nell'uso delle risorse, o il miglioramento etico nell'ordinamento delle nostre priorità. Ma questi rappresentano uno sviluppo qualitativo e di frequente non vengono colte nel PIL, che riflette principalmente la crescita quantitativa.

Siccome il PIL riflette le attività dannose sia quelle benefiche, gli economisti ecologici non lo hanno considerato come desiderabile in sé. Hanno invece distinto la crescita (aumento quantitativo in dimensione per accrescimento o assimilazione di materia) dallo sviluppo (miglioramento qualitativo di progettazione, tecnologia o priorità etiche). Gli economisti ecologici sostengono lo sviluppo senza crescita – miglioramento qualitativo senza aumento quantitativo di flusso di risorse oltre una scala ecologicamente sostenibile. Data questa distinzione, si potrebbe infatti dire che non c'è necessariamente conflitto fra sviluppo qualitativo ed ambiente. Il calcolo del PIL mescola insieme crescita e sviluppo, così come costi e benefici. Esso quindi confonde anziché chiarire.

Da un mondo vuoto a un mondo pieno: il fattore limitante è cambiato

Quando il flusso entropico diventa troppo grande, sopraffa o la capacità rigenerativa delle fonti della natura o la capacità assimilativa dei pozzi della natura. Questo ci dice che non viviamo più nel mondo vuoto, ma piuttosto abitiamo in un mondo pieno. I flussi di risorse ora sono il fattore di scarsità e il lavoro e le riserve di capitale ora sono relativamente abbondanti. Questo schema di fondo di scarsità è stato invertito da un secolo di crescita.


Figura 2: Cambiamento dei fattori limitanti

Questa immagine semplice è istruttiva. In passato, la pesca era limitata dal numero di pescherecci e pescatori. Ora è limitata dal numero di pesci e dalla loro capacità di riprodursi. Più pescherecci non portano a più pesce pescato. Il fattore limitante non è più il capitale di pescherecci costruite dall'uomo, ma il capitale naturale rimasto di popolazioni di pesce e del loro habitat acquatico.
La logica economica vi direbbe di investire sul fattore limitante. La vecchia politica economica di costruire più pescherecci ora è antieconomica, quindi dobbiamo investire in capitale naturale, il nuovo fattore limitante. Come lo facciamo? Intanto, possiamo farlo riducendo la pesca per permettere alle popolazioni di pesci di tornare ai livelli precedenti e con altre misure come lasciare a maggese i terreni agricoli per ripristinare la loro fertilità. Più in generale, possiamo farlo ripristinando l'ecologia, la biodiversità, la conservazione e le pratiche d'uso sostenibili.

Si potrebbero disegnare quadri analoghi per altre risorse naturali. Cos'è che alla fine dei conti limita la produzione di legna tagliata? E' il numero di motoseghe, di segherie e taglialegna o le foreste che rimangono e il tasso di crescita dei nuovi alberi? Cosa limita i raccolti dell'agricoltura irrigua? E' il numero di tubi, irrigatori e pompe p le riserve d'acqua nelle falde, il loro tasso di riempimento e il flusso di acqua di superficie nei fiumi? Cosa limita il numero di barili di petrolio greggio pompato: il numero di piattaforme di trivellazione o i depositi di petrolio accessibile rimasti? Cosa limita l'uso di tutti i combustibili fossili: le nostre attrezzature minerarie e i motori a combustione o la capacità dell'atmosfera di assorbire i gas serra risultanti senza causare un drastico cambiamento climatico? In tutti i casi, è il secondo, il capitale naturale (sorgente o pozzo che sia), piuttosto che il capitale costruito dall'uomo.

Gli economisti tradizionali hanno reagito a questo cambiamento dell'identità del fattore limitante in tre modi. Il primo è che lo hanno ignorato – continuando a credere che viviamo nel mondo vuoto del passato. Il secondo è che hanno fatto finta che il PIL sia un numero etereo ed angelico piuttosto che un aggregato fisico. Il terzo è che hanno affermato che il capitale naturale non ha, di fatto, sostituito il capitale prodotto dall'uomo come fattore limitante, perché il capitale prodotto dall'uomo e il capitale naturale sono sostituti intercambiabili, almeno secondo le funzioni di produzioni neoclassiche.

Solo se i fattori di produzione sono complementi quello in numero ridotto può essere limitante. Quindi anche se il capitale naturale ora è più scarso di prima, questo non sarà un problema, dicono gli economisti neoclassici, perché il capitale prodotto dall'uomo è un sostituto “quasi perfetto” delle risorse naturali. Viene rappresentato come tale in funzioni di produzione moltiplicative come la ampiamente usata Cobb-Douglas. Ma moltiplicare i “fattori” di produzione per ottenere un “prodotto” è matematica, non economia. Nel mondo reale, ciò che chiamiamo “produzione” è di fatto trasformazione, non moltiplicazione. Le risorse naturali vengono trasformate da ingressi di capitale e di lavoro in prodotti utili e rifiuti.

Mentre le tecnologie migliorate possono certamente ridurre i rifiuti e facilitare il riciclo, gli agenti di trasformazione (capitale e lavoro) non possono essere utilizzati come sostituti diretti del materiale e dell'energia che vengono trasformati (risorse naturali). Possiamo produrre una torta di 4 chili e mezzo con solo mezzo chilo di ingredienti semplicemente usando più cuochi e forni? E, inoltre, come possiamo produrre più capitale (o lavoro) senza usare più risorse naturali? Mentre un investimento di capitale in sonar potrebbe aiutare a localizzare i pesci che rimangono, il sonar non è un buon sostituto di più pesce nel mare. E cosa succede al valore del capitale dei pescherecci, compresi i loro sonar, man mano che il pesce scompare?

Limiti alla crescita e la scala ottimale dell'economia in un mondo pieno

E' chiaro dalla Figura 1 che la transizione da un mondo vuoto ad uno pieno comporta costi e benefici. La freccia marrone da Economia a Welfare  rappresenta i servizi economici (benefici provenienti dall'economia). E' piccola nel mondo vuoto ma grande nel mondo pieno. Cresce ad un tasso decrescente perché, come esseri razionali, per primi soddisfiamo i desideri più importanti – La legge dell'utilità marginale decrescente. I costi della crescita sono rappresentati dai servizi ecosistemici in contrazione (freccia verde) che sono grandi nel mondo vuoto, ma piccoli nel mondo pieno. Diminuisce ad un tasso crescente man mano che l'ecosistema viene soppiantato dall'economia perché noi – in teoria – sacrifichiamo prima i servizi ecosistemici meno importanti – La legge dei costi marginali crescenti.

Possiamo riformulare ciò nei termini della Figura 3, che mostra il beneficio marginale in declino della crescita dell'economia e il costo marginale in aumento del risultante sacrificio ambientale:


Figura 3: I limiti della crescita

Dal diagramma, possiamo distinguere tre concetti di limiti della crescita:

1. Il limite della futilità si presenta quando l'utilità marginale della produzione arriva a zero. Anche senza nessun costo di produzione, c'è un limite a quanto possiamo consumare continuando a goderne. C'è un limite ai beni di cui possiamo godere in un dato periodo di tempo, così come c'è un limite dei nostri stomaci e della capacità sensoriale del nostro sistema nervoso. In un mondo con una povertà considerevole e in cui i poveri osservano quelli molto ricchi che si godono ancora la loro ricchezza in eccesso, molti vedono questo limite di futilità come molto lontano, non solo i poveri, ma tutti. Per il suo postulato di “non sazietà”, l'economia neoclassica formalmente nega il concetto di limite di futilità. Tuttavia, degli studi hanno mostrato che, oltre una “soglia di sufficienza”, sia la felicità percepita sia gli indici obbiettivi del benessere cessano di aumentare col PIL. (4)

2. La catastrofe ecologica è rappresentata da un netto aumento verticale della curva del costo marginale. Alcune attività umane, o nuova combinazione di attività, potrebbero indurre una reazione a catena, o punto di non ritorno, e far collassare la nostra nicchia ecologica. Il principale candidato per il limite catastrofico al momento è il cambiamento climatico fuori controllo indotto dai gas serra emessi nella ricerca della crescita economica. Quello che potrebbe accadere lungo l'asse orizzontale è incerto. L'assunto di un costo marginale in continuo e leggero aumento è piuttosto ottimistico. Data la nostra comprensione limitata di come funziona l'ecosistema, non possiamo essere sicuri di aver messo correttamente in sequenza i nostri sacrifici di servizi ecologici dal meno al più importante. Nel far strada alla crescita, potremmo sacrificare per ignoranza un servizio ecosistemico vitale prima di uno superficiale. Quindi la curva del costo marginale potrebbe in realtà salire e scendere in modo discontinuo, rendendo difficile definire il terzo e più importante limite, cioè il limite economico.

