martedì 16 aprile 2013

La trappola di Desdemona: affrontare il negazionismo nel dibattito sul cambiamento climatico

Di Ugo Bardi

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


La trama dell'Otello di Shakespeare ci può raccontare qualcosa su come affrontare il negazionismo nel dibattito sul cambiamento climatico. Nella figura, vediamo Desdemona in un'interpretazione di Dante Gabriel Rossetti.



Nell'Otello di Shakespeare, vediamo un bell'esempio di quanto facilmente la mente umana possa essere manipolata. Nel dramma, il cattivo Iago convince Desdemona, moglie di Otello, a supplicare suo marito per il suo amico, Cassio. Lei non sa che, allo stesso tempo, Iago ha instillato nella mente di Otello il sospetto che lei stia avendo una tresca con Cassio. Così, più Desdemona supplica per Cassio, più Otello si convince che lei lo stia tradendo. Il risultato è una catena di fraintendimenti che si auto rinforza e che alla fine porta al disastro.

Otello, chiaramente, ha sofferto di una sindrome che oggi verrebbe chiamata “cospirazionismo”. Non è raro come tratto della personalità umana. Jared Diamond, nel suo libro “Il mondo fino a ieri”,  sostiene che la “paranoia costruttiva” sia un tratto genetico orientato alla sopravvivenza. Infatti, potrebbe essere meglio essere spaventati da un pericolo inesistente piuttosto che infilarsi inconsapevoli in una trappola. Ma, se la paranoia potrebbe essere stata un bene nel mondo pericoloso dei cacciatori-raccoglitori di un tempo, nel nostro mondo sfruttare la paranoia è diventato un modo facile per manipolare le menti; i governi lo fanno in continuazione. Ma i governi non sono i soli attori in questo gioco e la mentalità paranoide potrebbe essere anche il fattore principale che genera il comunemente definito atteggiamento “negazionista” nel dibattito sul cambiamento climatico.

Il “Negazionismo” è una forma di rifiuto di accettare la realtà che avviene in molti campi della conoscenza, ma che assume un aspetto particolarmente virulento nel dibattito sul cambiamento climatico. Quelli che sono attivamente impegnati nella negazione della validità della scienza del clima e dei sui risultati vengono spesso definiti “negazionisti” o “falsi scettici”. Hanno raramente credenziali scientifiche in campo climatico, o anche in generale in campo scientifico, e le loro dichiarazioni sono solo superficialmente scientifiche. Sembrano essere concentrati sull'idea che gli scienziati non solo sbagliano le loro conclusioni, ma piuttosto che sono coinvolti in un piano per diffondere bugie sul clima per guadagnare prestigio e soldi.

Gli studi di Lewandowsky e dei sui collaboratori mostrano che i negazionisti hanno spesso un'impostazione mentale cospirazionista; cioè, tendono a credere più della persona media a cospirazioni come “scie chimiche”, “petrolio abiotico”, leggende assortite sul 11/9, falsi atterraggi sulla luna e cose simili. Così, sembra che i negazionisti elaborino le informazioni sul cambiamento climatico secondo la struttura del proprio specifico “meccanismo cognitivo”, che è dominato dal concetto di cospirazione. La loro paranoia costruttiva gioca loro degli scherzi, portandoli alla conclusione che il cambiamento climatico sia un'enorme cospirazione che vede gli scienziati del clima ed i governi allearsi per portare l'umanità alla sottomissione ed alla schiavitù (1).

Questo non significa che non ci siano delle lobby potenti che diffondono disinformazione in rete e nei media – esistono. Ed abbiamo anche le prove di singoli scienziati e professionisti pagati per diffondere menzogne. Tuttavia, non c'è alcuna prova che i singoli negazionisti climatici del tipo che passa il tempo a “trollare” sulla rete siano pagati per quello che fanno. Non possiamo escludere che alcuni di loro possano esserlo, ma importa poco. Pensate a questo: quanto vorreste essere pagati per aiutare a distruggere il mondo (compresi voi stessi)? Nessun pagamento sarebbe abbastanza, a meno che non crediate veramente che il cambiamento climatico sia una cospirazione malvagia per schiavizzare tutti. Quindi, la aziende di pubbliche relazioni che gestiscono le campagne di negazione per conto delle lobbie dei combustibili fossili sfruttano semplicemente questo atteggiamento, senza bisogno in realtà di pagare realmente i troll.

Una volta che capiamo la mentalità dei negazionisti, vediamo come sia facile per gli scienziati cadere nella trappola di Desdemona. Normalmente, gli scienziati hanno cercato di usare argomenti scientifici per difendere i loro punti, senza rendersi conto che più perorano la realtà del cambiamento climatico, più i negazionisti vedono le loro credenze rinforzate. Per le loro menti orientate alla cospirazione, ogni argomento razionale portato nella discussione diventa ulteriore prova della cospirazione in atto (pensate alla situazione di Desdemona!).

Allo stesso tempo, chi ha una mentalità scientifica trova il comportamento dei negazionisti completamente impossibile da capire in termini razionali. Di conseguenza, tendono a pensare di avere a che fare con disinformatori di professione. Il che significa, naturalmente, cadere ancora di più nella trappola di Desdemona. Se queste accuse vengono espresse esplicitamente (e qualche volta lo sono), i negazionisti vedranno ancor di più confermate le proprie credenze. Queste posizioni contrastanti portano ad un anello che sia auto rinforza in cui i partecipanti di entrambe le parti si trincerano sempre più nelle proprie credenze opposte.

Alla fine, la tragedia di Shakespeare si sta svolgendo di fronte a noi. La lobby dei combustibili fossili sta interpretando il ruolo di Iago; i negazionisti il ruolo di Otello; gli scienziati quello di Desdemona, tutti completamente immersi nei loro ruoli diversi. Finora, Iago sta vincendo a mani basse giocando sull'ingenuità sia di Desdemona sia di Otello. Se il “dibattito” (si fa per dire) continua in questi termini, il risultato finale può solo essere, giustamente, una tragedia – in questo caso per l'intera umanità.

Quindi come facciamo ad evitare la trappola di Desdemona? Be, ci sono alcuni errori che possiamo evitare. Il primo è pensare che possiamo convincere i negazionisti con argomentazioni scientifiche. Dovrebbe essere chiaro che non funziona: più provi a farlo, più cadi nella trappola. Ma il vero errore cardinale che possiamo fare quando discutiamo con un negazionista è quello di perdere la calma e di usare il sarcasmo, gli insulti o – peggio ancora – di accusarla/o di essere un troll pagato. Questo è il modo perfetto per cadere a testa in giù nella trappola di Desdemona. Pensate all'impressione che date alle persone che seguono il dibattito e che non sono orientate alla cospirazione (2) – penseranno che siete voi i cattivi! A questo punto, il gioco è finito – avete perso.

Cosa dovremmo fare quindi? Be' ricordiamo che i negazionisti climatici orientati alla cospirazione sono una piccola minoranza nel mondo, anche se possono essere molto rumorosi. Così, l'obbiettivo della vostra azione non sono loro, è la grande maggioranza della gente che non è cospirazionista e che non ha ancora elaborato l'informazione sul cambiamento climatico nella propria mente. Così la cosa migliore è quella di evitare il confronto coi negazionisti (a meno che non sia assolutamente necessario) e concentrarsi nella diffusione del concetto di cambiamento climatico al pubblico in generale. Per esempio, lasciate che citi  da “DarwinSF”:

“Il nostro progetto di un giorno per le scuole elementari, il Cambiamento Climatico è Elementare, aggira il solito discorso negativo presupponendo che ogni persona colta concordi che sia un “fatto” scientifico che il clima stia cambiando e che l'uomo è ampiamente responsabile. Noi non ci confrontiamo coi negazionisti e gli scettici, noi li eludiamo portando la scuola di famiglia direttamente ad una visione di un futuro verde e pulito. Ci concentriamo anche sul lavorare con gli innovatori, gli anticipatori e la maggioranza agli inizi, che tendono ad essere d'accordo con noi. Noi ignoriamo la maggioranza tardiva ed i ritardatari, o negazionisti, che semplicemente si aggiungeranno al nostro programma più tardi”.

Visto? E' questo il modo di procedere. Pensare positivo, eludere i negazionisti e concentrarsi sulla realtà. E' una battaglia che possiamo ancora vincere se capiamo come combatterla.

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Note

(1) C'è una domanda interessante circa la mentalità cospiratoria dei negazionisti: se sono così preoccupati di essere vittime della cospirazione messa in piedi dagli scienziati del clima, come mai non sono preoccupati dalla cospirazione opposta, messa in piedi dalla lobbie dei combustibili fossili? Questo è un punto che secondo alcuni prova che siano dei troll pagati. Ma questo non è necessariamente vero. Siccome sto citando Shakespeare in questo post, potrei commentare dicendo che, “In questa pazzia c'è del metodo!”. La mia impressione è che il “metodo” sia nell'impostazione mentale dei negazionisti che è piuttosto coerente con le loro varie sfaccettature mentali. I negazionisti vedono sé stessi come combattenti per la libertà, pensatori indipendenti immuni dalla macchina di controllo mentale messa in piedi dai governi. Come tali, tendono a proiettare sé stessi nella figura dello “scienziato-solitario-che-lotta-contro-l'establishment” e ad avere molta fiducia in sé stessi (raramente sé stesse). Questo spiega, per esempio, il perché le persone che credono che l'esaurimento del petrolio sia una bufala per farci pagare prezzi più alti per la benzina, spesso cadano in una gioia estatica quando ascoltano nuove promesse di energia libera ed abbondante  da parte del genio solitario del giorno. Infatti, molte truffe di successo sono basate sulla narrazione del singolo individuo che lotta contro l'establishment. E, tornando a Shakespeare, pensate a questo: come mai Otello sospetta di Desdemona ma non di Iago?, Be', perché Otello proietta la sua stessa personalità in quella del suo compagno d'armi, Iago, mentre non può fare la stessa cosa con Desdemona. Noi umani siamo così: tendiamo a credere quello che pensiamo di capire (e Shakespeare ha capito gli umani probabilmente meglio di ogni altro umano nella storia)

(2) Pensate ad un'altra sfaccettatura della tragedia di Shakespeare: come il protagonista, Otello, reciti il ruolo dell'idiota totale nella storia – così facilmente abbindolato nel distruggere sé stesso e tutto intorno a lui. E, tuttavia, Otello non ci appare come uno sfigato idiota. No, noi lo vediamo come una figura tragica con la quale simpatizziamo. Sapete perché? Perché lui comincia il gioco con un grande handicap, quello di essere nero in un mondo tutto bianco. Il fatto che Otello sia nero è il punto cruciale della trama che, altrimenti, sarebbe semplicemente ridicola. Ora, pensate ai negazionisti nel dibattito sul clima: partono con un handicap ancora più grande di quello di Otello. Sanno poco o niente della scienza del clima e tuttavia hanno intrapreso una lotta coi migliori esperti di quel campo. Curiosamente, questo handicap genera un forte effetto psicologico in loro favore: è chiamato il “fascino del perdente”(o anche l'effetto “Silvestro contro Titti”). Lo vedete usato di continuo nell'industria cinematografica – il vincitore finale della battaglia è sempre quello che sembrava il perdente all'inizio. Quindi, se siete degli scienziati climatici, state attenti ad evitare di mettervi nel ruolo del cattivo dei film!

