lunedì 9 dicembre 2013

L'eredità del Club di Roma

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Questa è una versione scritta del discorso che ho tenuto all'incontro tenutosi a Bucarest in occasione del ventesimo anniversario della fondazione della sezione rumena del Club di Roma (ARCoR) il 17 ottobre 2013. E' stata una riunione alquanto formale, quindi il mio discorso è stato un po' più formale del solito. Ciò che segue non è una trascrizione, ma una versione testuale scritta a memoria. Ringrazio Liviu Tudor, segretario generale di ARCoR, Mugur Isarescu, presidente e tutti i membri di ARCoR per avermi invitato in questa occasione (l'immagine sopra proviene dall'incontro ARCoR dello scorso anno, ma quella a cui faccio riferimento si è tenuta nella stessa sala a Bucarest).



Signore e signori, è un privilegio e un onore per me rappresentare oggi il Club di Roma. Posso quindi portarvi i saluti e le congratulazioni dei co-presidenti del Club, Anders Wijkman e Ernst Weizsacker, così come quello del Segretario Generale, Ian Johnson.

Oggi celebriamo il ventesimo anniversario della fondazione dell'associazione rumena del Club di Roma, ARCoR, cosa che rappresenta una realizzazione notevole. E' altrettanto notevole, credo, la realizzazione del Club di Roma come associazione globale, che esiste già da 40 anni, dopo essere stata fondata da Aurelio Peccei nel 1969.

La celebrazione di oggi, tuttavia, non è alla memoria delle glorie passate. Ciò che invece celebriamo è la sempre maggiore consapevolezza di quanto importante e di quanto moderna sia stata la visione che è apparsa nel primo rapporto al Club, il celeberrimo libro dal titolo “I limiti dello Sviluppo”. Oggi, più di 40 anni più tardi, ho avuto l'onore di firmare come autore principale il trentatreesimo rapporto al club, un libro dal titolo “Il Pianeta Saccheggiato”.

Con questo libro, abbiamo riesaminato alcuni degli scenari e il concetto del rapporto del 1972. Abbiamo scoperto quanto le idee del primo rapporto avessero consistentemente colpito nel segno e quanto l'economia mondiale abbia seguito da vicino lo scenario allora definito “caso base” e che oggi definiremmo come “business as usual”. E' uno scenario che vede la crescita dell'economia mondiale mantenuta fino ai primi decenni del ventunesimo secolo, seguita da una stasi e poi da un rapido declino.

Per favore, fate attenzione: “I Limiti dello Sviluppo” non è stata una profezia e non lo doveva essere. Gli autori avevano chiaramente dichiarato nel libro che non volevano che il futuro fosse come il loro scenario “caso base”. Nessuno voleva il collasso dell'economia mondiale, con tutte le conseguenze che questo comporta, naturalmente. Essi hanno detto, correttamente, che il futuro è qualcosa che creiamo con le nostre azioni e le nostre decisioni e che se avessimo voluto evitare il declino avremmo dovuto fare le scelte che lo avrebbero evitato. Ma ciò non è stato fatto e lo scenario caso base è diventato, sfortunatamente, sempre più simile ad una profezia.

Tuttavia, indipendentemente da quale sarà l'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi anni, penso che l'eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” oggi sia quella di ricordarci quanto siano importanti le risorse materiali per la nostra sussistenza e la nostra prosperità. La ricchezza non è creata dalle banche o da altre istituzioni finanziarie, è creata da ciò che chiamiamo “risorse naturali”, che vengono prodotte e elaborate dal sistema industriale e alla fine trasformate in prodotti: è ciò che chiamiamo “economia”. Senza risorse naturali  non ci sarebbe un'economia e i soldi sarebbero senza valore, perché non ci sarebbe nulla da comprare. Questo dovrebbe essere ovvio, ma a volte siamo così preoccupati – direi ossessionati – dai capricci del sistema finanziario mondiale che tendiamo a dimenticare una cosa che il mio amico e collega Giorgio Nebbia mi diceva: “L'economia è la scienza delle cose materiali”.

Quindi, dove ci troviamo rispetto a queste “cose materiali” oggi? Be', da un lato è chiaro che NON stiamo esaurendo niente: la produzione dei minerali più importanti non è in declino e non manca nessun bene minerale sul mercato, almeno se siamo disposti a pagarne il prezzo. A volte si diceva che il messaggio de “I Limiti dello Sviluppo” era che avremmo finito presto le risorse minerali. Ma non è vero. “I Limiti dello Sviluppo” non hanno mai detto niente del genere. Era chiaro dai calcoli riportati nello studio che non avremmo finito le risorse minerarie principali prima della fine del ventesimo secolo. Il punto è del tutto diverso: molto prima di finire fisicamente le risorse finiremo le risorse economiche.

Ed è esattamente questo che è accaduto. Non stiamo finendo nulla, ma dobbiamo pagare di più per ciò che ci serve. Come sicuramente sapete, i prezzi del petrolio sono aumentati di un fattore di circa 5 negli scorsi 5-6 anni e il prezzo medio delle risorse minerali è aumentato di un fattore di circa 3 nello stesso lasso di tempo. Questa è una tendenza robusta e non è indolore per le economie dei paesi importatori.