3. Il limite economico è definito dall'uguaglianza del costo marginale e del beneficio marginale e della corrispondente massimizzazione del beneficio netto. Il limite economico sembrerebbe essere il primo limite che incontriamo. Di sicuro si verifica prima del limite di futilità e probabilmente prima del limite di catastrofe. Nella peggiore ipotesi, il limite di catastrofe potrebbe coincidere col limite economico e determinarlo in modo discontinuo. Pertanto è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli come costi da conteggiare nella curva della disutilità prima possibile.

Dal grafico è evidente che la produzione e il consumo aggregati in aumento vengono giustamente chiamati crescita economica solo fino al limite economico. Oltre quel punto diventa crescita antieconomica perché aumenta i costi più dei benefici, rendendoci più poveri, non più ricchi. Ciononostante, continuiamo perversamente a chiamala crescita economica. Infatti, non troverete il termine “crescita antieconomica” in nessun libro di testo di macroeconomia. Ogni aumento di PIL reale viene chiamato “crescita economica” anche se aumenta i costi più rapidamente dei benefici. Che più ricco (più ricchezza netta) sia meglio di più povero è una verità lapalissiana. La domanda rilevante, però, è: la crescita ci rende più ricchi o ha cominciato a renderci più poveri aumentando il “malessere” più rapidamente del “benessere”?

Ci sono esempi di “malessere” ovunque, anche se sono ancora non misurati nei conteggi nazionali. Comprendono cose come scorie nucleari, cambiamento climatico da eccesso di carbonio in atmosfera, perdita di biodiversità, miniere esaurite, deforestazione, suolo eroso, pozzi e fiumi prosciugati e buco dell'ozono. Comprendono anche lavoro estenuante e pericoloso e il debito non saldabile derivato dal tentativo di spingere la crescita nel simbolico settore finanziario oltre ciò che è possibile nel settore reale.

Gli economisti osserveranno che la logica impiegata nella Figura 3 è famigliare in macroeconomia – la dimensione ottimale di una unità macroeconomica, che sia una ditta o una famiglia, si verifica dove il costo marginale è uguale al beneficio marginale. La logica non viene applicata alla macroeconomia, tuttavia, perché la seconda viene pensata come il Tutto piuttosto che una Parte. Quando una Parte si espande in un Tutto finito, impone un costo di opportunità sulle altre Parti che si devono restringere per farle spazio. Quando il Tutto stesso si espandesi pensa che non imponga nessun costo di opportunità perché non sostituisce niente, espandendosi presumibilmente nel nulla. Ma come visto nella Figura 1, la macroeconomia non è il Tutto. E' anche lei una Parte, una parte della più ampia economia naturale, l'ecosfera, e la sua crescita infligge costi di opportunità sul Tutto finito che devono essere considerati. Il rifiuto di riconoscere questo dipende dal fatto che molti economisti non possono concepire la possibilità che la crescita del PIL possa mai essere antieconomica.

Gli economisti standard potrebbero accettare la Figura 3 come un quadro statico ma poi sosterrebbero che, in un mondo dinamico, la tecnologia sposterebbe la curva dei benefici marginali verso l'alto e quella dei costi marginali verso il basso, spostando la loro intersezione (limite economico) sempre verso destra di modo che la crescita continua rimane sia desiderabile si possibile. Tuttavia, gli 'spostatori' di curve macroeconomiche devono ricordare tre cose. La prima è che la macroeconomia che cresce fisicamente è comunque limitata dalla propria sostituzione dell'ecosfera finita e dalla natura entropica del proprio flusso di mantenimento. La seconda è che la tempistica della nuova tecnologia è incerta. La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o entrare in funzione fino a dopo che abbiamo superato il limite economico. Manteniamo quindi la crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve si spostino? La terza è che le curve possono anche spostarsi nella direzione sbagliata, spostando il limite economico indietro verso sinistra. I “progressi” tecnologici del piombo tetraetile e dei clorofluorocarburi hanno spostato la curva dei costi in giù o in su? E l'energia nucleare? O il “fracking”?

Adottare un'economia di stato stazionario ad un macro livello (mentre, naturalmente, favoriamo i miglioramenti di assegnazione al micro livello) ci aiuta ad evitare di essere spinti oltre il limite economico. Potremmo prenderci il nostro tempo per valutare nuove tecnologie piuttosto che adottarle ciecamente nell'interesse della crescita aggregata che potrebbe anche essere antieconomica. E lo stato stazionario ci da una qualche assicurazione contro i rischi della catastrofe ecologica ,che invece aumentano col 'crescismo' e l'impazienza tecnologica.

Tre prospettive sull'integrazione di economia ed ecosistema

La nostra visione e le politiche dovrebbe basarsi su una visione integrata ed un'ecosfera non in crescita. Tre diverse concezioni hanno fondato tali tentativi sull'integrazione e tutti e tre partono dalla visione dell'economia come sottosistema dell'ecosfera e riconoscono quindi i limiti della crescita. Tuttavia differiscono nel modo in cui ognuna tratta il confine fra economia e il resto dell'ecosistema e queste differenze hanno grandi conseguenze nelle politiche di come ci adattiamo ai limiti.


Figura 4: Approcci all'integrazione di economia ed ecosistema

L'imperialismo economico cerca di espandere i confini del sottosistema economico finché non invade l'intera ecosfera. L'obbiettivo è un sistema, la macroeconomia come Tutto. Questo è ottenuto  attraverso l'internalizzazione completa di tutti i costi e benefici esterni nei prezzi. Quella miriade di aspetti della biosfera non scambiati abitualmente nei mercati vengono trattati come se fossero per imputazione di “prezzi ombra” - la miglior stima dell'economista di cosa il prezzo della funzione o cosa sarebbe se venisse scambiata in un mercato competitivo. Ogni cosa nell'ecosfera viene teoricamente resa comparabile in termini della capacità del suo prezzo di aiutare o ostacolare gli individui a soddisfare i loro desideri. Implicitamente, il fine perseguito è un livello ancora maggiore di consumo e il modo di ottenere effettivamente questo fine è la crescita del valore di scambio aggregato dei beni e dei servizi finali messi sul mercato (PIL).

L'imperialismo economico è essenzialmente l'approccio neoclassico. Le preferenze soggettive individuali, tuttavia capricciose o istruite, vengono prese come la fonte ultima di valore. Questo è un giudizio di valore perverso, non l'assenza di giudizi di valore, come la trattano di solito gli economisti. Siccome i desideri soggettivi sono pensati come infiniti nel complesso, così come la sovranità, la scala delle attività dedite alla loro soddisfazione tende ad espandersi. L'espansione è considerata come “tutti i costi sono internalizzati nei prezzi”.

Mentre i costi possono certamente essere internalizzati nei prezzi, questa non dovrebbe diventare una scusa per permettere l'eccessiva acquisizione dell'ecosfera da parte della crescita economica. Sfortunatamente, molti dei costi della crescita che abbiamo vissuto sono arrivati come sosprese. Non possiamo internalizzarli se prima non possiamo immaginarli e prevederli. Inoltre, anche dopo che alcuni costi esterni sono diventati piuttosto visibili (vedi cambiamento climatico), l'internalizzazione è stata molto lenta, parziale e con molta opposizione. Le ditte che massimizzano i profitti hanno un incentivo ad esternalizzare i costi. Finché l'idoneità evolutiva dell'ambiente di sostenere la vita non viene percepita come valore dagli economisti, è probabile che venga distrutta nella ricerca imperialistica di soggiogare ogni molecola e fotone della creazione alle regole pecuniarie dell'attuale massimizzazione del valore.

Non c'è dubbio che una volta che la scala dell'economia è cresciuta al punto che beni e servizi ambientali in precedenza gratuiti diventano scarsi è meglio se dovessero avere un prezzo positivo che riflette la loro scarsità che continuare ad avere un prezzo zero. Ma la domanda precedente rimane: stiamo meglio con la nuova scala più grande con beni che prima erano gratuiti al giusto prezzo o la vecchia scala più piccola con beni gratuiti a loro volta al giusto prezzo (a zero)? In entrambi i casi, i prezzi sono giusti. Questa domanda di macro scala ottimale non viene posta e nemmeno risposta dall'economia neoclassica e neanche da quella Keynesiana nella loro cieca ricerca della crescita.