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Date anche un'occhiata al blog “Desdemona's Despair”, definito come “la stanza di compensazione per le peggiori notizie sul futuro della vita sulla Terra, come riscaldamento globale, cambiamento climatico, deforestazione, sovrasfruttamento della pesca, acidificazione, perdite di petrolio, esaurimento delle risorse, siccità, inquinamento, sovrappopolazione, zone morte, estinzione di massa e condanna”. Le ragioni per la scelta del nome “Desdemona” non sono dichiarate da nessuna parte nel blog, ma potrebbe ben essere la stessa che ho descritto in questo post.




lunedì 15 aprile 2013

Il mito del consumo sostenibile

Da “Is Sustainability still possible?”. Traduzione di MR


Di Alison Singer




L'etichettatura ecologica fornisce ai consumatori
 scelte socialmente ed ecologicamente rispettose,
ma incoraggiano anche un ulteriore consumo
 (Foto: per gentile concessione di jetalone via flickr)
In tutto il globo, il concetto di consumo sostenibile viene propagandato come la strada per il futuro, un cambiamento nello stile di vita e nei valori che promette “crescita verde” - crescita economica che non danneggia la natura. Anche se non senza ostacoli e controversie, questo concetto è stato abbracciato dai politici, dai consumatori e dall'industria. L'idea è che, fornendo ai consumatori una gamma di prodotti che riflettono i loro nuovi valori ambientali, il mercato si auto regolerà nel suo percorso verso un futuro più sostenibile, uno in cui gli scaffali dei supermercati vi siano allineati prodotti amici dell'ambiente e in cui lavoratori dei paesi in via di sviluppo ricevano salari equi per il loro lavoro. Etichettatura ecologica, tasse sul consumo di acqua ed energia, incentivi sul riciclaggio, campagne di educazione e comunicazione e pubblicità, sono esempi dei metodi per promuovere il consumo sostenibile, e tutto quanto è approvato dall'OCSE.

Il riciclaggio può rendere perpetuo il paradigma dell'alto
 consumo? (foto per gentile concessione di timtak via flickr)
Tuttavia, il consumo sostenibile non affronta la radice del problema: che la crescita economica senza limiti – a prescindere da quanto ecologicamente orientata – è ugualmente insostenibile. Nello Stato del pianeta 2013, Annie Leonard indica che la concentrazione sul consumo sostenibile “ci distrae dall'identificare e richiedere il cambiamento da parte dei veri motori del declino ambientale... Descrivere i problemi e le soluzioni ambientali di oggi come problemi individuali ha anche un effetto di perdita di potere, lasciando percepire alle persone che il loro più grande potere risiede nel perfezionare le proprie scelte quotidiane”. Un gruppo di ricerca del nord sta cercando di sfatare il mito del consumo sostenibile per aiutare i politici as attuare le politiche veramente efficaci. I miti più dannosi, evidenziati in un recente seminario sul Web (webinar) sono i seguenti:


  • la credenza che piccole azioni individuali avranno un effetto di propagazione;
  • se tutti fanno qualcosa otterremo molto collettivamente;
  • più informazione porta ad un comportamento sostenibile.

La ragione per cui questi miti sono così pericolosi è che essi piazzano il fardello della responsabilità sui consumatori anziché sui produttori e questo a sua volta influenza il tipo di politiche attuate dallo stato. Tuttavia, il focus è ancora sul consumo in sé, anziché su un profondo cambiamento di comportamento verso il ridimensionamento e la decrescita. Questi miti permettono ai governi di emanare politiche di breve termine e minimali, come tasse sull'acqua in bottiglia e sacchetti di plastica, o richiedere etichette energetiche sugli elettrodomestici. Mentre lo sforzo individuale è certamente importante ed un buon punto di partenza, è un terribile punto di arrivo. La Leonard sostiene che il cambiamento radicale comporta tre stadi – una grande visione di come le cose potrebbero funzionare meglio, un impegno per andare oltre l'azione individuale e, infine, l'azione collettiva. Il focus su un consumo sostenibile tiene la società fermamente ancorata sugli individui e aumenta le barriere per intraprendere un'azione collettiva.







sabato 13 aprile 2013

Il cambiamento climatico è qui e ora!


da Cassandra's Legacy - 12 Aprile 2013 - di Ugo Bardi

La "ghiacciaia" di Monte-Senario, non lontana da Fiesole, così com'era circa cento anni fa. Era usata per immagazzinare neve in inverno, che poi veniva venduta come ghiaccio in estate. La ghiacciaia è ancora lì ma, oggi, la neve invernale che ci potreste buttare dentro sarebbe abbastanza per farci qualche cono gelato o poco più. Questa è una dimostrazione visibile degli effetti del cambiamento climatico nella regione, ma molte altre cose sono cambiate e stanno cambiando proprio di fronte a noi. I cittadini e gli amministratori della città di Fiesole si sono riuniti per discutere di questi cambiamenti in un incontro organizzato il 12 Aprile 2013. 


C'è un po' di speranza, dopotutto. C'è un consenso che sta crescendo a proposito del cambiamento climatico. Il negazionismo potrebbe non essere un ostacolo così terribile come sembrava e potremmo avere ancora una possibilità di fare qualcosa di buono prima che sia troppo tardi. E' una sensazione che mi è arrivata con l'incontro sul clima organizzato oggi, il 12 Aprile 2013 dall'amministrazione della mia città: Fiesole.

Non era un incontro di scienziati, non di specialisti, non di attivisti. Era un raduno di persone comuni: agricoltori, impiegati, professionist, studenti e politici locali. Erano venuti ad ascoltare un piccolo gruppo di esperti che parlavano, per una volta, non di idee remote e astratte, ma della realtà concreta del cambiamento climatico. Certo, gli orsi polari hanno i loro problemi, povere bestie, ma il ragionare era a proposito di quello che sta succedendo qui: come il cambiamento climatico sta avendo effetti sull'agricoltura, sull'economia della città, e sulla vita di tutti noi.

E, per una volta, politici, esperti, e il pubblico sono stati d'accordo su tutto. L'hanno detto a voce alta: nessuna paura di essere politicamente scorretti. Il cambiamento climatico è qui e ora. Non è qualcosa che leggiamo sui giornali o ci sentiamo dire in TV. E' nella nostra città: è qui che le cose stanno cambiando e noi vediamo il cambiamento tutti i giorni.

E' stato un piccolo miracolo per un tranquillo Venerdì mattina. Tutti hanno potuto finalmente accorgersi che non erano i soli a pensare quello che stavano pensando. Tutti avevano notato le stesse cose: che le sorgenti si stanno seccando, le cascate spariscono, le piante si seccano e le foglie diventano gialle in Estate. Ora, questo è veramente strano: Fiesole non è come la California. In estate, qui, le foglie sono sempre rimaste verdi. Fino a qualche anno fa.

E non c'erano negazionisti climatici. Se ce ne fosse stato uno, avrebbe dovuto fronteggiare persone reali - avrebbe dovuto mostrare la sua faccia; non si sarebbe potuto nascondere dietro uno pseudonimo, non avrebbe potuto giocare i soliti giochetti. Non c'era proprio spazio per il negazionismo: sarebbe stato come negare la realtà. Avrebbe voluto dire negare quello che la gente stava vedendo con i loro occhi.

Un momento rinfrescande, una piccola epifania di comprensione. Vedete, l'Internet è un ambiente avvelenato. Gente senza faccia e senza nome che si tirano frasi addosso come se fossero pietre. Come diavolo abbiamo fatto a convincerci che possiamo discutere qualcosa in questo modo? E a pensare che potremmo mai metterci d'accordo su qualcosa? Non è possibile: le persone senza faccia non si possono mettere d'accordo su niente. Dobbiamo guardarci l'uno con l'altro negli occhi. Allora le cose possono cambiare.

Non so se questo tipo di incontri siano l'unica, o la migliore, strada per risolvere i problemi. Ma sono sicuro che non stiamo andando in nessun posto con l'infinito batti e ribatti di Internet nel quale ci siamo trovati impelagati fino ad oggi. Dobbiamo guardarci in faccia per capire che il cambiamento climatico non è soltanto una cosa vera, è qui e sta succedendo ora. Se lo facciamo, ci accorgeremo che c'è un consenso che sta crescendo sulla necessità di fare qualcosa per fermare il disastro prima che sia troppo tardi. La prossima cosa che faremo a Fiesole sarà lavorare su questo.