Lasciate che vi fornisca alcuni dati: nel 2012 i paesi dell'Unione Europea hanno importato 500 miliardi di euro di valore in combustibili fossili (1), si tratta di circa il 4% del PIL europeo. I singoli paesi mostrano valori leggermente diversi, per esempio per l'Italia sono stati circa 66 miliardi di euro di importazioni, che corrispondono a più del 4% del PIL italiano. Per la Romania la percentuale è inferiore, in parte a perché la Romania produce una quantità relativamente grande di combustibili fossili in confronto alla dimensione della propria economia.

Considerate che questi sono solo i costi dell'importazione di combustibili fossili. Altri soldi devono essere spesi per l'importazione di beni minerali che normalmente “contengono” molta energia sotto forma di combustibili fossili usati per la loro estrazione, elaborazione e trasporto. Ma rimaniamo sui combustibili fossili. Poniamoci una domanda: il 4% è poco o molto? Be' questa è una delle domande classiche alle quali si deve rispondere “dipende”. Se l'economia potesse crescere, allora l'aumento dei costi dei combustibili fossili non sarebbero un grande fardello – rimarrebbero più o meno la stessa percentuale dell'intera economia. Ma non è stato così. L'economia europea sta crescendo, ma la crescita è stata ben lontana dall'essere robusta come lo è stata negli anni passati e in diversi paesi l'economia non cresce affatto. E questi paesi hanno visto il proprio “conto energetico” crescere e diventare un fardello pesante. Un buon esempio è l'Italia, ma lo stesso tipo di problemi ci sono ovunque. Mentre parliamo di punti percentuali dell'economia europea stiamo parlando di centinaia di miliardi di euro che si spostano dall'Europa – i gran parte importatrice di beni minerali – ai paesi produttori che si trovano in gran parte al di fuori dell'Europa.

Questo gigantesco trasferimento di ricchezza non può rimanere senza conseguenze e penso che questa sia una delle ragioni principali dei problemi che viviamo oggi. Come ho detto prima, l'eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” è quella di ricordarci che la nostra prosperità è basata su risorse materiali e non dovremmo dimenticarcelo. Vi invito a considerare questo elemento quando cercate di capire cosa sta succedendo.

Ma c'è un altro elemento che possiamo a sua volta considerare oggi come eredità del Club di Roma e questo va dritto al cuore della questione. Gli scenari che stanno alla base dello studio “I Limiti dello Sviluppo” sono stati creati usando una tecnica chiamata “dinamica dei sistemi”. Ha a che fare con la risoluzione di equazioni differenziali su un computer ma, in realtà, non è niente altro che buon senso formalizzato.

Mi spiego. Definirei “buon senso” in un modo molto semplice: è semplicemente pensare alle conseguenze e, in particolare, alle conseguenze a lungo termine di quello che facciamo. Usare un computer significa che possiamo proiettare il nostro buon senso a una certa distanza nel futuro e considerare sistemi più complicati di quelli coi quali abbiamo a che fare abitualmente. Ma il buon senso – pensare alle conseguenze – rimane una qualità del pensiero umano che, sfortunatamente, a volte rifiutiamo di utilizzare.

Considerando la nostra situazione attuale stiamo affrontando scelte che avranno conseguenze profonde sul nostro futuro. Per esempio, dobbiamo perforare in cerca di più petrolio e gas? Possiamo, naturalmente, scegliere di investire grandi quantità delle nostre risorse per sfruttare le cosiddette risorse “non convenzionali”. Ma la conseguenza sarà che diventeremo ancora più dipendenti da una risorsa che sta diventando sempre più difficile e costosa da ottenere (per tacere del peggioramento del problema climatico). Così, tutto ha conseguenze e dovremmo pensarci prima di prendere queste importanti decisioni, se vogliamo prenderle in modo saggio.

Per concludere, vorrei citare una frase che viene spesso attribuita a Robert Luis Stevenson. Ed è: “Ognuno di noi, prima o poi, si siede ad un banchetto di conseguenze”. Cosa verrà servito al banchetto dipenderà dalle scelte che stiamo facendo ora. In questo senso, i metodi e le idee sviluppate dal Club di Roma già negli anni 70 possono aiutarci a fare scelte sagge (se vogliamo farle). E' questa l'eredità del Club di Roma.


1. http://cleantechnica.com/2013/04/07/eu-2030-energy-green-paper-introduce-oil-import-reduction-targets/



domenica 8 dicembre 2013

Ghiaccio e metano: la combinazione mortale



Questi due documentari tradotti da Max Rupalti fanno un po' paura. Lo si vede anche dai commenti aggressivi e fuori dalle righe che hanno ricevuto sul sito dove sono stati pubblicati originariamente, Transition Italia. Sfortunatamente, mettersi a urlare contro i problemi non è un buon modo per risolverli

Clima: due documentari (ora) in italiano

di


Salve a tutt*

Volevo segnalarvi due documentari che ho recentemente sottotitolato e che potrebbero essere utili, a scopo divulgativo, per chi è attiv* in un’iniziativa di Transizione o in un Gruppo Guida.

L’argomento è per entrambi il clima.

Il primo è “Chasing Ice” (2012), del fotografo americano James Balog. Anni di fotografie scattate giorno dopo giorno durante la spedizione “Extreme Ice Survey” ricostruisco il ritiro dei ghiacci in Islanda, Groenlandia, Alaska e Montana. “E’ una cosa magica, miracolosa, orribile e spaventosa”, una frase del film che lo rappresenta piuttosto bene. (Grazie a Paolo e Ilaria per le segnalazioni di errori nel testo).