Il riduzionismo ecologico comincia con la giusta intuizione secondo cui gli esseri umani e i mercati non sono esenti dalle leggi di natura. Ma poi procede verso la falsa illazione secondo cui l'azione umana è completamente spiegabile dalle leggi della natura e riducibile ad esse. Cerca di spiegare qualsiasi cosa accada all'interno del sottosistema economico con le stesse leggi naturali che applica al resto dell'ecosistema. Ingloba il sottosistema economico indifferentemente all'interno del sistema naturale, cancellandone i confini. Portata all'estremo, questa visione pretende di spiegare tutto con un sistema materialistico deterministico che non ha spazio per lo scopo e la volontà. Questa è una visione sensibile da cui studiare l'ecologia di una barriera corallina o di una foresta pluviale. Ma se si adotta per studiare l'economia umana, si rimane invischiati nella scomoda implicazione politica secondo cui la politica non può fare nessuna differenza.

L'ecologia ha ereditato dalla sua disciplina madre, la biologia, una misura della filosofia meccanicistica della biologia moderna. Ciò deriva da un fondamentalismo neo Darwiniano che spesso è accettato acriticamente da molti importanti biologi come una metafisica deterministica validata dalla scienza, piuttosto che come una fruttuosa ipotesi di lavoro per fare scienza. Il determinismo è completamente in contrasto con politiche intenzionali di qualsiasi tipo e di conseguenza con qualsiasi pensiero economico che punti alle politiche. Un matrimonio felice fra economia ed ecologia, come nella “economia ecologica”, deve superare questa incompatibilità latente. L'imperialismo economico riduce tutto alla volontà ed all'utilità umana, trascurando i limiti oggettivi del mondo naturale. Il riduzionismo ecologico vede solo leggi naturali deterministiche e le estende imperiosamente in  “spiegazioni” materialiste di volontà e consapevolezza umana come mere illusioni. E' una tragica ironia che la disciplina le cui scoperte scientifiche hanno fatto molto per aprire gli occhi ai pericoli ambientali che abbiamo di fronte è anche la disciplina le cui presupposizioni metafisiche hanno fatto molto per indebolire la nostra volontà di rispondere a questi pericoli con politiche intenzionali. (5)

L'imperialismo economico e il riduzionismo ecologico sono entrambi visioni monistiche, anche se monismo opposti. La ricerca monistica di una singola entità o principio con cui spiegare tutto porta ad un eccessivo riduzionismo da entrambe le parti. Di certo, la scienza dovrebbe sforzarsi per la più ridotta o parsimoniosa spiegazione possibile senza ignorare i fatti. Ma rispetto per i fatti empirici fondamentali da un lato e scopo e volontà coscienti dall'altro ci dovrebbero portare ad un tipo di dualismo pratico. Dopo tutto, che il nostro mondo consista di due caratteristiche fondamentali non offre alcuna improbabilità intrinseca rispetto a quello che poggia solo su una. Come interagiscono queste due caratteristiche fondamentali del nostro mondo (causa materiale e causa finale) è un mistero venerabile – esattamente il mistero che i monisti di entrambi i tipi stanno cercando di evitare. Stanno meglio negando l'ordine mentale del proprio monismo che negando i fatti che indicano un dualismo disordinato.  

La prospettiva che rimane è il sottosistema di stato stazionario. Questo non tenta di eliminare il confine del sottosistema espandendolo per farlo coincidere col sistema complessivo o riducendolo a niente. Piuttosto, afferma sia l'interdipendenza sia la differenza qualitativa fra l'economia umana e l'ecosistema naturale. Il confine deve essere riconosciuto e disegnato nel posto giusto. La scala del sottosistema umano definita dal confine ha un optimum e il flusso con cui l'ecosfera mantiene fisicamente e rifonde il sottosistema economico dev'essere ecologicamente sostenibile. L'obbiettivo dell'economia è di minimizzare il consumo di bassa entropia per ottenere uno standard di vita sufficiente – vagliandolo lentamente e con cura attraverso tecnologie efficienti tese a scopi importanti. L'economia non dovrebbe essere vista come una macchina stupida dedita a massimizzare i rifiuti. Il suo scopo ultimo è mantenere e godersi la vita a lungo (non per sempre) ad un livello sufficiente di ricchezza per una buona (non lussuosa) vita.

L'idea di un'economia di stato stazionario proviene dall'economia classica ed è stata sviluppata da John Stuart Mill (1857), che la chiamava “stato stazionario”. (6) In un tale stato, la popolazione e la riserva di capitale non crescerebbero più, anche se l'arte di vivere continuerebbe a migliorare. La costanza di queste due riserve fisiche definivano la scala del sottosistema economico. I tassi di nascita sarebbero uguali ai tassi di morte e i tassi di produzione a quelli di deprezzamento. Oggi, aggiungiamo che entrambi i tassi dovrebbero essere uguali a livelli bassi piuttosto che a livelli alti, perché valutiamo la longevità delle persone e la durata dei manufatti e vogliamo minimizzare il flusso, soggetto al mantenimento di riserve sufficienti per una buona vita.

Politiche per un'economia di stato stazionario

L'economia ecologica dovrebbe cercare lo sviluppo di una visione di stato stazionario e andare oltre le strade senza uscita di imperialismo economico e riduzionismo ecologico. Dieci politiche per andare verso un'economia di stato stazionario sono presenti sotto. Molte potrebbero venire adottate indipendentemente e gradualmente, anche se hanno coesione nel senso che alcune compensano le lacune di altre. Naturalmente, la questione del livello desiderato dell'economia di stato stazionario è cruciale e i limiti locali, regionali e globali devono essere considerati nel plasmare politiche efficaci.

(1) Sviluppare sistemi di Cap-Auction-Trade per le risorse fondamentali (in particolare i combustibili fossili): mettere dei tetti per le risorse naturali secondo tre regole chiave: (1) le risorse rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto si rigenerino, (2) le risorse non rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto vengano sviluppati i sostituti rinnovabili e (3) i rifiuti provenienti dall'uso di tutte le risorse non devono essere riversate nell'ecosistema più rapidamente di quanto possano essere assorbite e ricostituite dai sistemi naturali. Questo approccio ottiene scala sostenibile ed efficienza di mercato, evita effetti di rimbalzo ed aumenta i ricavi d'asta per rimpiazzare le tasse regressive.

(2) Spostamento fiscale: spostare la base fiscale da “valore aggiunto” (lavoro e capitale) a ciò a cui viene aggiunto il valore, per esempio il flusso di risorse naturali, la fonte di costi sociali come l'inquinamento e gli effetti negativi sulla salute pubblica. Tali tasse incoraggeranno anche un uso efficiente delle risorse.

(3) Limitare la disuguaglianza: stabilire un limite minimo e massimo di reddito, mantenendo le differenze sufficientemente grandi da preservare gli incentivi ma sufficientemente piccole da sopprimere le tendenze plutocratiche delle economie di mercato.

(4) Riformare il settore bancario: passare dal sistema bancario dalla riserva frazionaria al 100% di obblighi di riserva sui depositi a vista. I soldi non sarebbero più prevalentemente indebitamento gravato da interessi creato dalle banche private, ma  debito non gravato da interessi emesso dal Tesoro. Ogni dollaro prestato per gli investimenti sarebbe un dollaro precedentemente risparmiato da qualcun altro, ripristinando l'equilibrio classico fra investimento ed astinenza dal consumo e ammortizzando i cicli di espansione e contrazione.

(5) Gestire il mercato per il bene pubblico: passare dal mercato libero e dalla mobilità libera del capitale ad un mercato internazionale equilibrato e regolato. Mentre l'interdipendenza delle economie nazionali è inevitabile, la loro integrazione in un'economia globale non lo è. Il libero mercato svende le politiche di internalizzazione dei costi interni, portando ad una corsa verso il basso. La mobilità libera del capitale annulla l'argomentazione del fondamentale vantaggio comparativo di libero scambio delle merci. (7)

(6) Espandere il tempo libero: ridurre il lavoro convenzionale in favore del lavoro part-time, del lavoro personale, e del tempo libero, abbracciando in tal modo il benessere come misura centrale di prosperità riducendo la spinta alla produzione illimitata.

(7) Stabilizzare la popolazione: lavorare verso un equilibrio in cui le nascite più l'immigrazione sia uguale alle morti più l'emigrazione e in cui ogni nascita sia una nascita voluta.
(8) Riformare i conti nazionali: separare il PIL in un conto dei costi e in un conto dei benefici così che il flusso di crescita possa essere fermato quando i costi marginali eguagliano quelli dei benefici marginali.