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Ringrazio l'amministrazione di Fiesole per l'organizzazione di questo in contro. In particolare, il vice-sindaco Giancarlo Gamannossi, il sindaco Fabio Incatasciato, e l'assessore regionale all'agricoltura e le foreste, Gianni Salvadori. Ringrazio anche gli oratori: Toufic El Asmar (FAO), Federico Spanna (AIMAT) and Cristiano Bottone (Transition Town Italia). Infine, grazie a tutti quelli che hanno trovato il modo di passare un intero venerdì mattina a discutere di cambiamento climatico nonostante le tante altre cose che sicuramente avevano da fare


Nella foto, da sinistra a destra, Gianni Salvadori, Fabio Incatasciato, e Giancarlo Gamannossi, organizzatore del convegno.


Cristiano Bottone, di Transition Town Italia, parla al convegno di Fiesole e pone la domanda: "Sapevamo del cambiamento climatico già dagli anni 1970s. Perché non abbiamo fatto niente fino ad oggi?" 


Il pubblico nella sala del Basolato, a Fiesole. Quasi completamente piena; niente male per un venerdì mattina. 






giovedì 11 aprile 2013

Debito ed energia

Da “The Oli Crash”. Traduzione di MR


Immagine da http://sjgcpa.com/


di Antonio Turiel


Cari lettori,

Ancora una volta Javier Perez ci coccola con una riflessione interessante, in questo caso sulla connessione fra disponibilità di energia netta e indebitamento. I grafici del posto sono tratti da in rapporto fondamentale, la “Tempesta Perfetta”, che la ditta di intermediazione finanziaria ha fatto uscire da qualche settimana, causando una profonda impressione per la chiarezza con la quale esprime che il problema del nostro sistema è la diminuzione dell'energia netta.

Vi lascio con Javier. Saluti.
AMT


Debito, crescita energia ed altre modalità di stregoneria e spiritismo

di Javier Perez


Il tema del debito diventa un po' come quello della logica, cioè che tutti credono di capirla, però poi cascano come le pere cotte quando gli studenti devono essere esaminati. Il nostro cervello è fondamentalmente lo stesso, di partenza, di quello di duecentomila anni fa, ma la società in cui viviamo e l'uso che ci vediamo obbligati a dare al nostro principale strumento evolutivo sono cambiati in modo vertiginoso, per cui il nostro adattamento è, spesso, più superficiale che realmente integrato. Per questo, credo che la prima cosa sia definire il debito e cercare di conoscere la sua vera natura. Il debito non è consumare i soldi di un altro con la promessa di ridarglielo insieme ad un interesse, come crede la maggioranza. Per comprendere la portata di questo fenomeno, bisogna utilizzare un'altra definizione: il debito è consumare i soldi del futuro, più una parte del miglioramento che il futuro offrirà rispetto alla situazione attuale.

Chiedere un prestito, quindi, è fare una specie di magia o di atto spiritistico nel quale si fa comparire adesso la ricchezza di un anno a venire e la si obbliga a lavorare per noi. La capacità di indebitarsi dipende, vista così, dalla capacità di utilizzare questa ricchezza in modo che in quel momento in cui scade il termine convenuto si possa restituire il prestito più l'interesse corrispondente. Allora cos'è l'interesse? L'interesse misura la fiducia nel futuro, nella crescita dell'economia e nella capacità di produrre sempre più cose di maggior valore. Perché in caso contrario mai si potrebbe restituire il prestito. L'interesse, pertanto, misura in un certo senso la speranza di redditività, o di crescita, anche se può anche misurare l'inflazione attesa, ma questa è già un'altra storia, molto collegata, di sicuro, con l'ossessione della lotta contro l'inflazione da parte delle banche emittenti.

E cos'è successo in questi anni di apparente prosperità? Ebbene l'Europa, gli Stati Uniti e, in generale, i paesi sviluppati si sono indebitati in modo rapidissimo. Questo è possibile per vari fattori, quasi tutti molto complessi, dei quali cercherò di citare quelli che credo più importanti:

-La democrazia: i paesi sviluppati sono democrazie e questo sistema suppone che per consolidarsi al potere bisogna mantenere la popolazione contenta, passando alla legislatura successiva il più possibile le cattive notizie. Più che la statua della libertà, il vero simbolo della democrazia come sistema sarebbe qualche rappresentazione allegorica dell'affermazione “che ci pensi chi viene dopo di me”. Nessun politico può sperare di essere rieletto dicendo alla gente che bisogna aumentare le tasse per mantenere gli stessi servizi e che bisogna tagliare i servizi. Chi fa una cosa simile crollerà in modo irrimediabile rispetto al populista disposto a continuare a dare di tutto senza chiedere sforzi. A cosa porta questo? A indebitarsi.

-La globalizzazione: i governi che si sentivano nella necessità di aumentare le tasse ai più ricchi per creare una redistribuzione più giusta della ricchezza si ritrovavano a vedere che, in un secondo, in un battito di ciglia, centinaia di migliaia di milioni volavano via dal loro territorio. Ci potrà piacere o no, ma è certo che i nostri voti hanno potere ed influenza sul nostro territorio e solo sul nostro territorio. Il capitale, invece, può scappare tranquillamente da una frontiera e schiantarsi dal ridere, da fuori, prima di qualsiasi imposizione di aumento. Così le cose, i governi si sono visti coinvolti in una concorrenza fiscale, cioè, nella necessità di competere fra loro per attrarre gli investimenti. E a cosa porta questo? A raccogliere meno di quello che ti serve o desideri spendere. Ovvero, a indebitarsi.

-L'abbondanza di capitali: mentre i paesi più sviluppati avevano bisogno ogni volta di più soldi di quanti ne avevano, i paesi i via di sviluppo desideravano investire il surplus della loro nuova economia. E dove sembrava più sicuro e più redditizio farlo? Nei paesi sviluppati, naturalmente, sempre che questi reinvestissero il prestito nella delocalizzazione di fabbriche e investimenti nei loro paesi. E' il caso della Cina, per esempio, che ha dato un credito praticamente illimitato ai buoni del tesoro americano. E' stato così che hanno abbassato il tipo di interesse, producendo bolle immobiliari tanto gravi. Voglia di spendere e denaro facile, cosa producono? Indebitamento, naturalmente.

-L'ottimismo tecnologico: come ho già spiegato sopra, i soldi si prestano quando si crede che il futuro sbloccherà grandi opportunità che permettano di ripagarlo. I progressi tecnologici, più di facciata che reali, dall'inizio di questo secolo hanno fatto credere gli investitori in enormi tassi di crescita. I tecno-ottimisti, pertanto, non sono solo coloro che oggi dicono che troveremo sicuramente una fonte di energia che sostituisca in tempo il petrolio, ma anche quelli che hanno detto che ci sarebbe stata una qualche invenzione o settore che avrebbe mosso l'economia ad un ritmo sufficiente per poter ripagare i prestiti abbondantemente. E hanno detto la stronzata così, senza riserve. Il problema principale, come lo analizzano alcuni, è che si sperava che Internet, per esempio, producesse più ricchezza di quella che distrugge ed è qualcosa che non sembra essere ancora del tutto chiaro, visto che la concentrazione della ricchezza è una distruzione nascosta al ridursi della domanda aggregata effettiva. E a cosa ha portato questo ottimismo? A più indebitamento.

Vediamo un paio di grafici che illustrano perfettamente che aspetto hanno preso le cose:




Questo grafico mostra il rapporto fra il debito e il PIL degli Stati Uniti fra il 1945 e il 2012. Fra il 1945 e il 1980, si mantiene ad un alto tasso di circa il 150% del PIL, ma ciò che succede a partire dagli anni 80 è brutale. Vediamo un altro grafico della stessa cosa, ma forse più intuitivo:




In questo vediamo l'evoluzione del PIL e quella del debito. L'apparente discrepanza è dovuta al fatto che in questo grafico è stata scontata l'inflazione e si fanno i calcoli in dollari reali del 2011. E quando comincia a scompigliarsi la cosa? All'inizio degli anni 80, che è proprio quando gli Stati Uniti raggiungono il loro personale picco del petrolio. O forse, detto meglio, quando gli effetti del loro personale picco del petrolio hanno cominciato ad essere palpabili dopo il relativo periodo di adattamento.

E QUESTO E' FONDAMENTALE: mentre gli Stati Uniti hanno usufruito di una fonte di energia abbondante e a buon prezzo hanno potuto mantenere il proprio livello di crescita con le proprie risorse ed un indebitamento più o meno stabile ma, nella misura in cui si sono visti più colpiti dai prezzi esteri dell'energia, sono dovuti ricorrere ad un indebitamento sempre più voluminoso per mantenere il proprio livello di crescita. Vediamo lo stesso grafico per la Gran Bretagna, dove il picco del petrolio è arrivato alcuni decenni più tardi:


La relazione pertanto, nei paesi che contavano sul proprio petrolio, fra indebitamento e restrizioni di questa fonte di energia e denaro è molto chiara. E ora, visto che andiamo di grafici, vediamo il costo totale dei consumi petroliferi dei paesi dell'OCSE. Siccome ci sono paesi che oltre che consumatori sono anche produttori, differenziamo le importazioni dalla spesa totale:





E quando è arrivata la grande caduta, con lo sparo d'inizio di Lehman Brothers? Nel 2008, e non è un caso. Nella misura in cui i costi energetici aumentano, l'economia si vede sempre in maggiori difficoltà per funzionare, quindi la crescita diminuisce, il che rende impagabile il debito. Suona difficile? Non lo è; il debito cresce costantemente, e in modo esponenziale, grazie all'interesse. Se l'economia non cresce costantemente, e a sua volta in modo esponenziale, la differenza fra quello che dobbiamo pagare e quello che abbiamo si ingrandisce inesorabilmente. Allora cosa si prova? Qualsiasi cosa che faccia crescere l'economia, dai tassi zero alla danza della pioggia, passando per la magia nera e l'invocazione degli unicorni. Quello che sia. Ma il metodo non funziona né può funzionare, perché la cresita è possibile solo impiegando più energia e l'energia è sempre più cara e più scarsa. Per aumentare l'energia disponibile si tentano allora nuovi investimenti, ma per questo manca il capitale, ricchezza reale, proprio quello che non abbiamo perché siamo indebitati fino alla punta dei capelli.