Di carattere più tecnico e dalle immagini meno godibili (ma non per questo meno importante) è il secondo documentario: “La spirale mortale dell’Artico e la bomba a orologeria del metano” (2013). Il titolo è piuttosto macabro, ma quanto sta accadendo nell’Artico potrebbe rivelarsi esserlo davvero. I ghiacci si sciolgono, l’albedo diminuisce, il mare e la terra nuda assorbono più energia solare, l’acqua si scalda, il permafrost si scioglie, gli idrati di metano in fondo al mare cominciano a sciogliersi a loro volta rilasciando metano, il metano è un gas serra molto potente… Insomma, un problemino di cui proprio non possiamo più fare a meno di occuparci.



Mi spiace che non siano belle notizie. Spero che servano a trasformare i problemi in soluzioni, che è un po’ quello per cui nasce la Transizione.

Buona visione e diffusione (se volete).


P.S. Se volete diffondere i documentari vi consiglio di scaricarli, su youtube oggi ci sono e domani non si sa. I sottotitoli sono scaricabili con appositi programmi freeware, ma se avete difficoltà contattatemi: rupo[chiocciola]cheapnet.it



giovedì 5 dicembre 2013

Tre anni dopo Macondo

Da “Truthout”. Traduzione di MR

Di Dahr Jamail, Aljazeera English

Tre anni dopo l'esplosione, il declino della pesca e le deformità indicano un ambiente sotto stress. (Foto: Erika Blumenfeld)

New Orleans – Centinaia di chili di detriti oleosi sulle spiagge, declino della pesca ed altri segni preoccupanti indicano un ecosistema in crisi sulla scia del disastro petrolifero della BP nel Golfo del Messico. “Ciò che stiamo vedendo è inquietante” ha detto ad Al Jazeera il membro della Task Force “Ostrica”, in Louisiana, Brad Robin. “Non ci sono più piccoli di granchio, il che è un brutto segno. Stiamo vedendo cose mai viste prima”. Robin, un pescatore e commerciante di ostriche che è anche membro del Comitato Consultivo del Governo della Louisiana, ha detto che del fondo marino nel quale ha raccolto le ostriche in passato, solo il 30% è produttivo ora.

“Vediamo granchi con buchi nel guscio ed altre deformità dei frutti di mare. La stagione delle ostriche dello stato della Louisiana ha aperto il 15 ottobre e non siamo in grado di trovare nessuna produzione la fuori, ancora. Non c'è vita la fuori”. Secondo Robin, interi settori dell'area di raccolta di ostriche della Louisiana sono “morti o in gran parte morti”.  “Ho 10 barche nella mia flotta e solo due di loro sono in funzione, perché non ho la produzione per far andare le altre. Non siamo neanche lontanamente vicini a tornare alla normalità e non posso dirvi quando e se ci si tornerà”. Le statistiche dello stato della Louisiana confermano che i numeri della pesca complessiva sono declinati dal momento dello sversamento.

Sono stati trovati oltre tre milioni di libbre di materiali oleosi in Louisiana quest'anno. (Foto: Erika Blumenfeld / Al Jazeera)

E' tutto a pezzi


Gamberi con tumori continuano ad essere trovati lungo la zona di impatto, dalla Louisiana alla Florida.
 (Foto: Dean Blanchard)
Robin non è il solo membro dell'industria ittica del Golfo a riportare notizie desolanti. Kathy Birren e suo marito sono proprietari della Hernando Beach Seafood, un'impresa per la vendita all'ingrosso di frutti di mare in Florida.

”Ho visto molti cambiamenti da quando c'è stata lo sversamento”, ha detto la Birren ad Al Jazeera. “Il nostro raccolto di granchio di pietra è crollato e non è più ritornato; i numeri sono di gran lunga inferiori. Di solito vedresti un po' di buona pesca al granchio lungo le coste della Florida, ma quest'anno abbiamo avuto problemi ovunque”. Birren dice che i problemi non ci sono solo coi granchi. “Anche la nostra pesca della cernia è crollata da quando c'è stata lo sversamento”, ha aggiunto. “Abbiamo visto pesci con sfere di bitume nello stomaco fino alle Florida Keys. Abbiamo preso una cernia con sfere di bitume nello stomaco lo scorso mese. In generale, è tutto a pezzi”. Secondo la Birren, molti pescatori nella sua zona si stanno arrendendo. “La gente si sta ritirando dalla pesca e svende perché deve. Io abito nella Florida centro occidentale, ma i pescatori fino a Key West stanno lottando per andare avanti. Penso al futuro di mio figlio, visto che è appena entrato nel settore, e sono preoccupato”.


Dean Blanchard, proprietario di un'azienda di frutti di mare a Grand Isle, in Louisiana, è a sua volta profondamente preoccupato da quello che vede. “Ci sono grandi strati di bitume che emergono a Elmers Island, Fouchon, Grand Isle e Grand Terre," ha detto Blanchard ad Al Jazeera. “Ogni volta che c'è cattivo tempo ci arrivano nuove palle e strati di bitume”. Blanchard ha detto che la sua impresa genera solo il 15% di quello che generava prima dello sversamento. “ Sembra che stia peggiorando”, ha detto. “Ho detto a mia moglie che quando va al supermercato può spendere solo il 15% di quello che spendeva prima”.  Blanchard ha visto anche visto gamberi con deformità ed ha fatto delle foto di gamberi con tumori (vedi sopra). Ad altri mancano gli occhi. Egli attribuisce le deformità all'uso da parte della BP di agenti disperdenti per far sprofondare il petrolio fuoriuscito. “Tutti coloro che vivono quaggiù li hanno visti spruzzare i loro agenti disperdenti giorno dopo giorno. Hanno spruzzato le nostre baie e le nostre spiagge”, ha detto. “Abbiamo un problema, perché la BP dice di non aver spruzzato nulla quaggiù, ma c'era un prete che li ha a sua volta visti. Quindi, o abbiamo un prete bugiardo, ho mente la BP”.  La BP e la Guardia Costiera hanno detto ai media di non aver mai spruzzato agenti disperdenti entro le 10 miglia dalla costa e che gli agenti disperdenti non sono mai stati usati nelle baie.