(9) Ripristinare la piena occupazione: ripristinare la Legge per la Piena occupazione del 1945 degli Stati Uniti ed il suo equivalente in altre nazioni per far tornare la piena occupazione lo scopo  e la crescita economica il mazzo temporaneo. La disoccupazione/sottoccupazione è il prezzo che paghiamo alla crescita tramite l'automazione, la delocalizzazione, il mercato deregolamentato e una politica di immigrazione di lavoro a basso costo. In condizioni di stato stazionario, i miglioramenti di produttività porterebbero ad aumentare il tempo libero piuttosto che la disoccupazione.

(10) Far progredire solo la governance globale: cercare la comunità mondiale come una federazione di di comunità nazionali, non la dissoluzione di nazioni in un solo “mondo senza confini”. La globalizzazione da parte del libero mercato, la libera mobilità del capitale e la migrazione libera dissolve la comunità nazionale, non lasciando niente da federare. Tale globalizzazione è individualismo a caratteri cubitali – un feudalesimo post nazionale aziendale all'interno di beni comuni globali. Piuttosto, rafforzare la visione originale di Bretton Woods di economie nazionali interdipendenti e resistere alla visione del WTO di una unica economia integrata globale. Rispettare il principio di sussidiarietà: anche se il cambiamento climatico e il controllo delle armi richiedono istituzioni globali, l'applicazione di leggi fondamentali e la manutenzione delle infrastrutture rimangono problemi locali. Concentriamo la nostra limitata capacità di cooperazione globale su quei bisogni e funzioni che la richiedono realmente.

Contesto etico ed ecologico delle economie più ampio

Una cosa è suggerire un profilo generale di politiche, ma è completamente un'altra cosa dire come ci assicuriamo la volontà, la forza e la chiarezza dello scopo per portare a termine quelle politiche – specialmente quando abbiamo trattato la crescita come il sommo bene durante l'ultimo secolo. Tale volontà richiederà un grande cambiamento di visione filosofica e di pratica etica, un cambiamento che viene difficilmente garantito anche alla luce di circostanze sempre più pericolose in cui si trova il pianeta.

Come modo di contemplare un tale cambiamento, considerate la “piramide fini-mezzi” della Figura 5. Le politiche consigliate sopra sono a metà, sotto “Economia Politica”. Alla base della piramide ci sono fini ultimi (bassa entropia materia-energia) di cui abbiamo bisogno per soddisfare i nostri desideri, ma che non possiamo produrre, solo consumare. Usiamo questi mezzi ultimi direttamente, guidati dalla tecnologia, per produrre mezzi intermedi (per esempio manufatti, beni, servizi) che soddisfano direttamente i nostri bisogni. Questi mezzi intermedi sono assegnati dall'economia politica per servire i nostri fini intermedi (per esempio, salute, comfort, educazione), eticamente classificati da quanto fortemente contribuiscono al Fine Ultimo nelle circostanze esistenti. Possiamo percepire il Fine Ultimo solo vagamente, ma per classificare eticamente i nostri fini intermedi, dobbiamo confrontarli a qualche criterio ultimo. Non possiamo evitare un'indagine filosofica e teologica nel Fine Ultimo solo perché è difficile. Dare priorità richiede che qualcosa vada al primo posto.


Figura 5: Una piramide fini-mezzi dell'attività umana

La posizione di mezzo dell'economia è significativa. L'economia tradizionalmente ha a che fare con l'assegnazione di dati mezzi intermedi per soddisfare una data gerarchia di fini. Serve il problema tecnologico di convertire i mezzi finali in mezzi intermedi e il problema etico di classificare i fini intermedi con riferimento ad un Fine Ultimo come risolto. Tutto ciò con cui l'economia ha a che fare, quindi, è assegnare efficientemente dati mezzi fra una data gerarchia di fini. Trascurando il Fine Ultimo e l'etica, l'economia è stata troppo materialista; trascurando i mezzi fisici finali e la tecnologia, non è stata sufficientemente materialista.

La politica economica finale (stewardship - gestione) è il problema totale dell'uso di mezzi finali per servire meglio il Fine Ultimo, non più dare per scontate la tecnologia e l'etica, ma come passi nel problema complessivo da risolvere. Il problema generale è troppo grande per essere affrontato senza ridurlo alle sue parti. Ma senza una visione del problema nel suo totale, le parti non stanno insieme.
La base scura della piramide rappresenta la conoscenza relativamente solida e consensuale di varie fonti di bassa entropia materia-energia. Il vertice chiaro della piramide rappresenta il fatto che la nostra conoscenza del Fine Ultimo è incerta e non quasi consensuale come la fisica. Il singolo vertice disturberà i pluralisti che pensano che ci sono molti “fini ultimi”. Grammaticalmente e logicamente, tuttavia, “ultimo” richiede il singolare. Eppure c'è sicuramente spazio per più di una percezione della natura del Fine Ultimo singolare e molto bisogno di tolleranza e pazienza nel ragionare insieme su di esso.

Il Fine Ultimo, qualsiasi esso sia, non può essere la crescita. Un migliore punto di partenza per ragionare insieme è l'aforisma di John Ruskin che recita: “Non c'è ricchezza, ma vita”. Come potrebbe essere riformulata questa intuizione come obbiettivo politico? Suggerirei la definizione seguente: massimizzare il numero cumulativo di vite che verranno mai vissute nel tempo ad un livello di ricchezza pro capite sufficiente per una buona vita. Ciò lascia aperta la tradizionale questione etica di cosa sia la buona vita, mentre condiziona la sua risposta alle realtà di ecologia e dell'economia della sufficienza. Come minimo, sembra un'approssimazione più ragionevole dell'attuale obbiettivo impossibile di “sempre più cose per sempre più gente per sempre”.

Note

1. Dieter Helm, Lo stato del capitale naturale: ripristinare il nostro patrimonio naturale (Londra: UK Natural Capital Committee, 2014).

2. Questo nonostante i contributi di Nicholas Georgescu-Roegen e Kenneth Boulding. Vedete Nicholas Georgescu-Roegen, La legge di entropia e il processo economico (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1971); Kenneth Boulding, “L'economia della nave spaziale Terra in arrivo” su Qualità ambientale in un'economia in crescita, ed. H. Jarrett (Baltimora: Johns Hopkins University Press, 1966), 3-14.

3. Tim Jackson, Prosperità senza crescita: economia per un pianeta finito (Londra: Earthscan, 2009), 67–71.

4. Come indicato dal GPI (Genuine Progress Indicator) ed il suo predecessore ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare). Per una indagine informativa, vedete Ida Kubiszewski, Robert Costanza, Carol Franco, Philip Lawn, John Talberth, Tim Jackson e Camille Aylmer, “Oltre il PIL: misurare ed ottenere il Global Genuine Progress”, Economia ecologica 93 (settembre 2013): 57-68.

5. Questa contraddizione è più evidente nel lavoro dell'acclamato naturalista ed ambientalista Edward O. Wilson, che afferma con forza sia il determinismo materialista sia l'attivismo ambientale. Riconosce la contraddizione e, incapace di risolverla, ha semplicemente scelto di conviverci. Vedete Wendell Berry, la vita è un miracolo (Un saggio contro la superstizione moderna) (Washington, DC: Counterpoint Press, 2000), 26. Vedete anche il capitolo 23 in Economia ecologica e sviluppo sostenibile di  Herman Daly, (Cheltenham, UK: Edward Elgar, 2007).

6. John Stuart Mill, Principi di economia politica IV.VII.I (Londra, 1848).

7. Ai capitalisti interessa la massimizzazione dei profitti assoluti, pertanto cercano di minimizzare i costi assoluti. Se il capitale è mobile fra le nazioni, si sposterà verso la nazione coi costi assoluti più bassi. Solo se il capitale è internazionalmente immobile i capitalisti si scomoderanno a confrontare i rapporti di costo interno dei paesi e sceglieranno di specializzarsi nei prodotti interniche hanno il costo relativo più basso in confronto alle altre nazioni e di scambiare quel bene (sul quale hanno un vantaggio comparativo) con altri beni. In altre parole, il vantaggio comparativo è una seconda migliore politica che i capitalisti seguiranno solo quando la prima migliore politica di seguire il vantaggio assoluto viene bloccata dall'immobilità del capitale internazionale. Per approfondire quato, vedete il capitolo 18 di Ecologia economica di Herman Daly e Joshua Farley (Washington, DC: Island Press, 2004).

martedì 28 febbraio 2012

Cosa ci fa una specie così intelligente come la nostra in un dilemma come questo?