Ed è lì il problema: non possiamo avere più soldi per pagare il debito perché scarseggiamo di energia ed ottenere più energia richiede del denaro che non abbiamo, perché siamo tecnicamente falliti. Le conclusioni ovvie sono la disoccupazione e la stagnazione. Il passo successivo sarà competere per l'energia disponibile, sottraendola dove si può. All'inizio, e secondo gli economisti classici, si sottrarrà dove sia meno efficiente, ma il concetto di efficienza è molto sfuggente e per un politico americano è più efficiente, per esempio, che i suoi votanti possano andare in macchina e farsi un giro che un keniano abbia un trattore per arare le sue terre. E se siamo sinceri, mi piacerebbe sapere cosa ne sarebbe di un candidato spagnolo che proponesse di razionare la benzina perché in Kenia possano continuare ad arare. Solo per sapere eh... Ma della competizione per le risorse e del nuovo scenario che si profila in questo senso parlo un altro giorno, sempre che non abbia già esaurito la vostra pazienza. La pazienza che, di sicuro, a sua volta non è una risorsa infinita...

Javier Pérez
www.javier-perez.es












martedì 9 aprile 2013

Jorgen Randers: il futuro che verrà

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR



di Ugo Bardi

Jorgen Randers ha presentato la versione italiana del suo libro “2052” a Roma il 5 aprile 2013. Quello che segue è un sunto di quello che ha detto in quell'occasione, secondo la mia interpretazione. Mi scuso in anticipo per quello che potrebbe essermi sfuggito o male interpretato del lungo discorso di un'ora di Randers, ma penso che questo testo ne descriva lo spirito.



Presentando il suo libro “2052”, Jorgen Randers comincia con una dichiarazione audace: “Non vi racconterò come potrebbe essere il futuro, ma come sarà il futuro”. Potreste pensare che ciò dimostri un bel po' di tracotanza ma, se seguite il ragionamento di Randers vedrete che ha le sue ragioni.

Randers è uno degli autori del famoso rapporto su “I Limiti dello Sviluppo” al Club di Roma. Pubblicato nel 1972, il libro ha provocato un bel po' di trambusto ed è stato ampiamente male interpretato come una profezia di sventura. Non era così e, in questo discorso, Randers riassume quello che lui e i suoi coautori hanno fatto. Non hanno fatto alcuna profezia, ma piuttosto hanno creato un 'ventaglio' di 12 scenari diversi per il futuro del mondo fino al 2100. Alcuni di questi scenari vedevano il declino e il collasso dell'economia, alcuni vedevano la stabilizzazione e la prosperità. Quale dei due gruppi di scenari si sarebbe manifestato dipendeva dal fatto che la razza umana facesse le scelte giuste o sbagliate nell'affrontare l'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse e la crescita della popolazione.

Un problema coi “Limiti dello Sviluppo” è stato che gli autori non hanno mai specificato per mezzo di quale meccanismo la civiltà umana avrebbe potuto sviluppare il consenso necessario per fare le scelte giuste, le quali avrebbero comportato tutte qualche sacrificio a breve termine. Dopo 40 anni di lavoro, Randers è giunto ad una conclusione: non esiste nessun meccanismo del genere. Le scelte giuste non sono state fatte e non saranno mai fatte.

Oggi, dice Randers, non c'è più un ventaglio di scenari buoni e cattivi, ce n'è solo uno. E non è piacevole. Può solo essere quello del declino della nostra società sotto l'effetto della sovrappopolazione, del declino della disponibilità di risorse e del danno diffuso causato dall'inquinamento e dal cambiamento climatico. L'inizio del declino potrebbe arrivare prima o dopo, il collasso potrebbe essere più rapido o più lento, ma la forma del futuro è determinata.

Randers afferma che c'è un modo semplice per descrivere le ragioni che ci stanno portando a questo futuro spiacevole: la gente fa sempre la scelta che comporta i costi minori a breve termine. Il problema è tutto lì: finché scegliamo la strada più semplice non abbiamo alcun controllo su dove stiamo andando.

Immaginate di essere in una foresta. Credete che scegliendo sempre il sentiero più facile di fronte a voi vi possa riportare a casa? Ma questo è quello che facciamo: anche se sapessimo che non è questo il modo per andare dove ci piacerebbe essere. Siamo riluttanti, per esempio, ad investire in energia rinnovabile finché i combustibili fossili rimangono anche leggermente meno cari e possiamo negare i loro costi esterni sotto forma di inquinamento e cambiamento climatico. Ma questa scelta è basata su considerazioni a breve termine e ci causerà danni terribili a lungo termine.

Perché non riusciamo a fare meglio. Qui Randers propone che la “visione a breve termine” è profondamente radicata nella mente delle persone e si riflette nel nostro sistema decisionale democratico. E' stato accusato di essere contro la democrazia, ma lui sostiene di non avere nulla contro la democrazia: il problema è che la democrazia è il risultato della “visione a breve termine” umana. Fa l'esempio di un politico illuminato che decide di introdurre una carbon tax. Gli elettori scoprono presto che la carbon tax sta rendendo più care benzina ed elettricità. Di conseguenza, quel politico non sarà rieletto. E' semplice e succede in continuazione.

Naturalmente, potreste obbiettare che se le persone venissero istruite sul cambiamento climatico, a quel punto accetterebbero una carbon tax – di fatto la reclamerebbero. Forse, ma Randers è scettico. Dice che ha passato decenni della propria vita a formare generazioni di manager sulla sostenibilità e la scienza dell'ecosistema. Ed ha visto quelle generazioni prendere esattamente le stesse decisioni sbagliate che prendevano le generazioni precedenti che non avevano avuto quella formazione.

La natura umana è difficile da battere. Randers racconta come lui e i suoi colleghi hanno discusso sulla dimensione di un disastro naturale che avrebbe potuto svegliare il pubblico alla realtà della distruzione dell'ecosistema. Poi è arrivato l'uragano Katrina e, più tardi, Sandy. Entrambi sono stati disastri della dimensione che serviva. Ma sono stati inutili come sveglie: il pubblico non ha reagito. Oggi, tre americani su otto pensano ancora che il riscaldamento globale sia una truffa.

Randers ha visto il nemico e il nemico siamo noi.



lunedì 8 aprile 2013

Il lato oscuro del carbone

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Ecco un post che fa parte di una mini serie sugli effetti politici e sociali del “picco del carbone” in Europa e che è stato pubblicato il 12 aprile del 2010 su “The Oil Drum”. Altri post pubblicati su Effetto Cassandra su questo tema sono”Il picco del carbone in Gran Bretagna” e “Perché l'Italia?

IL LATO OSCURO DEL CARBONE – ALCUNI CENNI STORICI SU ENERGIA ED ECONOMIA

Di Ugo Bardi


















Dettaglio del capolavoro di Telemaco Signorini “L'alzaia”, dipinto nel 1864. Mostra il duro lavoro di cinque uomini che tirano una pesante chiatta controcorrente lungo il fiume Arno, vicino a Firenze. Molto probabilmente la chiatta era carica di carbone. In questo post, parto da questa immagine per raccontare la storia del carbone in Italia e di come le fortune del paese siano andate di pari passo con quelle del carbone fino a metà del 20° secolo. (Cliccate qui per l'immagine intera).


Ho una relazione emotiva speciale con il quadro di Telemaco Signorini “L'Alzaia”. La zona mostrata nel dipinto è cambiata molto poco dai tempi in cui è stato fatto il dipinto – metà del 19° secolo – ed oggi vi potrei portare esattamente i quel posto, a Firenze. Non è lontano da dove sono nato e cresciuto, è la zona dove la mia famiglia è vissuta per generazioni. Ogni volta che vedo quel dipinto (ed ho visto due volte l'originale, in due diverse mostre) non posso evitare la sensazione che quegli uomini, che lavorano così duramente, potrebbero essere miei antenati.

“L'Alzaia” è giustamente considerato un capolavoro. Guardatelo e vedrete che è veramente una cosa eccezionale. Non solo la composizione delle figure è originale. Pensate ai contemporanei impressionisti francesi. Nessuno di loro, pur grandi maestri quali erano, hanno mai dipinto niente del genere. Non sembra che fossero preoccupati dai problemi sociali del loro tempo, come lo era invece Signorini. Così, Signorini ci mostra il tremendo sforzo di questi cinque uomini che trascinano qualcosa che non vediamo, ma che può essere soltanto una pesante chiatta. Quasi sicuramente la chiatta era carica di carbone. Era il carbone inglese che era stato scaricato al porto di Livorno e che percorreva lentamente la sua strada verso Firenze.

Quando “L'Alzaia” è stato dipinto, nel 1864, l'era del carbone era in pieno corso. Già in tempi medievali la gente aveva iniziato ad usare il carbone come combustibile, ma nel 19° secolo la produzione era enormemente aumentata. E' stato nel 1866 che William Stanley Jevons ha detto, nel suo “La Questione del Carbone”, che “Il carbone si trova non di fianco ma al di sopra di tutte le merci. E' l'energia materiale del paese – l'aiuto universale – il fattore di tutto quello che facciamo. Col carbone, quasi ogni impresa è possibile o facile. Senza di esso siamo ricacciati nelle laboriosa povertà dei tempi che furono”.

Ma il carbone aveva un problema: non era facile da trasportare. Il carbone è pesante, è impensabile trasportarlo con un carro per lunghe distanze sulle strade. Per questa ragione le prime ferrovie sono state sviluppate all'inizio del 19° secolo espressamente per trasportare il carbone. Ba le ferrovie erano costose, soggette al fallimento, ed i primi motori a vapore erano così inefficienti che usavano la maggior parte del carbone trasportato a meno che la distanza da coprire fosse devvero breve. Queste prime ferrovie potevano essere usate solo per spostare il carbone dalle miniere ai porti fluviali, dove il carbone veniva caricato in imbarcazioni chiamate “carboniere”. Solo usando vie d'acqua era possibile trasportare il carbone su lunghe distanze. Gradualmente, le ferrovie ed i motori a vapore sono diventati più efficienti, ma ovunque ci fossero fiumi e canali, questi sono rimasti il modo più economico di trasportare il carbone.