Gambero senza occhi, insieme ad altre anormalità dei frutti di mare, sono diventati comuni in molte aree lungo la costa del Golfo. (Foto: Erika Blumenfeld / Al Jazeera)

Un recupero lungo decenni

Su una nota più cupa, il dottor Ed Cake, un oceanografo biologico e biologo marino, crede che serviranno decenni al Golfo per recuperare dal disastro della BP. “Gli impatti dell'esplosione del Ixtoc 1 sulla Baia di Campeche nel 1979 si sentono ancora”, ha detto Cake, riferendosi alla grande perdita di petrolio vicino alla costa messicana, “e ci sono baie in cui le ostriche non sono ancora tornate. La mia previsione è che avremo a che fare con gli impatti di questo sversamento per diversi decenni a venire e questa cosa mi sopravviverà”. Secondo Cake, la pesca del granchio blu e del gambero è crollata in Mississippi e Alabama dal momento dello sversamento e d ha anche espresso preoccupazioni sulla moria di delfini in corso. Ma la sua preoccupazione principale è il recupero lento della popolazione di ostriche della regione. “Il Mississippi ha aperto di recente la sua stagione e i loro pescatori di ostriche sono autorizzati a pescare solo 12 sacchi di ostriche al giorno. Ma non riescono a prenderne nemmeno 6”, ha detto Cake. “30 sacchi sarebbero il pescato normale di un giorno per quanto riguarda le ostriche – che era il limite precedente – ma questo ora è stato ridotto perché le riserve non ci sono”. La conclusione di Cake è sinistra: “Qui nelle aree dell'estuario, dove ci sono le ostriche, penso ci vorranno un decennio o due prima di vedere un qualche recupero”. La BP in precedenza aveva fornito ad Al Jazeera una dichiarazione su questo argomento, una parte della quale diceva. “I frutti di mare dal Golfo del Messico sono fra i più collaudati del mondo e, secondo la FDA (Food and Drug Administration) e il NOAA, è sicuro ora quanto lo era prima dell'incidente”. La BP sostiene che le lesioni ai pesci sono comuni e che prima dello sversamento c'erano prove documentate di lesioni nel Golfo del Messico causate da parassiti ed altri agenti.

Trovato altro petrolio

La seconda fase del processo in corso contro la BP appura se le azioni della compagnia per fermare la fuoriuscita di petrolio durante l'esplosione sono state adeguate e punta a determinare quanto petrolio è stato rilasciato. “La BP sta montando una campagna di pubbliche relazioni e legale aggressiva per proteggere se stessa dalla responsabilità e minimizzare la quantità di petrolio fuoriuscito nel Golfo, così come gli impatti in corso a causa del disastro”, ha detto Jonathan Henderson, un organizzatore della Rete per il Ripristino del Golfo, un gruppo ambientalista. Persino il Governatore Repubblicano della Louisiana Bobby Jindal è d'accordo. Jindal ha recentemente detto, “Tre anni e mezzo più tardi, la BP sta spendendo soldi – voglio che lo ascoltiate – spende più soldi per spot televisivi di quanti ne abbia realmente spesi per ripristinare le risorse naturali che sulle quali ha impattato”.

Più lontano dal luogo dell'esplosione in Florida, i ricercatori continuano a trovare petrolio sia a Tampa Bay sia a Sarasota Bay. In Lousiana, secondo l'Autorità per la Protezione e il Ripristino della Costa della Louisiana (APRC), più di 200 miglia di linea di costa hanno “un inquinamento da petrolio di qualche tipo”, comprese 14 miglia che sono moderatamente o pesantemente sporche di petrolio. Da marzo ad agosto di quest'anno, sono stati raccolti oltre tre milioni di libbre di materiali petroliferi in Louisiana, più del doppio della quantità durante lo stesso periodo dello scorso anno. In aggiunta, La APRC riporta che “le ricerche sulla composizione chimica dei campioni di petrolio del MC252 [il pozzo di Macondo della BP] dimostrano che il petrolio sommerso NON è sostanzialmente logorato e non ha esaurito gran parte degli IPA [idrocarbori policiclici aromatici]”, e “controversie... scoperte portate dalla Guardia Costiera degli Stati Uniti secondo le quali il petrolio della Deepwater Horizon non è tossico”. L'agenzia ha anche espresso preoccupazioni secondo le quali “il petrolio sommerso potrebbe continuare a costituire un rischio a lungo termine per gli ecosistemi sotto costa”.