Traduzione da "Cassandra's Legacy" di Massimiliano Rupalti


Questo post di George Mobus, pubblicato su " Question Everything", va al cuore del problema; correttamente definito come “dilemma irrisolvibile" ("predicament" in inglese). Semplicemente non siamo attrezzati per affrontare la complessità che abbiamo creato. Ora, sembra che non possiamo fare altro che guardare il banchetto delle conseguenze

Troppo intelligente per il nostro bene;
di Craig Dilworth

Recensione di George Mobus

Un paradosso

Molti anni fa credevo, come la maggior parte della gente oggi, che l'intelligenza fosse la chiave per risolvere tutti i problemi dell'umanità (leggi innovazione, che supererà ogni problema, come danno per scontato i "tecnocornucopiani"). Ho passato un parte non breve della mia vita cercando di capire cosa sia l'intelligenza e come il cervello produca le capacità di risolvere i problemi complessi. Ho passato la mia infanzia guardando l'esplosione della scienza che si dispiegava e che è culminata, per esempio, nel portare degli uomini sulla Luna. Sono cresciuto sapendo che c'erano questi cervelli elettronici chiamati computer. Più tardi, ad un'età in cui si è ancora impressionabili, una volta che i prezzi e le dimensioni dei computer sono diminuiti, ho avuto la mia opportunità di giocarci. Mi sono immediatamente innamorato di una macchina che potevo programmare per risolvere rapidamente problemi per risolvere i quali avrei impiegato giorni. E mi sono imbattuto nei lavori di Alan Turing sull'idea che un dispositivo computazionale potesse essere capace di emulare l'intelligenza umana, soprannominata “Intelligenza Artificiale” (AI). Il “Test Turing” ha postulato che dovremmo attribuire intelligenza alle macchine se in una conversazione alla cieca con un vero umano, il secondo possa non accorgersi che sta parlando ad una macchina. Ho cominciato a vedere come una tale meraviglia possa essere realizzata.

Molti anni più tardi sono riuscito ad ottenere un dottorato in scienza del computer programmando un computer non ad emulare l'intelligenza umana, ma l'intelligenza di un neurone con le sue connessione sinaptiche adattative. Queste le ho assemblate in un modello computazionale di un cervello di lumaca, certamente poco evoluto, ed ho mostrato come tali cervelli possano controllare il comportamento e, più importante, emulare l'apprendimento (biochimico) di tipo animale attraverso un condizionamento in stile Pavlov. Mettendo questo cervello in un computer che controlla un piccolo robot Braitenberg ho potuto mostrare come il cervello abbia imparato caratteristiche dal suo ambiente sperimentato e come abbia adattato il proprio comportamento per conformarlo agli stimoli di quell'ambiente (gestito da stimoli causanti dolore e da stimoli di approccio gradevoli). Questo esercizio accademico mi ha fatto cominciare a scavare più a fondo su come funzionino le reti neurali biologiche nei cervelli reali. Ho letto ogni libro che ho potuto trovare e molti articoli di riviste sui vari aspetti delle neuroscienze cercando di capire come funzionavano. L'obbiettivo ovvio di AI era quello di riprodurre un'intelligenza di tipo umano in una macchina. La versione forte di questo programma contemplava anche la produzione di una macchina conscia (per esempio HAL 9000 di "Odissea nello Spazio")

Il campo di AI si è evoluto dai primi giorni ed ha prodotto alcuni prodotti computazionali utili. Ed anche se un programma come Deep Blue (IBM) ha battuto il maestro di scacchi Garry Kasporov e Watson (pure IBM) ha battuto i campioni d'azzardo di tutti i tempi a quel gioco, il fatto è che i computer ancora stimolano solo alcuni aspetti dell'intelligenza e quindi in settori di competenza limitati.


Attraverso l'evoluzione del campo, l'idea di un'intelligenza delle macchine ha generato un interesse considerevole da parte di psicologi, neurobiologi e filosofi. Innanzitutto, i dibattiti su cosa fosse l'intelligenza venivano generati ogni volta che AI sembrava far progressi. Forse uno dei più importanti contributi a questo campo è stato il mostrare come i cervelli reali fossero diversi da come i computer processano i dati. E con ogni nuova realizzazione dei computer, cercando di padroneggiare compiti che in precedenza erano stati pensati per richiedere intelligenza, diventava sempre più chiaro che il tipo di intelligenza umana era molto più complessa e sfumata dei nostri primi modelli. La mia stessa affermazione che il mio robot emulasse una “stupida” lumaca avrebbe potuto essere valida per un livello molto basso di intelligenza, ma è servita solo a sottolineare come i nostri approcci computazionali siano lontani dalla realtà del livello di intelligenza umano.

In ogni caso, le mie incursioni iniziali in AI attraverso fenomeni di apprendimento simulati in strutture simili ai neuroni, mi hanno tenuto agganciato all'idea di capire la realtà. Psicologia e neurobiologia hanno fatto passi così importanti per afferrare la natura dell'intelligenza e della consapevolezza umana che ho essenzialmente smesso di preoccuparmi di AI ed ho rivolto la mia attenzione più pienamente alla ricerca della vera intelligenza umana come oggetto di studio.

Per quanto è stato chiarito, specialmente negli ultimi decenni, sull'intelligenza umana, gran parte del mondo ritiene ancora che l'intelligenza sia la nostra più grande realizzazione mentale. In coppia con la capacità mentale gemella della creatività, l'intelligenza è vista come la quintessenza della cognizione; un genio è uno che ha grandi porzioni di entrambe in confronto agli umani ordinari. Il cervello umano è ritenuto fornire abilità nel risolvere problemi complessi. Noi identifichiamo spesso l'intelligenza con il pensiero razionale (per esempio la logica deduttiva) e portiamo i talenti matematici o scientifici come prova che siamo veramente una specie intelligente. Il solo fatto dell'esistenza della nostra abilità, prova che siamo più intelligenti di una qualsiasi scimmia.

Ma c'è un inconveniente in questo pensiero palliativo. Se provate a spiegare oggettivamente lo stato del mondo oggi come il risultato del nostro essere così intelligenti vi dovete porre una domanda molto importante: se siamo così intelligenti, perché noi umani ci troviamo in una situazione così terribile oggi? La nostra specie sta affrontando una costellazione di problemi straordinari e complessi per le quali nessuno può consigliare soluzioni fattibili (vedete sotto). Ironicamente, questi problemi esistono perché la nostra abilità, la nostra intelligenza, li ha creati. Le nostre attività, intelligenti come abbiamo pensato che fossero, sono le cause dei problemi che, collettivamente, minacciano l'esistenza stessa dell'umanità! Questo sembra un paradosso. Siamo intelligenti abbastanza da creare i problemi, ma non siamo intelligenti abbastanza per risolverli. La mia conclusione è che forse l'intelligenza non è abbastanza. Forse qualcosa di più importante della cognizione è andata perduta permettendo lo sviluppo di questa situazione difficile. Questo è stato il pensiero che ha motivato la mia ricerca di una risposta.

Craig Dilworth, docente di Filosofia Teoretica all'Univerisità di Uppsala in Svezia, si è fatto la stessa domanda da una prospettiva leggermente diversa, ma è arrivato ad una conclusione simile riguardo il ruolo dell'intelligenza nel creare la situazione difficile. In  Troppo intelligenti per il nostro bene Dilworth ricostruisce magistralmente la storia di come gli umani, essendo cosi abili ma ancora motivati dai propri istinti e meccanismi animali, abbiano fatto un vero casino. Detto semplicemente, conclude che l'esperimento evolutivo chiamato Homo Sapiens è intrinsecamente insostenibile. Egli costruisce le prove con cura e sapientemente, anche se ho qualche preoccupazione per quanto riguarda alcuni particolari di poca importanza (che esporrò in seguito). E non lesina le frecciate, quando necessario.


Il dilemma e le cause più probabili.