Agli albori dell'era del carbone, il costo di trasporto ha posto un limite alla diffusione del carbone. Solo quelle miniere che si trovavano vicine a vie d'acqua potevano produrre carbone e solo quelle aree che erano accessibili via acqua potevano usare carbone. Questa condizione era presente in gran parte del Nord Europa ed è stato lì che l'uso del carbone è cresciuto più rapidamente, alimentando quella che chiamiamo rivoluzione industriale. Più carbone estratto significavano più industrie e più industrie significavano più carbone estratto. Più carbone significava anche più acciaio e più acciaio significava eserciti più grandi ed efficienti. Il carbone è stato l'origine ed il combustibile dell'Impero Britannico, ma la produzione britannica era così grande che c'era carbone disponibile per l'esportazione. Col carbone britannico e, più tardi, con quello tedesco, la rivoluzione industriale si è diffusa in tutta Europa, anche in paesi che non avevano miniere di carbone. Col carbone importato, le vie d'acqua erano la condizione necessaria e sufficiente per avere industrie. Ma gran parte dell'Europa del sud e del Nord Africa erano tagliate fuori dalla rivoluzione del carbone: troppo secche e montagnose per le vie d'acqua.

Il limite più a sud delle vie d'acqua in Europa nel 19° secolo era la Toscana, dove il fiume Arno collegava la città principale, Firenze, alla città portuale di Livorno. Già nel 18° secolo l'Arno era stato artificialmente trasformato in una via d'acqua. Con questa linea vitale, la Toscana poteva importare carbone in grandi quantità dall'Inghilterra e dar inizio alla propria rivoluzione industriale. E' stata una piccola rivoluzione rispetto a quella dei paesi nordeuropei, ma la forza lavoro in Toscana era conveniente e questo ha attratto capitali dal resto d'Europa. Proprio come oggi la produzione viene esportata nelle aree più povere del mondo, da metà del 19° secolo, la Toscana era diventata un centro manifatturiero, con industrie create prevalentemente da uomini d'affari nordeuropei.

Il Granduca di Toscana di quel tempo, Leopoldo Secondo, era elogiato come un uomo buono. E' stato anche un politico e, come tale, tendeva a promettere regali al suo collegio elettorale. Uno di questi regali è stata l'illuminazione pubblica di Firenze. Già nel 18° secolo, era stato installato un sistema di illuminazione pubblica basata su lampade a petrolio, ma era debole, limitato a pochi luoghi e le lampade finivano il combustibile a mezzanotte. Nel 1845, le cose sono cambiate con le prime lampade a gas. Quelle lampade venivano riempite da un “gasometro”, un enorme cisterna dove il carbone reagiva col vapore per formare “gas di città” che poi veniva intubato fino ad ogni lampada in strada (quel vecchio gasometro c'è ancora, quasi dimenticato, in un giardino pubblico di Firenze). Era una luce splendente che durava tutta la notte; una rivoluzione. Così, grazie al carbone, Firenze era splendidamente illuminata di notte. Ma il carbone ha anche un lato oscuro: quelle persone mostrate da Telemaco Signorini mentre tirano laboriosamente una chiatta carica di carbone controcorrente. Col tempo, le chiatte sono state sostituite dalle ferrovie. E' probabile che, dai primi decenni del 20° secolo, poche persone continuavano a tirare carichi pesanti controcorrente. Ma la natura del problema era cambiata: il carbone non era infinito.

Nel 19° secolo, il carbone italiano veniva principalmente dalla Gran Bretagna e il commercio di carbone era un collegamento che connetteva i due paesi. Lo stato italiano è stato creato nel 1861, unendo gli staterelli che avevano governato la penisola italiana. E' stato, in parte, il risultato del lavoro della diplomazia britannica. C'erano vantaggi evidenti per la Gran Bretagna nell'avere un'Italia forte come contrappeso alle ambizioni espansionistiche francesi in Nord Africa. Ma la creazione dell'Italia non è stata solo un freddo calcolo politico. C'era una simpatia genuina da parte dei britannici per l'Italia e per le tradizioni italiane. Per alcuni aspetti, l'Italia era una nazione-sorella per la Gran Bretagna: Negli anni, i britannici accorrevano in Italia; essi ne amavano il clima, la gente e la relativa libertà del posto. Anche alcuni italiani si spostavano verso la nebbiosa Gran Bretagna, anche se non come turisti. L'invenzione del fish and chips (pesce e patatine fritte) viene a volte rivendicata dagli italiani della città toscana di Barga, che erano emigrati nelle isole britanniche.

Ma le relazioni fra Italia ed Inghilterra si sono inasprite col picco del carbone in Inghilterra, nei primi anni 20. Dopo la Prima Guerra Mondiale, l'Italia aveva disperatamente bisogno di carbone per ricostruire le proprie industrie. Ma la Gran Bretagna non poteva più fornire il carbone così liberamente come prima. L'Italia Ha cominciato ad importare carbone dalla Germania, ma non era sufficiente: il consumo di carbone in Italia è rimasto stabile fra le due guerre mondiali. L'economia italiana è stata trascinata già anche dal debito di guerra ed essa non ha mai realmente recuperato dopo il trauma della Prima Guerra Mondiale. Tutto ciò ha avuto conseguenze politiche. La simpatia per l'Inghilterra e per tutto ciò che era inglese è evaporata in Italia e la stampa italiana ha cominciato a vituperare la Gran Bretagna ed a lamentarsi del “problema del carbone”. D.H. Lawrence, nel suo “Mare e Sardegna” (1921), ci racconta che il problema del carbone è stato uno dei principali temi di conversazione fra gli italiani. Nel 1922, Mussolini ed il partito fascista hanno preso il potere, in gran parte anche sfruttando il risentimento della popolazione per la cattiva situazione economica.

Si dice che Mussolini avesse fatto arrivare i treni in orario. Forse è vero, ma non ha potuto fare niente per creare carbone che non c'era. La crisi del 1929 è stato un brutto colpo per l'economia italiana e – forse come reazione – il governo ha cercato di dare sfogo alla frustrazione nazionale invadendo l'Etiopia nel 1935. Ci sono state diverse spiegazioni ufficiali per l'invasione – la più comune era che l'Italia aveva bisogno di “un posto al sole” - una giustificazione curiosa per un paese che ha comunque un bel po' di sole. Ma, chiaramente, l'invasione era intesa come uno schiaffo in faccia alla Gran Bretagna: Era un modo di dire ai britannici che anche gli italiani potevano avere il loro impero, che potevano farlo da soli e che non avevano bisogno di nessun dannato carbone britannico per questo.

E' stato un errore, un errore colossale. Mussolini non aveva capito che era il carbone che creava gli imperi, non il contrario. Niente carbone, niente impero, era tutto qui. Conquistando l'Etiopia l'Italia ha dissipato immense risorse umane e materiali ed ha guadagnato una cattiva reputazione come stato canaglia del tempo. Tutto questo per un pezzo di terra arida ed il dubbio onore per il Re d'Italia di guadagnarsi il titolo di “Imperatore d'Etiopia”. Quella terra era anche strategicamente impossibile da difendere, come si sarebbe visto solo pochi anni dopo.

La Gran Bretagna ha reagito all'invasione dell'Etiopia fermando le esportazioni di carbone all'Italia. Questo, congiuntamente ad altre sanzioni economiche internazionali, ha spinto l'economia italiana già a pezzi sull'orlo del collasso. Il governo ha reagito furiosamente, spingendo una serie di misure chiamate “autarchia”, l'uso delle sole risorse nazionali. Era principalmente propaganda e qualche idea che non ha mai funzionato, come provare a fare scarpe col cartone e vestiti in lana di vetro. Il tentativo di sviluppare nuove miniere di carbone non poteva funzionare come sostituto delle importazioni. Le miniere del Sulcis in Sardegna erano la principale risorsa nazionale di carbone, ma non sono mai riuscite a produrre molto di più del 10% del consumo dell'Italia fra le due guerre. La mancanza di carbone e la tensione della guerra in Etiopia hanno pesato sull'economia italiana con quasi il 25% del bilancio dello stato dedicato a sostenere i costi dell'occupazione militare delle colonie oltremare.

Data la situazione, gli eventi so sono svolti come se seguissero una profezia scritta molto prima. L'Italia ha dovuto affidarsi sempre di più al carbone tedesco e questo ha avuto conseguenze politiche. Potete leggere la storia in questi paragrafi scritti nel 1940 da Ridolfo Mazzucconi, un popolare giornalista e scrittore italiano del tempo. Mazzucconi, fra le altre cose, aveva reso popolare il concetto di “Perfida Albione” che ha avuto origine in Francia al tempo della rivoluzione francese (dal blog di ASPOItalia).

  • L'Inghilterra ordinò, con provvedimento repentino, la sospensione dell'inoltro di carbone tedesco a noi diretto via Rotterdam. In compenso, si offrì di sostituire la Germania nelle forniture di carbone: ma il servizio era subordinato a condizioni tali che accettarli sarebbe stato aggiogarsi al carro dell'interesse politico britannico e pregiudicare nel modo più grave la nostra preparazione bellica. Il governo fascista rispose con la dovuta bruscheria; e il carbone tedesco che non poteva più venire per mare trovò più comoda e breve la strada del Brennero.

    Questa faccenda del carbone fu una salutare crisi chiarificatrice dell'orizzonte politico. Il 9 e il 10 Marzo (1940), Ribbentrop era a Roma e la visita diede luogo a un affermazione netta e precisa. L'asse era intatto, l'alleanza fra Italia e Germania continuava. Qualche giorno dopo, il 18, Mussolini e Hitler si incontravano per la prima volta al Brennero e allora anche i ciechi furono obbligati a vedere e i corti di mente a capire.