“Continuano anche ad emergere nuovi impatti sull'ecosistema e sulle creature del Golfo”, ha detto Henderson ad Al Jazeera. “Solo quest'anno, Il Servizio Nazionale Marino per la Pesca ha registrato lo spiaggiamento di 212 delfini ed altri mammiferi marini nel nord del Golfo. Un nuovo studio scientifico condotto dal NOAA, dalla BP e da ricercatori universitari a sua volta mostra significativi impatti negativi sui piccoli organismi che vivono sul letto del mare in un'area di 57 miglia quadrate intorno al sito del pozzo della Deepwater Horizon”. Numerosi altri impatti sono stati documentati da quando è iniziato il disastro, compresi sconvolgimenti genetici delle Cyprinodontidae del Golfo, pericolo per il corallo di profondità e moria dei piccoli foraminiferi che sono una parte importante della catena alimentare del Golfo. Gli studi in corso continuano a rivelare tossine dallo sversamento della BP nei campioni di acqua, suolo e frutti di mare. Nel frattempo, i pescatori nella zona di impatto della BP si chiedono se le cose torneranno mai alla normalità. “Il nostro futuro è molto, molto oscuro e non esistono granchi spugna là fuori, che sono il futuro”, ha concluso Robin. “Non ho mai visto una cosa simile nella mia vita. Non vedo un futuro, perché è tutto morto la fuori”.

mercoledì 4 dicembre 2013

Cambiamento climatico? Provate a chiedere ai contadini

Da “The Guardian”, Traduzione di MR (Peak Transition Translators Team) 

Le osservazioni di contadini in Africa, Asia e America Latina confermano i rapporti di temperature in aumento ed eventi atmosferici estremi


Il cambiamento climatico colpirà più duramente i paesi più poveri, dice l'IPCC. Sopra: capre colpite dalla siccità che bevono da un pozzo a Wargadud, Kenya. Foto: Stephen Morrison/EPA



I gruppi europei per lo sviluppo hanno riportato che le ultime valutazioni scientifiche dell'Intergovernmental Panel on Climate Change del fenomeno combacia con le osservazioni e le esperienze dei gruppi agricoli e di altri gruppi coi quali collaborano in Africa, Asia e America Latina. Gli scienziati dell'IPCC, che riconoscono di avere spesso dati approssimativi sulle precipitazioni e sulle temperature per molte aree di paesi in via di sviluppo, dicono che le temperature sono aumentate, che gli eventi atmosferici estremi sono più frequenti e le precipitazioni meno prevedibili. Se le emissioni non vengono tagliate in modo netto, dicono, il mondo si può aspettare un costante aumento del livello del mare e delle temperature, più eventi atmosferici estremi e precipitazioni meno certe.

“Qui il cambiamento climatico è una realtà. Possiamo vederne gli impatti ovunque. Ci sono nuovi insetti sulle nostre colture a causa delle temperature più alte. Ora non possiamo più produrre senza irrorare i campi” ha detto un contadino boliviano, Alivio Aruquipa, che vive a La Granja, vicino a La Paz, e lavora con un gruppo che collabora con Christian Aid di nome Agua Sustentable (CARE). “Noi siamo quelli che risentono dell'impatto del cambiamento climatico. Abbiamo subito molto la mancanza d'acqua. La gente sente di dover lasciare il proprio paese o di lasciare le proprie case per cercare lavoro e trovare un modo di sfamare le proprie famiglie. Ci sono conflitti per l'acqua fra le diverse comunità perché tutti noi abbiamo bisogno d'acqua e non ce n'è abbastanza per tutti”, ha detto.

“La gente con la quale lavoriamo convive con gli effetti del cambiamento climatico adesso. Nel Niger, i contadini sono stati costretti a trovare nuove fonti di reddito dal momento in cui il cambiamento climatico ha reso il pascolo di bestiame impossibile. In Perù, le comunità degli altipiani che si sono affidate a disponibilità regolari d'acqua provenienti dai ghiacciai andini per secoli, devono con una disponibilità d'acqua incostante che sta condizionando la loro capacità di coltivare del cibo per sfamare le proprie famiglie e guadagnarsi da vivere”, ha detto il funzionario per il cambiamento climatico, Sven Harmeling. Nkhuleme Ntambalika, che vive nel distretto di Balaka in Malawi ed è stato aiutato dal Centro per il Patrocinio e le Politiche Ambientali, ha detto che i ritmi delle precipitazioni sono diventati sempre più irregolari, una cosa che egli attribuisce al cambiamento climatico. “Avevamo precipitazioni molto stabili che erano adeguate e non provocavano erosione. Al giorno d'oggi nessuno sa più quando mettere a dimora una coltura. Quando arrivano le piogge, o sono troppo leggere per piantare o sono troppo pesanti, quindi i campi si allagano o vengono erosi. Poi segue un periodo di siccità prolungato che brucia le colture germinate. Il seme così viene perduto”.

“La climatologia più recente conferma ciò che i piccoli contadini nel mondo ci raccontano, cioè che le stagioni stanno cambiando, sia perché sono sempre più estreme sia perché sono imprevedibili, rendendo così più difficile sfamare le loro famiglie”, ha detto Oxfam in un nuovo documento informativo. “E' importante riconoscere che il cambiamento climatico sta avvenendo nello stesso momento in cui stanno cambiando drasticamente le vulnerabilità. Dei 3 miliardi di persone che vivono in aree rurali dei paesi in via di sviluppo, 2,5 miliardi sono impegnati nell'agricoltura e 1,5 miliardi vivono in piccole fattorie familiari. Molti si trovano pericolosamente esposti ai cambiamenti del clima, il che significa che troppa pioggia, o troppo poca, può fare la differenza fra l'avere abbastanza cibo e vivere nella fame”.