Buona parte del libro di Dilworth tratta dell'evoluzione dell'attuale specie umana e, in particolare, delle componenti residuali di comportamento umano ereditate dai nostri predecessori animali. In breve, chiarisce i vari meccanismi che stanno sotto a tutte le attività umane e questo dimostra solo quanto gli esseri umani siano realmente delle creature biologiche. Egli trae accuratamente un gruppo di principi dalla fisica, chimica e biologia che spiegano la traiettoria evolutiva che porta molto naturalmente alle scimmie abili. E quindi dichiara che è stata superata una soglia. Lungo le linee dei generi Australopithecus e Homo le loro abilità mentali hanno prodotto comportamenti che nessun altro animale precedente è stato capace di adottare, almeno all'estensione alla quale queste scimmie abili sono state in grado di portarli. In particolare i primi umani (il termine copre diverse specie) hanno imparato a controllare il fuoco, a diventare cacciatori e raccoglitori più efficienti con strumenti fatti da loro stessi e a proteggere sé stessi dalle bizze del clima costruendosi dei ripari e dei vestiti. Questa capacità di inventare e costruire li ha posti in una nuova relazione biologica con il resto del mondo biofisico. Li ha posti sulla strada di quello che Dilworth descrive come il “circolo vizioso”. Gli esseri umani possono estrarre risorse, non rinnovabili e rinnovabili, dall'ambiente ad un tasso crescente, sia pro capite quando cresce la popolazione, sia in termini assoluti. Consumiamo anche queste risorse dopo averle trasformate in forme utilizzabili, come i vestiti. Il nostro consumo, oltre alle devastazioni dell'entropia, significa che stiamo producendo uno spreco di prodotti a tassi crescenti nello stesso quadro dinamico dei tassi di estrazione. E non in grado di aiutarci da soli. Siamo guidati da mandati biologici a consumare come individui ed a procreare.

La parte sul fatto che non siamo in grado di aiutarci da soli è realmente il dilemma, la causa alla radice di tutti i nostri misfatti e dei seguenti problemi. Più prossimo al nostro attuale rompicapo, è un insieme di cause e delle loro conseguenze.

Le minacce su scala globale sono tantissime. Ecco una lista parziale di alcuni dei problemi più minacciosi, il ruolo umano nel causarli e le loro possibili conseguenze. Ognuno di questi potrebbe essere incredibilmente preoccupante per l'umanità, ma presi insieme, perché sono tutti in relazione fra loro e si nutrono l'un l'altro, sono convinto che significhino disastro certo, come crede anche un numero crescente di scienziati.

Sovrappopolazione

A parte in poche culture, che generalmente sono società di cacciatori-raccoglitori, e certamente fra le cosiddette civiltà della storia, il sentimento generale di “siate fecondi e moltiplicatevi” sembra aver prevalso. Gli umani, come gli animali, hanno alcuni, sebbene deboli, meccanismi interni per verificare la dimensione della popolazione relativa alla capacità di carico dell'ambiente. Molte culture hanno praticato varie forme di controllo della popolazione ed alcune lo fanno ancora oggi con diversi gradi di successo. Queste pratiche posso essere generalmente viste come parte delle cultura e sono state solo di recente viste come meccanismi biologici sottostanti. Alcune di queste pratiche sono considerate barbare ed immorali per i sentimenti civilizzati. Ma quando funzionano sembrano funzionare bene.

Dilworth argomenta, tuttavia, che questi controlli interni vengono facilmente sovvertiti dai più ampi istinti biologici di guida quando la popolazione percepisce che 1) l'ambiente può sopportare più persone e 2) servono più persone per fare il lavoro necessario all'estrazione delle risorse. Il punto di svolta nella preistoria umana è stato probabilmente l'invenzione dell'agricoltura. Quest'ultimo, ironicamente, non ha in realtà incrementato l'energia netta pro capite guadagnata rispetto alla caccia e alla raccolta, almeno quando quest'ultima è fatta in ambienti che forniscono una abbondanza rinnovabile di piante alimentari. Piuttosto, tende a diminuire l'incertezza della disponibilità di risorse alimentari, che sembra che noi umani apprezziamo. Anche, ironicamente, l'agricoltura necessita di più lavoro per unità di tempo per ottenere risultati affidabili, quindi una effettiva riduzione nel guadagno netto di energia per unità di tempo pro capite, spesa nella produzione di cibo.

In altre parole, Dilworth sembra argomentare che l'aumento della popolazione che è stato attribuito all'agricoltura non è avvenuto a causa di una maggiore di disponibilità di cibo, di per sé, ma dalla diminuzione della forza del segnale che avrebbe dovuto attivare i naturali controlli interni sull'espansione della popolazione permesso dalle tecnologie di produzione del cibo. Alle classi lavoratrici era meramente consentito di sussistere e procreare sufficientemente per assicurare una costante, o addirittura crescente, classe operaia per sostenere le classi più alte. E, più alta era la gerarchia di classe, più ampia era la base di classe operaia di cui aveva bisogno. Ma una tale espansione significava portare più terra a coltivazione in modo da sostenere la popolazione crescente e continuare a fornire un flusso costante di beni alle più alte sfere della gerarchia. La crescita della popolazione e l'attività “economica” - in origine l'agricoltura – sono così diventate una necessità e non solo una conseguenza.

Diminuzione dell'energia netta pro capite

Naturalmente, il problema è che c'è solo una certa quantità di terra che può essere coltivata. Viviamo in un mondo finito. Le risorse, terra compresa, sono finite. Mentre la crescita consuma sempre di più l'area intorno ai centri delle gerarchie della civiltà, si scontra o con altre gerarchie o con terreni marginali che alla fine non potranno sostenere la quantità di produzione necessaria. C'è un ulteriore ed interessante fenomeno che accade mentre l'espansione continua, anche se la terra è produttiva. Nelle condizioni in cui si viaggiava con carri a trazione animale, c'era una distanza naturale dal centro oltre la quale il ritorno netto di energia cominciava a diminuire geometricamente con l'aumento lineare (aritmetico) della distanza. Cavalli e buoi hanno bisogno di essere nutriti e possono portare solo un certo peso. La strategia della crescita come modo per mantenere l'impresa attiva dev'essere sembrata una buona idea ai supervisori, ma di fatto è arrivato un momento in cui ogni unità di crescita ha prodotto benefici decrescenti e alla fine negativi. Questo ha a che fare con l'idea avanzata per la prima volta da Joseph Tainter riguardo al collasso delle civiltà dovuto all'aumento della complessità. [1]

Il fenomeno di una popolazione che eccede le capacità di carico del proprio ambiente, definita come la capacità dell'ambiente di ricostituire i livelli di risorse richieste ad un tasso che possa sostenere un numero medio di individui (o più correttamente la quantità di biomassa rappresentata in una determinata specie) e di assorbire i prodotti di scarto di quella popolazione senza un sovraccarico tossico, è stato più volte documentato negli studi ecologici. Il mondo funziona principalmente su uno stabile ma limitato flusso di energia dal Sole. Alla fine, quel flusso determina il tasso di ricostituzione delle risorse biologiche (a parità di tutti gli altri fattori). Tutti gli altri animali sono costretti a capacità di carico relativamente fisse, almeno nei tempi di un normale ciclo di vita. Ma gli umani, con loro capacità di sfruttare fonti exosomatiche (al di fuori del proprio corpo) di energia e la loro capacità di inventare, hanno trovato una soluzione a questo limite di fondo. Hanno sviluppato modi per appropriarsi di risorse per sé stessi, lasciando alle specie non umane di meno per i loro bisogni. L'agricoltura, dopotutto, richiede di impiegare grandi appezzamenti di terreno con lo scopo di seminare poche colture di interesse per gli umani, generalmente in monocoltura. Troppo spesso questo finisce per essere una perdita di habitat per altre specie.

Una volta che gli umani hanno scoperto e cominciato ad attingere al conto bancario della luce solare fossile conosciuto come combustibili fossili, l'esplosione della popolazione era inevitabile. Negli ultimi due secoli, grazie all'alto contenuto energetico degli idrocarburi combustibili, l'energia netta pro capite usata per estrarre le altre risorse naturali e sostenere un maggior consumo sono andate crescendo. L'energia ottenuta dall'energia investita (EROEI) estraendo combustibili fossili era così alta all'inizio che l'inventiva umana nel trovare modi per consumare di più è stata apparentemente liberata da qualsiasi impedimento. La moderna società tecnologica è emersa come risultato.