Potete leggere la stessa storia vista dall'altra parte dell'Atlantico in questo articolo sulla rivista Time intitolato “Carbone Caldo”. Ci mostra, fra le altre cose, come gli Alleati avevano completamente frainteso la situazione italiana del tempo. E' una tradizione dei produttori di combustibili usare embarghi per cercare di ottenere potere politico sugli importatori di combustibili ma, normalmente, non funziona. In questo caso, la Gran Bretagna ha provato a indurre l'Italia alla sottomissione usando l'arma del carbone. E' stato un altro errore colossale che ha spinto l'Italia ad affidarsi completamente al carbone tedesco. Ciò ha alimentato ancora di più il risentimento degli italiani contro la Gran Bretagna e ha dato a Mussolini sufficiente ascendente politico per spingere l'Italia in guerra come alleata della Germania.

Ciò che è seguito è stato, forse, inevitabile, ma non doveva esserlo necessariamente. Sarebbe stato sufficiente dare un'occhiata alle statistiche del carbone perché “anche i ciechi venissero obbligati a vedere e i corti di mente a capire” come ci racconta Mazzucconi. A quel tempo, la dimensione dell'economia nazionale poteva essere soltanto proporzionale alla quantità di carbone consumato e, con quella misura, l'Italia non poteva nemmeno paragonarsi alla Gran Bretagna. Nel 1940, nonostante avesse superato il picco, la Gran Bretagna produceva ancora più di 200 milioni di tonnellate di carbone all'anno e ne usava gran parte per la propria economia nazionale e per quella dell'Impero Britannico. L'Italia, invece, consumava poco più di 10 milioni di tonnellate all'anno. L'economia britannica era 20 volte più grande di quella italiana. I “ciechi e i corti di mente” erano tutti nel governo italiano che ha grossolanamente sovrastimato il potenziale militare del paese. Pensavano ancora che una guerra fosse combattuta da contadini armati con le baionette. Avevano completamente ignorato il lato oscuro del carbone.

Si dice che la storia si ripete; la prima volta è una tragedia, la seconda una farsa. Dopo la tragedia della Prima Guerra Mondiale, la seconda ha avuto qualche elemento di farsa. Mussolini sembrava spesso un clown durante la guerra e l'Italia ha preso alcune decisioni davvero farsesche, come quella di spedire una piccola forza di bombardieri e caccia per unirsi alla Germania durante la Battaglia d'Inghilterra. L'assurdità dell'idea non era tanto nel vedere vecchi biplani italiani cercare di combattere contro Spitfire e Hurricane, ma nel concetto stesso che l'Italia stava cercando di bombardare un paese che era stato il suo tradizionale alleato: la Gran Bretagna. C'è una tradizione da parte dei paesi che importano combustibili di bombardare quelli esportatori, ma persino Mazzucconi stesso, con tutta la retorica sulla “Perfida Albione” sembra essere perplesso dall'idea quando ci racconta della bella fratellanza fra Italia e Gran Bretagna. Alla fine, non importa quanto sia sembrato clown Mussolini e quanto la sua decisione militare fosse stupida, non c'era niente di farsesco in un esercito impreparato mandato al macello ed in un itero paese distrutto ed umiliato. Era ancora una volta il lato oscuro del carbone.

Il tempo è passato, il carbone non è più il “re”. I paesi distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ricostruito le proprie economie usando il petrolio greggio e il gas naturale. Il lato oscuro del carbone, oggi, sembra giocare più in termini di danno ambientale: il carbone è il combustibile che genera più gas serra a fronte della stessa energia generata. Le miniere di carbone sono diventate a loro volta un'attività estremamente distruttiva, con la rimozione delle cime delle montagne (mountaintop removal) che è diventata una pratica comune per raggiungere le vene di carbone. Ma il carbone non è più una merce globale che porta alla guerra, com'era fino a metà del 20° secolo. Quel ruolo è stato assunto dal petrolio greggio. I discendenti di quegli uomini che tiravano chiatte cariche di carbone controcorrente nel 19° secolo, ora guidano auto scintillanti alimentate a petrolio e lavorano davanti a schermi di computer. Ma il problema del petrolio è lo stesso che è stato per il carbone: non è infinito e non c'è n'è a sufficienza per tutti. Ora è il petrolio greggio che fa e disfa gli imperi. La storia si ripete ancora e lo farà finché avremo combustibili fossili da bruciare.

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Ci sono molti riferimenti che ho usato per comporre questo testo. Qui vi darò qualche dato ulteriore. 
Ho pubblicato un altro saggio sul tema del carbone in Europa sulla “newsletter ASPO” n° 73 del gennaio 2007. Lo potete trovare qui: http://www.energiekrise.de/e/aspo_news/aspo/newsletter073.pdf Un grafico preso da quel saggio mostra la produzione britannica di carbone, qui: 



Un grafico quantitativo che mostra come le importazioni dell'Italia sono variate nel tempo, si può vedere qui, preso dal saggio di Walter H. Voskuil “Carbone e potere politico in Europa” (Coal and Political Power in Europe), pubblicato su Economic Geography, Vol. 18, No. 3 (luglio 1942), pp. 247-258


E' una discussione sul ruolo del carbone in Italia fra le due guerre. 

Potete trovare dati sulla produzione di carbone nelle miniere sarde del Sulcis a questo riferimento. Il fatto che l'Italia spendesse il 25% del proprio bilancio per mantenere le proprie colonie oltremare può essere trovato a questo riferimento.





sabato 6 aprile 2013

Intervista con Michael Mann: “C'è ragione per essere ottimisti...”

Da “Transition Culture”. Traduzione di MR



di Rob Hopkins


Sono molto onorato di essere in grado di presentare un'intervista che ho fatto recentemente con lo scienziato climatico Michael Mann. Mann è Professore Emerito di Meteorologia alla Penn State University, con incarichi di collaborazione nel Dipartimento di Geoscienze e all'Istituto dei Sistemi della Terra e dell'Ambiente (Earth Environmental Sistems Institute - EESI). E' anche direttore Centro della Scienza del Sistema Terrestre (Earth System Science Center ESSC). E' l'autore del libro recentemente pubblicato “La Mazza da Hockey e le Guerre del Clima“ che raccomando caldamente. Nella nostra intervista abbiamo parlato di Mazza da Hockey, dello stato di avanzamento della scienza del clima e di come questa si sia trovata nell'occhio del ciclone del 'climategate' di un paio di anni fa. Ecco l'intervista come podcast, oppure sotto c'è la trascrizione (è il nostro caso, ndt.), leggermente corretta per brevità.

https://soundcloud.com/transition-culture/an-interview-with-dr-michael


Quando è uscito il tuo libro “The Hockey Stick”, qual è stato il suo progresso? Che cosa ha rappresentato un tale balzo in avanti nella nostra comprensione del cambiamento climatico?

E' stato un passo avanti incrementale, in realtà. Il nostro lavoro è costruito sugli sforzi di decenni di accurato lavoro di altri paleoclimatologi. E' un punto che cerco di trasmettere nel mio libro. Abbiamo esteso ciò che è stato fatto prima. Non solo abbiamo fornito una ricostruzione più affidabile di come le temperature siano variate durante gli ultimi 1000 anni (inizialmente i primi 600 anni e in una pubblicazione successiva lo abbiamo esteso agli ultimi 1000 anni), ma inquadrando le stime entro un margine di errore stimato ci ha permesso di cominciare a trarre certe conclusioni sul recente riscaldamento: che non è solo riscaldamento, ma sembra essere inusuale in questo contesto a più lungo termine. Ci sono state altre ricostruzioni di questo tipo che sono state fatte in precedenza e che ne sono molte altre fatte in seguito. Il nostro lavoro era parte di un corpo di lavoro più ampio.

Penso che parte della ragione per cui la Mazza da Hockey è diventata un'icona nel dibattito sul cambiamento climatico ha proprio a che fare con le opportunità del caso. Abbiamo pubblicato il lavoro nei tardi anni 90, quando il dibattito sul cambiamento climatico stava realmente giungendo ad un crescendo. La scienza stava diventando sempre più certa rispetto alla tesi che noi stiamo riscaldando il pianeta e cambiando il clima. La pubblicazione della curva della Mazza da Hockey è servita quasi da punto esclamativo. E' avvenuta nel corso dell'anno più caldo mai visto nelle registrazioni storiche, il 1998. Ma quelle registrazioni storiche andavano indietro di un solo secolo, più o meno. Non siamo stati in grado di fornire un contesto di più lungo termine. La curva raccontava una storia semplice. Non c'era bisogno di capire la fisica o la matematica di come funzionano i modelli climatici teorici per capire cosa ci stavano dicendo.

La prima versione di Mann della curva della 'Hockey Stick”, del 1999.

Essa disegnava, in un modo molto trasparente, la natura inusuale del riscaldamento recente e, per deduzione, il rapporto che il riscaldamento ha con l'attività umana, il bruciare combustibili fossili. Ma alla fine è il fatto che sia stata presente nella sintesi dei responsabili politici nel terzo rapporto di valutazione del IPCC del 2001 che le ha assicurato lo status di icona nel dibattito sul cambiamento climatico. E una volta divenuta un'icona nel dibattito sul cambiamento climatico, la nostra schiena è diventata un bersaglio. 

Abbiamo avuto un anno di eventi meteorologici estremi in tutto il mondo, l'Uragano Sandy e così via. Qual è la tua analisi su dove ci troviamo ora in termini di cambiamento climatico?

Le prove scientifiche ci sono. Non c'è più alcun dibattito serio, non solo se il cambiamento climatico sia reale o se sia dovuto a noi, ma se vediamo gli impatti del cambiamento climatico. Gli impatti stanno di fatto avvenendo in modi sempre più dannosi, che si tratti dell'Uragano Sandy, che è stata la più grande tempesta, uragano (e quindi sistema ibrido) che abbiamo mai visto, o della più bassa pressione centrale a nord di Capo Hatteras negli Stati Uniti. Ciò ha portato ad un'alluvione record a New York City, in parte perché c'era un piede di aumento del livello del mare già in atto nell'ondata di tempesta sulla costa e quel piede di aumento del livello del mare è dovuto sostanzialmente al riscaldamento degli oceani. Abbiamo visto siccità da record e incendi negli Stati Uniti occidentali che hanno avuto un impatto enormemente dannoso sulle nostre colture, sulla produzione di grano negli Stati Uniti e sui prezzi del cibo. Penso che siamo giunti al punto in cui la gente può vedere il cambiamento climatico avvenire sotto i propri occhi e diventano sempre meno credibile i commentatori dei notiziari via cavo che dichiarano che è una truffa elaborata, che non è vero. 