Camilla Toulmin, direttrice dell'Istituto Internazionale per l'Ambiente e lo Sviluppo, ha detto che il rapporto ha confermato che le attività umane sono responsabili dell'aumentata instabilità climatica. “Ma c'è valore anche in quello che il rapporto dell'IPCC non dice, per esempio come cambierà il clima da luogo a luogo. I modelli climatici non sono ancora abbastanza robusti da prevedere gli impatti su scala locale e regionale ma è chiaro, dall'esperienza di molta gente con la quale lavoriamo e che ha affrontato perdite e danni solo quest'anno, che tutti sono vulnerabili in qualche modo. Quest'incertezza sugli impatti locali, insieme alla certezza che gli impatti arriveranno, è un duro avvertimento per il quale tutti ci dobbiamo preparare. I cittadini e i dirigenti di impresa del mondo devono far pressione sui governi ad agire, sia in casa propria che nel consesso internazionale”.

domenica 1 dicembre 2013

Aumenta la resistenza dei batteri agli antibiotici: un problema sempre più difficile

Guest post di Roberto Rondoni





Quando parliamo di antibiotici incontriamo nel pubblico degli utilizzatori due atteggiamenti opposti: uno, probabilmente ancora minoritario, è pregiudiziale all'utilizzo degli stessi (nell'ambito di un più generale atteggiamento di ritrosia nei confronti dei farmaci), l'altro vede negli antibiotici stessi una soluzione generale a tutte le malattie da raffreddamento e ad altri disagi aventi componente infiammatoria.

Al di là, però, di queste divergenze ideologiche il problema della crescente resistenza batterica agli antibiotici è poco considerato dai mezzi di comunicazione tradizionali (fuorché, forse, in corrispondenza degli appelli per la vaccinazione antiinfluenzale) ed in generale dalla popolazione dei potenziali utenti. I dati dell'indagine "Eurobarometro sulla resistenza antibiotica", commissionata nel 2010 dal Direttorio Generale per la salute dei consumatori dell'Unione Europea, indicano che solo il 22% dei cittadini europei (e solo il 14% di quelli italiani) é veramente informato sugli antibiotici, inoltre assieme a Romania (57%), Ungheria (75%) ed Estonia (78%) l’Italia, con il 65% degli intervistati, è il Paese in cui i cittadini sono meno consapevoli che un uso non adeguato degli antibiotici ne riduce l’efficacia. Questo generale atteggiamento non corrisponde alla sempre crescente attenzione che la comunità scientifica sta ponendo nelle possibili conseguenze dello sviluppo di batteri resistenti.

Quasi ogni anno l'Agenzia Italiana del Farmaco lancia una campagna di sensibilizzazione sull'uso responsabile degli antibiotici, l'ultima delle quali, del 2012, richiama l'attenzione sullo sviluppo delle resistenze batteriche causa di oltre 25mila decessi l'anno in Europa, i quali, oltre che essere evitabili, inducono costi supplementari per la sanità e il lavoro per almeno 1,5 miliardi di euro. L'AIFA afferma anche che "il conseguente sviluppo di antibiotico-resistenza pone un problema di particolare rilievo per la tutela della salute dei cittadini, poiché espone al rischio di non poter disporre più, in un futuro ormai prossimo, di alcuna possibilità di cura per le infezioni. Anche patologie oggi ritenute minori, potrebbero quindi divenire temibili".

Inoltre, recentemente, in occasione della 6a Giornata Europea della Consapevolezza sugli antibiotici, il Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle malattie (ECDC) ha presentato dei dati sull'incremento, a oltre il 5%, tra il 2009 ed il 2012 delle setticemie da Klebsiella pneumoniae resistenti anche ai carbapenemi, che sono l'ultima linea di difesa attuabile quando tutti gli altri antibiotici hanno fallito. Ciò riguarda in particolare 5 paesi, la maggior parte dei quali del sud dell'Europa. Il report rimarca anche la preoccupante crescita delle resistenze di Acinetobacter ad oltre il 25% in 18 paesi europei. Perchè gli addetti ai lavori sono così preoccupati? Perchè questi dati vanno ad aggiungersi a quelli dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sui decessi causati ogni anno dallo Stafilococcus aureus meticillino-resistente (Mrsa) e dall'Escherichia coli multiresistente(ESBL) che assommano a 8200 decessi in 31 nazioni europee (dati del 2007). Lo sono a maggior ragione perchè le quasi insuperabili resistenze di Klebsiella sono su organelli batterici chiamati plasmidi e potrebbero trasmettersi ad altri gram- (come l'ubiquitario Escherichia coli).

Lo sono altresì perché nuove carbapenemasi chiamate NMD-1 (New Dheli metallo-beta-lactamese tipe 1) sono state trovate nel 2009 in enterobacteriacee nel sistema di distribuizione dell'acqua della capitale indiana, e, dopo il paziente "zero", uno svedese di ritorno dal Pakistan, dall'Asia tali batteri e/o il plasmide portatore del carattere codificante la resistenza, si sono diffusi negli altri continenti, con i primi casi documentati in Italia nel 2011, relativi a 6 pazienti nella provincia di Bologna.

Come siamo arrivati a questo punto? Aumentando la pressione selettiva sui germi, e favorendo col tempo sempre più mutanti resistenti. Il fenomeno si é svolto con diverse modalità. La prima di queste riguarda l'uso degli antibiotici come promotori della crescita (APC) negli animali da reddito. Fino ad 2006 questa era una pratica standard della zootecnia intensiva europea e portava a guadagni ponderali nelle produzioni zootecniche (la FAO ha stimato che l'uso degli APC abbia portato ad un incremento del 30% nella disponibilità proteica mondiale).