Sfortunatamente i combustibili fossili sono esattamente il tipo di risorsa non rinnovabile che costituisce un limite superiore sull'estensione della popolazione. No, veramente è peggio di così. Perché noi abbiamo raggiunto un punto in cui quei combustibili stanno diminuendo in toto e quello che stiamo estraendo ora richiede più energia per farlo. Abbiamo l'equivalente di ciò che le prime civiltà hanno affrontato quando hanno raggiunto il limite geografico per il guadagno netto di energia. Ci stiamo avvicinando al punto di guadagno zero (se non lo abbiamo già superato) e da adesso in poi ogni essere umano sul pianeta affronterà un declino nell'energia netta disponibile per sopravvivere. Le disuguaglianze di reddito fanno sì che le variazioni causino un aumento della fame fra le classi più povere, mentre le classi più alte cercano di appropriarsi della ricchezza per sé.

La specie umana, come altre specie in condizioni simili, ha superato i limiti. La conseguenza tipica di tale condizione, principalmente perché le dinamiche non sono lineari, è un collasso, una cancellazione della maggior parte della popolazione [2]. Dilworth, nella sua conclusione, concorda con un crescente numero di ricercatori che questa è la conseguenza più probabile per l'umanità. Siamo animali, dopotutto.

Problemi derivati

La sovrappopolazione , cioè il superamento e la diminuzione dell'energia netta pro capite portano ad un gran numero di problemi secondari che anche giocheranno un ruolo in un futuro insostenibile per l'umanità. Stiamo esaurendo l'acqua potabile in molte regioni. Questo in parte a causa del superamento ma anche in parte a causa dei cambiamenti climatici che, a loro volta, sono aggravati, se non direttamente causati, dalla combustione dei combustibili fossili che aggiungono anidride carbonica, un gas serra, in atmosfera e negli oceani a tassi senza precedenti. Il globo si sta scaldando e questo porta al caos climatico di cui cominciamo ad essere testimoni. Ciò porta anche l'innalzamento dei livelli degli oceani che inonderanno molte regioni abitate del globo in un futuro non troppo lontano.

Dai tempi della prima agricoltura e della riorganizzazione della società, gli umani hanno avuto bisogno di qualche metodo conveniente per rappresentare astrattamente la ricchezza. All'inizio avevano bisogno di un modo per contare i cereali immagazzinati ed altri beni che sarebbero stati scambiati. In seguito hanno avuto bisogno di un modo conveniente di trasportare le rappresentazioni della ricchezza che controllavano e scambiare queste rappresentazioni piuttosto che trasportare la ricchezza stessa. I soldi sono stati inventati per svolgere questo compito. Non molto tempo dopo è stata inventata una forma di prestito per fungere da investimento in nuove imprese. Derivato probabilmente dalla distribuzione delle granaglie da utilizzare come sementi dai nuovi giovani agricoltori per iniziare, l'idea di prestare la ricchezza per generare più ricchezza in futuro ha preso piede. Oggi abbiamo il debito che finanzia tutto, dalle case alle scommesse (Wall Street). Quest'idea di usare soldi basati sul debito per investire su un futuro aumento della produzione di ricchezza era praticabile, anche se abusata, come è divenuto chiaro in anni recenti. Finché la fornitura di energia netta era in aumento, c'era sempre un'aspettativa che l'economia si sarebbe allargata e questo avrebbe permesso di saldare i debiti. Questo è stato il caso della rivoluzione industriale ed anche nel 1950 dell'espansione del petrolio e di altre forniture di combustibili fossili, che stavano sostenendo la capacità di fare più lavoro fisico nel futuro. Ciò significava che ci poteva essere più ricchezza prodotta nel futuro, abbastanza per ripagare sia il debito sia l'interesse (il costo del noleggio dei soldi per il rischio corso) e anche per ottenere un profitto. Ma ora che la fornitura di energia netta comincia a diminuire, la strategia della crescita e della finanza basata sul debito sta fallendo (al contrario di quella basata sul risparmio, come era il caso del prestito dell'eccesso di cereali ad un agricoltore sotto forma di seme). E siccome la società si è spinta molto lontano nella costruzione del debito, nell'aspettativa che la crescita continuasse per sempre, il conseguente scoppio della bolla che ne è seguita (e che è ancora in corso) ha avuto effetti devastanti sulle economie globali. E andrà solo peggio. Noi umani siamo stati incredibilmente intelligenti ad elaborare macchine, metodologie ed astrazioni che hanno sfruttato la disponibilità di risorse naturali, specialmente le risorse energetiche esosomatiche. Troppo intelligenti.

Ma non intelligenti abbastanza, pare, di pensare in anticipo alle conseguenze del consumo di risorse finite. Siamo stati e siamo molto abili. Ma non siamo saggi.


Cosa significa essere intelligenti?


Tutti i problemi di cui sopra potrebbero avere una soluzione se solo inventassimo le giuste tecnologie e le applicassimo in tempo per evitare dolore e sofferenza. Dovremmo essere in grado di farlo, visto che siamo scimmie intelligenti, giusto?

Questo è precisamente il punto di svolta dell'argomento. Siamo intelligenti. Intelligenti abbastanza da creare tecnologie come l'agricoltura e le macchine che sembrano risolvere certi problemi immediati. Cerchiamo una maggiore sicurezza nella nostra fornitura di cibo, quindi piantiamo e ci prendiamo cura delle nostre colture. Ci dobbiamo stabilire in un luogo per farlo, ma questo, all'inizio, sembra un effetto secondario benefico. Vogliamo avere spazi velocemente e lavoriamo duramente e più velocemente, così inventiamo strumenti basati sulle macchine che richiedono delle fonti di energia esterna per funzionare. Risolviamo un problema, il problema dell'aumento della domanda di prodotti, producendoli più rapidamente. Ad ogni svolta, la scimmia intelligente ha risolto un problema immediato e lo ha fatto con risultati straordinari. Ciò che questa scimmia ha anche fatto è ignorare il meta-problema. Ogni soluzione di un problema porta con sé i semi di un altro problema di più grande portata. Dilworth vede lo schema chiaramente. Risulta che la versione entropica della Seconda Legge della Termodinamica spiega la situazione [3].

Nel processo umano di invenzione di modi quello che per loro è lavoro utile (a risolvere problemi), essi hanno effettivamente ridotto l'entropia locale nelle loro vicinanze. Cioè, hanno aumentato l'ordine (per esempio costruendo attrezzature e strutture funzionali) per sé stessi. Ma la Seconda Legge ci dice che ogni guadagno in ordine in un sistema può venire solo a spese di un più grande aumento di disordine (entropia) del sistema più grande che lo contiene – l'ambiente. Quindi anche quando gli umani hanno aumentato il “valore” del proprio mondo costruito, lo hanno fatto a scapito maggiore dell'ambiente. Ordine ed organizzazione sulla Terra sono diminuiti complessivamente (pensate, ad esempio, alla biodiversità – una delle misure dell'organizzazione/complessità), come richiede la Seconda Legge, ma ad un tasso accelerato dalle attività umane. Il sistema Terra ha operato vicino ad un equilibrio dinamico (il primo capitolo di Dilworth fornisce intuizioni sul significato di ciò) precedentemente all'evoluzione degli umani. Questo perché il flusso di energia in arrivo dal Sole sì è stabilizzato ed anche se la Terra ha vissuto dei cicli (per esempio le ere glaciali) di alti e bassi, nel complesso la biosfera è stata adattativamente capace di mantenere le sue attività precisamente perché il tasso di fluttuazione ha corrisposto al tasso di cambiamenti evolutivi fra le specie. Dopo che gli esseri umani hanno cominciato, questo stato dinamico è stato interrotto per sempre, con grande dissipazione di energia e riaggiustamenti di molti dei cicli geochimici di lungo corso e di larga scala come i cicli del carbonio e quello idrologico. Tutto questo ora è testimoniato su scala globale. E questa è molto probabilmente la causa più immediata di tutti gli altri nostri problemi.

Così questa è la parte cruciale della questione. Siamo abbastanza intelligenti da aver creato questa situazione in virtù della nostra capacità di aumentare l'entropia nell'intero sistema Terra. Ma non siamo così intelligenti da rimetterlo a posto. Questo è a causa di un semplice fatto. L'intelligenza è per l'invenzione e la soluzione di problemi locali. L'intelligenza e la creatività sono grandi per trovare nuovi modi di aumentare l'entropia. In una spirale perversa, questo è esattamente ciò che è stata l'evoluzione biologica! E noi, umani intelligenti, abbiamo semplicemente adempiuto a questo mandato biologico. Sfortunatamente, dal mio punto di vista, questo significa che neanche il più grande dei controlli naturali, un controllo di retroazione negativa per cui gli umani distruggono gli stessi sistemi di supporto di cui hanno bisogno per esistere, correggerà la situazione. Ogni volta che un qualsiasi sistema va fuori controllo, si rompe. Perché il sistema costruito dagli umani dovrebbe essere diverso?