La revisione più recente della curva della 'Hockey Stick'  (2008)







La gente non si fa più prendere in giro da questo tipo di retorica perché lo vede accadere. Specialmente i più anziani che ne hanno viste molte, che sanno che stanno succedendo delle cose al meteo e al clima di oggi che non succedevano mai quando sono cresciuti. Penso che abbiamo raggiunto quel punto in cui la negazione del cambiamento climatico non è più nemmeno superficialmente credibile. Ciò significa che chi si oppone all'agire si rivolgono a misure sempre più disperate. La retorica sta diventando sempre pi urlata ed aspra, gli attacchi diventano più feroci. Non stanno attaccando solamente la scienza del clima, essi – per esempio i fratelli Koch – finanziano gli attacchi contro l'energia pulita, contro l'eolico, contro l'energia solare. Nel mio libro parlo della scaletta della negazione del cambiamento climatico: nel tempo, i negazionisti hanno ritirato indietro questa scaletta. Prima, non c'era alcun riscaldamento...bene, OK, c'è il riscaldamento ma non è dovuto a noi... OK, bene, forse è dovuto in parte a noi ma gran parte di esso è naturale... OK, bene, forse gran parte di esso è dovuto a noi ma gli impatti non sono così cattivi e ci possiamo adattare... e così via. Stiamo vedendo che i negazionisti del cambiamento climatico stanno ritraendo quella scaletta verso una posizione secondo la quale sarà troppo costoso fare qualcosa per esso, così possiamo adattarci o possiamo impegnarci nella cosiddetta geo-ingegneria. E' qui che sembra che stiano andando a parare, stanno spostando le proprie truppe dalle linee del fronte della contestazione della scienza, riposizionandole lungo un nuovo fronte che ha a che fare con l'economia e la politica. Stanno lentamente scendendo lungo quella scaletta. Ma il fatto è che non possiamo permetterci questo se vogliamo evitare cambiamenti potenzialmente catastrofici nel clima. Dobbiamo mettere sotto controllo le nostre emissioni di combustibili fossili entro pochi anni, non decenni. 

Hai parlato di come sia sempre più chiaro a sempre più persone che è questo che sta accadendo, ma è troppo tardi? Sembra esserci un numero sempre maggiore di studi in uscita che dicono che in realtà non c'è modo di evitare  i 2°C. Qual è la tua sensazione?  Possiamo ancora evitare i 2°C o stiamo inevitabilmente andando verso un loro superamento?

Possiamo. Vorrei rispondere ad alcuni degli studi che che sostengono che non possiamo farlo. Se lavoriamo attraverso l'assunto di base tutto quello che stanno dicendo in realtà è che non avremo la volontà di farlo. Non c'è prova che sia fisicamente impossibile evitare un riscaldamento di 2°C. E sicuramente vero che con ogni anno di inazione, quella curva che descrive quanto presto dobbiamo portare le emissioni a un picco e quanto rapidamente esse debbano declinare, quella curva diventa sempre più irta. Ora è il caso che dovremo abbassare le nostre emissioni di gran lunga più rapidamente nei decenni. Avremmo potuto rendere l'atterraggio dolce se avessimo preso in mano le nostre emissioni un decennio o due fa. Il fatto è che ora dobbiamo realmente subire la transizione molto rapidamente e ciò significa che dovremo prendere alcune decisioni difficili se vorremo evitare un riscaldamento di 2°C. Con tutta probabilità ciò significa mantenere le concentrazioni di CO2 al di sotto delle 450 parti per milione. Ora ce ne sono circa 400, quindi se facciamo il conto questo significa che dobbiamo portare le emissioni da combustibili fossili a un picco nel giro di qualche anno e cominciare a diminuirle molto drammaticamente.

Ciò significa che dovremo transitare più rapidamente a fonti energetiche alternative. C'è un'importante dibattito che avrà luogo sul ruolo che avrà il nucleare. Lo stesso ruolo che potrebbe avere il gas naturale, un cosiddetto 'combustibile di transizione', in questo dibattito, anche se qui c'è ogni sorta di ammonimento. Col gas naturale viene un gran numero di altri rischi e complicazioni e, ovviamente, il nucleare comporta a sua volta dei seri rischi. Ci è stato ricordato giusto un anno e mezzo fa a Fukushima.  Il fatto è che ora siamo in una posizione in cui dobbiamo contrattare i rischi. John Holden, il Consigliere Scientifico Presidenziale ha un buon modo di inquadrare ciò: “ci impegneremo in una qualche combinazione di mitigazione, adattamento e sofferenza”. La discussione ora è in realtà su quanto di ognuna di esse desideriamo tollerare e l'enfasi relativa che dobbiamo mettere su ognuna di quelle opzioni. 

Poco tempo fa ho parlato con Kevin Anderson al Tyndall Climate Centre. La sua analisi è fondamentalmente che abbiamo bisogno di un taglio del 10% delle emissioni a partire da ora. E' stato molto critico che ho fatto con lui con alcuni dei suoi colleghi, in quanto percepiva che all'interno della comunità degli scienziati del clima ci fossero persone felici di dire ai nostri leader quello che essi vogliono sentirsi dire o di dare una versione più edulcorata della realtà delle cose. Hai trovato facile mantenerti saldo nel raccontare le cose come stanno quando a volte la tentazione è quella di dire “Oh bene, non va così male...”?

Ovviamente dobbiamo equilibrare un certo numero di considerazioni nel modo in cui comunichiamo la scienza e le sue implicazioni al pubblico. Ho visto colleghi presentare un quadro così pessimistico che questo corre il rischio di ricevere il contrario della risposta cercata. La gente, anziché dire “accidenti, è un bel problema, dobbiamo fare qualcosa, trovare una soluzione, lavorare in direzione della soluzione di questo problema”, alza le braccia e dice “è troppo tardi per fare qualcosa, quindi guiderò il mio Hummer e vivrò uno stile di vita dissoluto perché non c'è nulla che possiamo fare su questo, comunque”. Credo che sarebbe estremamente dannoso se questa fosse la risposta che dovessimo riscontrare nel pubblico, quindi è importante presentare un po' di ottimismo, dove è giustificato, perché ci sono alcune ragioni per l'ottimismo. Abbiamo affrontato problemi ambientali in precedenza e li abbiamo mitigati, li abbiamo affrontati prima che si trasformassero in disastri ancora peggiori, che fossero le piogge acide o l'assottigliamento dello strato di ozono. Quindi ci sono precedenti storici per credere che potremmo essere all'altezza della sfida per risolvere anche questo problema. Ci sono importanti sviluppi che hanno avuto luogo nel campo delle energie rinnovabili in anni recenti, Ci sono calcoli credibili degli scienziati del NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration) qui negli Stati Uniti.

Circa un anno fa essi hanno pubblicato uno studio che ha mostrato che potremmo probabilmente soddisfare il 70% dei nostri bisogni energetici entro più o meno 20 anni attraverso una combinazione di energia solare ed eolica. Potenzialmente fino al 85% se cominciamo a tenere in conto anche la geotermia ed altre fonti energetiche. Possiamo vedere la luce alla fine del tunnel. Possiamo vedere un futuro tra un paio di decenni in cui saremo in grado di ottenere l'energia di cui abbiamo bisogno in modo pulito qui negli Stati Uniti e in tutto il resto del mondo. Il fatto è tuttavia che dobbiamo costruire un ponte per quel futuro e ciò significa prendere alcune decisioni difficili, ma c'è ragione di essere ottimisti. Possiamo arrivarci se ci impegniamo in una discussione in buona fede sui rischi che dobbiamo scambiarci nel costruire quel ponte per un futuro di energia rinnovabile. Il problema qui negli Stati Uniti ed altrove è che non c'è, nella discussione, la buona fede che ci doveva essere sulle soluzioni al problema, perché abbiamo ancora politici che agiscono essenzialmente come portavoce degli interessi dei combustibili fossili, che continuano a negare persino che il problema esista. Se riusciamo a superare questo, allora c'è una luce in fondo al tunnel. Possiamo vedere il modo di risolvere questo problema prima di impegnarci di fatto in cambiamenti davvero pericolosi per il nostro clima. 

Nel libro c'è un capitolo con un titolo del tipo 'Inizia la controffensiva', in seguito al 'Climategate' [il furto di email di scienziati del clima ed il successivo e ben coordinato tentativo di sostenere che esse mostrassero un tentativo concertato di falsificare la scienza e di ingannare il pubblico, un tentativo successivamente screditato]. Come credi stia andando questa controffensiva? Credi che nelle discussioni la scienza stia tornando in maniera forte e riguadagnando un punto d'appoggio molto più forte?





Penso di sì. Penso dove si guardi che i media trattano il problema più chiaramente. Prendiamo il cosiddetto 'Climategate', che è un termine terribile, perché di fatto l'unico crimine è stato il furto criminale delle email! Ironicamente, il Watergate è stato uno scandalo a causa del furto. Non è stato a causa dei materiali che ha trovato Nixon! Quindi c'è stata un crudele ironia in come è stato inquadrato. Le forze del negazionismo sono state molto efficaci nell'inquadrare quel problema all'interno dei media. Da subito esse hanno aiutato ad inquadrare la narrazione e molti nei media hanno adottato la loro narrativa acriticamente. Ma ciò è stato in parte dovuto, come sostengo nel libro, che ci fosse già un contesto, un ambiente in cui i media erano ricettivi a quel messaggio dei bastian contrari, forse perché c'era una sensazione, dopo “Una Scomoda Verità” (il film con Al Gore) e la copertura delle conseguenze dell'uragano Katrina, di quasi saturazione della copertura del problema del cambiamento climatico. E quasi come se ci fosse la sensazione che il problema fosse stato sovrastimato, esagerato.  Nel 2005-2006, molti dei miei colleghi stavano dicendo che il dibattito sulla scienza fosse finito e da quel momento in poi sarebbe stato solo una questione di dibattere le politiche e gli impatti ed io sapevo che questo non era vero. Sapevo che ci sarebbe stata un'opportunità per le forze negazioniste di tornare in trincea. C'era quell'euforia, una falsa compiacenza, all'interno della comunità scientifica. C'era anche un'opportunità, fra i negazionisti del cambiamento climatico, di sfruttare il fatto che i media erano andati quasi fuori di testa nel modo in cui avevano coperto il problema – storie in prima pagina, come la rivista Time, con orsi polari in mezzo a ghiaccio alla deriva con il titolo a caratteri cubitali “SIATE PREOCCUPATI, SIATE MOLTO PREOCCUPATI!”