Ma c'è stato un rovesvo della medaglia: come afferma, in una review della letteratura sull'argomento, il dottor Stuart Levy della Tufts University, presidente dell’International Alliance for the Prudent Use of Antibiotics, " la somministrazione prolungata di antibiotici a basso dosaggio fa sì che si crei un ambiente ottimale per la proliferazione di diversi ceppi resistenti. Gli animali così trattati diventano una sorta di fattoria vivente, ideale per batteri selezionati, robusti, che non risentono degli antibiotici come il famigerato stafilococco aureo resistente alla meticillina (Mrsa) o a vari tipi di salmonelle. I ceppi resistenti proliferano e tramandano questa caratteristica di generazione in generazione fino a trasmetterla anche al di fuori dell’allevamento". In seguito allo stop in Europa (gli Stati Uniti ne consentono ancora l'utilizzo) si sono avuti diversi problemi legati ad un peggioramento delle performances zootecniche, in particolare nell'allevamento dei suini, che hanno spostato l'uso degli antibiotici da promotori della crescita ad un ambito prettamente terapeutico.

Ora si cerca di compensare il mancato utilizzo degli antibiotici come APC nei mangimi con interventi coordinati di tipo igenico-sanitario, nutrizionale e con le vaccinazioni. Resta innegabile l'impatto che l'uso, anche solo terapeutico, puó avere sullo sviluppo delle resistenze batteriche, considerato il numero di capi negli allevamenti intensivi. Infatti il 90% degli antibiotici utilizzati si diffonde nell'ambiente, ed in questo modo, potenzialmente, la resistenza passa anche attraverso il suolo, le acque, l’aria, la catena alimentare e si diffonde; senza considerare le problematiche legate all'allevamento ittico e più in generale alle produzioni extraeuropee. La seconda modalità è l'abuso, o l'uso non adeguato, di antibiotici nell'ambito terapeutico umano.

Nelle sue frequenti campagne di sensibilizzazione l'AIFA non manca mai di rimarcare che é necessario ricorrere agli antibiotici solo quando necessario e dietro prescrizione del medico che ne accerti l’effettiva utilità. Tra i consigli, per il pubblico degli utenti, viene sempre ricordata la necessità di non interrompere mai la terapia prima dei tempi indicati dal medico o, comunque, solo dietro suo consiglio e di non assumere antibiotici per curare infezioni virali. L’Italia è infatti ai primi posti fra i Paesi Europei per consumo eccessivo e inappropriato di antibiotici.

L'abuso non é però sola responsabilità dei cittadini, anche i sanitari hanno le loro colpe. Negli ospedali la cosiddette ICA (infezioni correlate all'assistenza ) rappresentano sempre più un problema rilevante, ed uno studio recentemente promosso dall'ECDC ha rilevato che, in particolare per l'Italia, "è necessario e urgente avviare programmi di governo dell’uso responsabile di antibiotici utili a promuovere l’uso solo ove indicato e con modalità (durata, scelta della molecola, dosaggio) appropriate". E che "questo studio documenta come l’igiene delle mani non sia divenuta una pratica corrente in tutti gli ospedali italiani: nei 49 ospedali partecipanti allo studio, il consumo di prodotti idroalcolici per l’igiene delle mani è inferiore a 10 litri per 1000 giornate di degenza (la categoria più bassa in Europa), contro una media europea di 18,7 litri/1000 e di punte >40 nei Paesi scandinavi".

L'uso ospedaliero degli antibiotici é particolarmente critico nelle unità di terapia intensiva (UTI), nelle quali la pressione selettiva esercitata sui patogeni é tale da richiedere un frequente monitoraggio sia sullo sviluppo delle resistenze sia sulle pratiche sanitarie effettuate, con l'obiettivo di ricavare dati utilizzabili per minimizzare le prime e massimizzare l'efficacia delle seconde. Inoltre uno studio italiano della fondazione Maugeri ha individuato come causa della tubercolosi resistente la non corretta applicazione delle linee guida internazionali da parte dei centri deputati alla gestione e cura dei malati. Il terzo problema sono gli investimenti in ricerca delle aziende, che si sono man mano spostati su altre categorie farmaceutiche più remunerative: nell'ambito delle patologie croniche, legate all'invecchiamento, e nel settore dei c.d. biologici.

La Infection Desease Society americana ha, recentemente pubblicato un report che evidenziava come solo sette nuovi antibiotici siano, attualmente, in sviluppo per il trattamento delle infezioni causate da organismi batterici multiresistenti come E.coli e i cosiddetti Cre (enterobatteri resistenti ai carbapenemi). Tale rapporto è stato pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases. Anche l'Istituto superiore di sanità britannico aveva lanciato l’allarme della diffusione incontrollata negli ospedali dei batteri resistenti a tutti gli antibiotici, sottolineando la necessità di trovare nuovi medicinali contro questi "superbatteri".

Questo il quadro, ed i rimedi? Non é facile rispondere. Come già evidenziato, le organizzazioni sanitarie nazionali e sovranazionali da tempo si adoperano nell'implementazione di campagne di sensibilizzazione, nel monitoraggio delle resistenze, nell'analisi ed il confronto dei dati reperiti sul campo. Un primo passo (comunitario) è stato il bando degli antibiotici come APC, anche se è necessario un costante controllo, visto che in una nazione all'avanguardia come la Germania uno studio promosso da Ministero per la salute dei consumatori ha rivelato un uso di antibiotici nel 96,4% dei polli, e più recentemente, in Italia un'indagine di Altroconsumo su tagli di pollo ha evidenziato Escherichia coli resistenti nell'84% dei casi, contro un 40% riscontrabile in Svezia.