Il principio del circolo vizioso


Così arriviamo al principio del circolo vizioso di Dilworth (VCP – Vicious Circle Principle). L'uomo diventa abbastanza intelligente da diventare inventivo. Inventa cose che gli permettono di sopravvivere e, per via di una forma fisica migliorata, produce più prole. Ma spesso crea qualcosa di simile ad un surplus e la natura aborrisce sia il vuoto che la concentrazione, così l'uomo genera più uomini per sistemare il surplus. Oppure inventa una qualche variazione su uno strumento utile che produca qualcosa che l'uomo possa desiderare, anche se non in stretta relazione con la sopravvivenza. Dopo un po', soddisfatti quei desideri, l'uomo si abitua ad avere un qualcosa che poi diventa effettivamente un nuovo bisogno. Ma poi il superamento dei limiti della popolazione riduce la disponibilità di qualsiasi cosa ed ecco un nuovo problema. Quindi si torna al tavolo da disegno per inventare qualcos'altro che soddisfi il nuovo bisogno. E risiamo d'accapo. Non ho reso giustizia alla spiegazione di Dilworth, qui. Ho solo voluto dare al lettore un senso della direzione che prende l'autore. Naturalmente potreste leggere il suo lavoro per entrare nei dettagli. E ci sono molti più dettagli che egli analizza in modo superbo.

Questo VCP, secondo le tesi di Dilworth, è la penultima causa alla radice di tutti i problemi che stiamo vivendo. E' il processo dove sarebbe necessario un intervento per fermare e invertire la situazione difficile. Ma in questo sta il problema più grande. Il VCP esiste a causa della nostra natura umana e non c'è nessun cambiamento a breve termine che consenta un intervento che possa fermare la dinamica del circolo vizioso.

Penso che Dilworth abbia veramente puntato il dito sul problema centrale per l'umanità. Siamo presi in un circolo di attività che è “vizioso” nel senso che crea e peggiora tutti i problemi che affrontiamo. Ma ho delle riserve su questo modo di presentarlo.

“Vizioso” è un termine intriso di significato. Questo cerchio, che aumenta l'entropia generale della Terra, sembra vizioso precisamente perché siamo vittime e non ci aiuta avere una prospettiva antropocentrica. Ma, visto dalla prospettiva dell'evoluzione, non c'è proprio nulla di vizioso. Infatti il termine vizioso non ha affatto senso nell'evoluzione. Avremmo pensato alla cometa che si è schiantata sulla Terra 65 milioni di anni fa e che sembra essere stata determinante nell'uccisione dei dinosauri come viziosa? I cambiamenti climatici associati alle antiche glaciazioni, che sembrano essere state determinanti nell'evoluzione del genere Homo, sono da considerarsi viziosi perché hanno creato le condizioni per cui le specie primitive di umani si sono estinte?

Ho preferito pensare al fenomeno dell'abilità umana come all'emergenza di un nuovo fenomeno esattamente allo stesso modo in cui ora pensiamo all'emergenza della vita dalla chimica pre-biologica. Naturalmente, abbracciare questa prospettiva significa che la distruzione della civiltà ed il potenziale evento a collo di bottiglia per l'umanità [4] sono fondamentalmente necessari. E questa è la parte difficile da buttare giù. Come esseri umani nessuno potrebbe “volere” la morte della nostra specie, è certo. D'altra parte, se siamo davvero così intelligenti come da capire tutte le implicazioni dell'evoluzione in sé, forse potremmo arrivare ad accettare l'inevitabilità delle sue conseguenze.

Conclusione


Complessivamente, penso che il libro di Dilworth abbia aggiunto una prospettiva importante alla comprensione delle difficile situazione dell'umanità. Questo per dire che, una volta riconosciuto che l'umanità sta fronteggiando una situazione difficile che potrebbe non avere una soluzione ma un collasso e una morte, almeno Dilworth fornisce una spiegazione per come questo sia accaduto.

Ho solo un problema tecnico con il lavoro ed una differenza filosofica. Il problema tecnico ha a che fare con la forte fiducia dell'autore nel concetto di cariotipologia per spiegare la speciazione. Lui usa il cariotipo come se lo equiparasse al marcatore di speciazione, cioè, due specie diverse all'interno di un singolo gene avrebbero diversi cariotipi. Gli evoluzionisti ed i genetisti ai quali ho parlato di questo, hanno espresso perplessità a questo uso. I cariotipi si riferiscono alla forma strutturale dei cromosomi, specialmente per come appaiono nella metafase della divisione cellulare mitotica. E' il caso che diverse specie all'interno di un dato genere possano avere numeri e forme diverse di cromosomi che si pensa interferiscano con l'ibridazione (almeno praticabile), ma non è sempre così. Si pensa che la differenziazione delle specie sia più generalmente su base genetica. Alcune diversità genetiche, naturalmente, potrebbero essere la cause delle differenze dei cariotipi, ma questo è un effetto collaterale della speciazione, non la causa. Anche con questa possibile interpretazione errata di causa ed effetto nella speciazione, la narrazione complessiva di Dilworth è funzionalmente corretta, quindi l'affidamento alla cariotipologia non toglie materialmente nulla alla storia.


Sono d'accordo con l'autore per quanto riguarda il percorso attraverso il quale abbiamo raggiunto questo punto di incontro. Sono d'accordo sul fatto che siamo troppo intelligenti per il nostro bene. Ma il mio punto di vista è che questo non è un'accusa all'intelligenza ed alla creatività, quanto un riconoscimento di un'inadeguatezza, ad oggi, per l'evoluzione di una mentalità che potrebbe essere più adatta a gestire la nostra intelligenza. Siamo intelligenti, ma non adeguatamente saggi. E non siamo adeguatamente saggi perché la struttura cerebrale che gestisce il nostro giudizio di ordine superiore non si è ancora evoluto a sufficienza per gestire la nostra intelligenza. Avrete sentito il vecchio detto: “Solo perché possiamo fare una cosa non significa dovremmo farla”. Solo perché abbiamo capito come dividere l'atomo per generare energie inimmaginabili non vuol dire necessariamente che dovremmo costruire bombe atomiche o reattori nucleari. Lo abbiamo fatto perché potevamo e non c'era alcuno giudizio di ordine superiore che ci ha fornito le intuizioni sui pericoli del progresso in quella direzione.

La base del cervello per un giudizio di ordine superiore ed intuitivo, guida imparziale per prendere decisioni, è quello che ho chiamato saggezza. E' la capacità del cervello più nuova in termini evolutivi ed è profondamente connessa alla capacità degli umani di formare rappresentazioni astratte, specialmente il linguaggio. Si è evoluta insieme con l'intelligenza ma ha iniziato “più tardi” nella storia evolutiva, così non è in fase con la prima. Deve recuperare. La mia storia finisce in modo un po' diverso da quella di Dilworth. Vedo lo stallo incombente come l'opportunità evolutiva perché questo accada. In altre parole, piuttosto che scrivere semplicemente che il genere Homo ha fallito perché era troppo intelligente, preferisco immaginare che il collo di bottiglia sia un'opportunità per la saggezza di espandersi ed arrivare a fornire un'adeguata capacità mentale di gestione della nostra abilità. Ho sviluppato uno scenario per l'ulteriore evoluzione delle strutture del cervello coinvolte nella saggezza che richiedono un'aggiunta di materia cerebrale sorprendentemente piccola – è più un problema di leggera riorganizzazione e connessione. Naturalmente ciò è altamente speculativo. Ma ha basi nella neuroscienza e nella teoria dell'evoluzione. Non è una vana speculazione. E il valore del partecipare alle conseguenze sta in ogni cosa che possiamo scongiurare per diminuire il dolore e la sofferenza – essere avvisati è essere preparati. Il vero valore del lavoro di Dilworth è di trovare almeno qualche soddisfacente spiegazione intellettuale (anche se inquietante) sul perché siamo dove siamo.



Note bibliografiche

[1] Tainter, J. (1988). The Collapse of Complex Societies, Cambridge University Press.
[2] Catton, William (1982). Overshoot: The Ecological Basis of Revolutionary Change, University of Illinois Press.
[3] See: Schneider, E. D. & Sagan, D. (2006). Into the Cool: Energy Flow, Thermodynamics, and Life, University of Chicago Press.
[4] See: Catton, William (2009). Bottleneck: Humanity's Impending Impasse, Xlibris.

Vedi anche il review del libro: Question Everything: Humanity's Impending Impasse.