Ciò ha quasi creato una caricatura del problema del cambiamento climatico. A la narrazione dei media a volte diventava stantia. Dire solo che il cambiamento climatico è davvero un male è una vera minaccia, la gente viene stordita dal messaggio. E così i giornalisti sentivano di dover trovare una nuova narrazione e quella nuova narrazione è stata una che ironicamente avevano contribuito a creare, per esempio che la scienza in qualche modo era stata sopravvalutata, che la preoccupazione era stata sopravvalutata. Il fatto che essa aveva un briciolo di verità era solo perché c'è stata una copertura fuori di testa del problema da parte di alcuni media. Ma ciononostante quella è diventata la nuova narrazione ed il pendolo della Finestra di Overton – ciò che è accettabile nel dibattito pubblico – è oscillatto indietro nella direzione opposta. Le forze negazioniste si sono impadronite di questo. Le email rubate, la cattiva fede, attacchi disonesti contro l'IPCC, cogliere il fatto di un inverno rigido negli Stati Uniti, come se il fatto da solo avesse qualcosa a che fare con il riscaldamento globale e il cambiamento climatico in atto, sé tutto unito come una tempesta perfetta e ha permesso alle forze del negazionismo di tornare in trincea.

Nel libro la inquadro come “La Battaglia delle Ardenne”. E' stata un'ultima resistenza. Credo che ci guarderemo indietro e diremo che questa è stata l'ultima resistenza opposta dal negazionismo del cambiamento climatico. Ora stiamo passando oltre a questo, ma non senza un costo. Il costo di quei 5, o 6, o 7 anni di inazione che sono stati comprati con una cinica campagna di disinformazione  si traduce potenzialmente in miliardi, se non trilioni, di dollari di perdite nei settori del cibo e delle risorse idriche, danni all'economia a cause di pesanti impatti meteorologici come l'uragano Sandy, gli 11 disastri collegati al meteo e al clima da più di un miliardo di dollari che abbiamo visto nel 2011 ed i danni ancora più grandi del 2012. Quindi c'è stato un enorme costo per la società nell'aver ritardato il controllo delle nostre emissioni di combustibili fossili. Gli anni di inazione significano che sarà molto più costoso avere a che fare col problema, adesso. E' una manutenzione ritardata. Ci costerà molto di più adesso, a causa della transizione più rapida che dovremo subire nell'allontanarci dai combustibili fossili. E' per tutte queste ragioni che la campagna di disinformazione da parte di interessi particolari per ritardare l'azione non è stata solo un crimine contro l'umanità, ma un crimine contro il pianeta. Penso che in futuro la guarderemo in questo modo.

Hai iniziato la tua carriera con le spalle larghe o da dove vengono le tue spalle larghe? Quando è cominciata tutta la storia del Climategate, ti sentivi di avere le spalle larghe a quel punto? Se no, com'è stato il processo per farsele?Hai dovuto svilupparle in tutta fretta , com'è stato?

Penso che sia una strada a doppio senso. E' un'esperienza di apprendimento per molti dei miei colleghi – direi anche per la comunità scientifica nel suo insieme – riconoscere che questa strategia si stava rivoltando contro gli scienziati. Essi lo hanno già visto prima, con scienziati del clima come Steve Schneider e Ben Santer. Ma nessuno lo aveva realmente inquadrato in questo modo. Ho cercato di farlo nel mio libro quando mi sono espresso su questo. Suppongo che, in una certa misura, parte di quello che ho cercato di fare nei miei tentativi di sensibilizzazione, nel mio libro, ecc. è di educare i miei colleghi scienziati al fatto che, come ha detto la rivista Nature, ci troviamo in una battaglia di strada con coloro che cercano di discreditare noi e la nostra scienza, che cercano di prendere in giro la gente. E noi dobbiamo riconoscere che queste sono le tattiche che vengono usate contro di noi. Ciò non significa che dovremmo usare noi stessi le tattiche di lotta da strada, ma dobbiamo avere strategie efficaci per combattere questi attacchi. Di nuovo, la miglior difesa è un buon attacco, quindi se possiamo usare queste opportunità di fare divulgazione positiva, di far passare il messaggio positivo di quanto la scienza ha da dire, su quanto abbiamo bisogno di fare per affrontare la sfida. Se possiamo trasformare queste situazioni in opportunità di promuovere quel messaggio positivo, allora non solo difendiamo noi stessi dagli attacchi, sconfiggiamo i nostri detrattori perché gli stiamo ribaltando il tavolo addosso. Mi piace pensare che abbiamo visto un po' di questo negli ultimi anni. Per esempio, con l'Heartland Institute ed il tracollo che hanno avuto l'anno scorso, quando le loro tattiche sono state smascherate pubblicamente, quando hanno avuto parecchie critiche dalla stampa. Similmente, coi fratelli Koch, che finanziano così tanto la negazione organizzata del cambiamento climatico qui negli Stati Uniti. Ovviamente, qui negli Stati Uniti, il network dei media di Murdoch è un attore importante nella campagna di negazione del cambiamento climatico. Ma anche gente come i fratelli Koch. Per il lungo tempo nel quale hanno operato sotto il radar, si stavano allontanando dal finanziamento i gruppi impegnati in attacchi alla scienza e agli scienziati in cattiva fede, dagli sforzi propagandistici. Per lungo tempo sono stati in grado di fare questo senza ripercussioni. Durante gli ultimi anni, abbiamo visto uscite mediatiche che vogliono mostrare la campagna di negazione sul cambiamento climatico. Potresti aver visto una serie di articoli sul Independent da parte di Steve Connor. Ha vinto un premio lo scorso anno all'Unione Geofisica Americana per il suo servizio su cambiamento climatico e politica del cambiamento climatico. Ha scritto una serie di due o tre articoli recenti su come quasti interessi privati abbiamo finanziato una campagna invisibile per screditare la scienza del clima e per screditare l'energia rinnovabile. C'è una altro articolo recente che descrive come gli interessi particolari dei combustibili fossili hanno pagato persone per protestare contro l'energia rinnovabile per 20 dollari all'ora. E' quasi certamente solo la punta dell'iceberg. Sappiamo che ciò è avvenuto su scala anche più vasta, ma sui media stanno appena cominciando a prendere piede. Su internet, nei newsgroup e nei blog, sappiamo che ci sono individui che vengono pagati da interessi particolari per postare commenti contrari, per aiutare a creare l'illusione una opposizione con base ampia all'energia pulita. E il classico prato finto e sta per iniziare ad essere smascherato come non gli è mai successo prima

C'è un termine usato nel libro alcune volte, quella che chiami la “Strategia del Serengeti” su come la persone vengono mirate e prese una ad una. Prima che accadesse questo, sentivi di avere quel tipo di sostegno o sentivi di aver bisogno di costruire un sostegno più forte fra tutti, e come lo hai fatto?

A quel punto mi sono stato indurito dalle battaglie. Sono stato duramente attaccato dai soliti sospetti – gruppi di copertura, gruppi di copertura finanziati dall'industria ed i loro sostenitori pagati. Più di un decennio fa, quando la Mazza da Hockey è diventata un'icona del dibattito sul cambiamento climatico, sono diventato oggetto di attacchi duri e in malafede, non solo sulla mia scienza, ma sulla mia persona. In quella situazione o affondi o nuoti e, fortunatamente, avevo amici e colleghi che erano passati in qualcosa di simile in precedenza, gente come Steve Schneider e Ben Santer, che sono stati presenti per darmi sostegno e darmi consiglio su come affrontare quegli attacchi. Quindi c'era una rete di sostegno lì per me. Parte di quello che ho cercato di fare adesso, adesso che gente come Steve Schneider purtroppo non è più con noi, è di sostenere e consigliare un'intera nuova generazione di scienziati più giovani che sono oggetto degli stessi tipi di calunnia e attacco. Mi piace pensare di essere parte di una nuova rete di sostegno per scienziati più giovani.  

Se dovessi consigliare qualcuno che per la prima volta si sedesse ed aprisse una email da parte di qualcuno molto aggressivo e spiacevole, di punto in bianco, quale sarebbe il tuo consiglio?

Sarebbe di non rispondere a quella email. Questa è la prima cosa. Infatti, una delle cose più importanti è quella di non fare errori iniziali. Una delle tattiche usate dai nostri detrattori è quella di esporre gli scienziati che non hanno mai avuto a che fare con cose simili ad un improvviso attacco furioso al vetriolo nella speranza he rispondano irrazionalmente, che faranno degli errori, che diranno cose che non avrebbero dovuto dire nella foga del momento. Quindi, è estremamente importante non reagire. Di non fare nulla di precipitoso. Parlate ai vostri colleghi anziani che potrebbero essere passati attraverso questo tipo di cose in precedenza e che possono fornire consiglio su come difendersi da attacchi e calunnie. Usate la rete degli scienziati e delle organizzazioni che sono lì per aiutare gli scienziati ad affrontare quegli attacchi. Mi viene in mente l'Unione degli Scienziati Preoccupati (Union of Concerned Scientists). Essi sono stati la fuori durante gli ultimi anni a fare workshop alle conferenze scientifiche, scrivendo documenti su come fare, facendo tutto ciò che possono per assistere gli scienziati – specialmente i giovani scienziati – nell'affrontare circostanze ostili, circostanze in cui sfortunatamente gli scienziati si trovano sempre più spesso, perché ci sono interesse forti ai quali non piace il messaggio della loro scienza.