Le istituzione comunitarie hanno a disposizione data-base sulle resistenze batteriche e sull' uso degli antibiotici nell'Unione Europea; la medesima ha inserito l’antibiotico-resistenza tra le priorità da affrontare, già dal 1999, con la risoluzione denominata “Una strategia contro la minaccia microbica” in cui si afferma che "l’antibiotico-resistenza costituisce un grave problema di sanità pubblica e che un’efficace riduzione del fenomeno non può essere conseguita solo attraverso misure a livello nazionale, ma richiede una strategia comune e un’azione coordinata a livello internazionale". Nel 2001 ha poi deliberato le raccomandazioni per una strategia comune contro l’antibiotico-resistenza e l’uso prudente degli antibiotici in medicina umana.

La politica comunitaria ha emanato la Direttiva 2003/99/CE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 191/2006, sancendo l’obbligatorietà per gli Stati Membri di attivare un sistema di sorveglianza per l’antibiotico resistenza in agenti patogeni di origine animale e umana. Recentemente, il Parlamento europeo, in parere congiunto con tutte le agenzie europee che operano nel settore, ha lanciato il Piano d’azione europeo sulla resistenza agli antibiotici 2011-2015, una serie di importanti azioni strategiche per la mitigazione, la prevenzione ed il controllo, al fine di preservare l’efficacia degli antibiotici, ed assicurare che rimangano uno strumento efficace per combattere le malattie, sia nell’uomo che negli animali.

Attenzione e azione, quindi, non mancano anche se passano sottotraccia ed il problema è misconosciuto o quasi al grande pubblico, con uno scollamento di percezione tra quest'ultimo e chi specificatamente di resistenze batteriche si occupa. La sostanziale limitazione dei casi a eventi sporadici nei reparti ospedalieri (ma che tutti insieme costituiscono un numero rilevante) ne allontana infatti l'impressione di urgenza; d'altro canto gli stessi scienziati che se ne occupano temono un "salto di qualità" ma non sanno se e quando questo si verificherà.

Ricorda, in qualche modo, la questione del riscaldamento globale (ma senza fenomeni di negazionismo alcuno) con la differenza che, per il GW, il "salto di qualità" ci accingiamo a farlo realmente. Infine, per proseguire nell'analogia, per entrambe le questioni ci sono cause sistemiche che non possiamo alterare significativamente come singoli individui (per esempio la necessità dei carburanti per i trasporti in un caso o dei trattamenti antibiotici per l'allevamento intensivo e le patologie batteriche umane nell'altro), ma esiste, contemporaneamente, una dimensione personale dei comportamenti che può pesare sulle conseguenze degli stessi. Ognuno di noi, modulando le proprie scelte, nel global warming così come nell'incremento delle resistenze batteriche, esercita la sua responsabilità di utente/utilizzatore (avveduto o meno). Ricordiamolo.

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Roberto Rondoni Medico veterinario degli animali da affezione Informatore del farmaco etico e dell'integratore alimentare
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Consultati

http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/antibiotici-difendi-la-tua-difesa-usali-con-cautela-0
http://www.epicentro.iss.it/problemi/infezioni_correlate/aggiornamenti.asp
http://www.simpios.it/public/ufiles/Documento%20E-MDR%2009272010.pdf http://qn.quotidiano.net/salute/2011/12/19/639928-superbatteri_tutte_tappe_dell_infezione.shtml http://www.ecdc.europa.eu/en/press/news/_layouts/forms/News_DispForm.aspx?List=8db7286c%2Dfe2d%2D476c%2D9133%2D18ff4cb1b568&ID=906&RootFolder=%2Fen%2Fpress%2Fnews%2FLists%2FNews&Source=http%3A%2F%2Fstaging10%2Eecdcnet%2Eeuropa%2Eeu%2Fen%2FPages%2Fhome%2Easpx&Web=86661a14%2Dfb61%252
http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_338_en.pdf
http://www.ecdc.europa.eu/en/press/Press%20Releases/antimicrobial-resistance-rates-carbapenem-resistant-infections-continue-to-increase-in-Europe.pdf
http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2007_5e6/PivaAR5e6_08.pdf
http://cmr.asm.org/content/24/4/718.abstract
http://www.vet.unipi.it/system/files/10-Impatto+ambientale+degli+allevamenti+ittici.pdf http://www.scribd.com/mobile/doc/88123469
http://mbio.asm.org/content/3/1/e00305-11.abstract?sid=6f21a7b7-ef5f-40dd-9aef-7c8af4e78033
http://www.epicentro.iss.it/focus/resistenza_antibiotici/resistenza.asp
http://ecdc.europa.eu/en/publications/Publications/antimicrobial-resistance-in-zoonotic-and-indicator-bacteria-summary-report-2011.pdf
http://ecdc.europa.eu/en/eaad/Pages/Home.aspx
http://www.ilfattoalimentare.it/batteri-resistenti-antibiotici-pollo-maggiore-attenzione-allambiente-non-emergenza-immediata.html http://ecdc.europa.eu/en/press/news/_layouts/forms/News_DispForm.aspx?ID=718&List=8db7286c%2Dfe2d%2D476c%2D9133%2D18ff4cb1b568
http://news.idsociety.org/idsa/issues/2013-09-27/15.html
http://www.pharmastar.it/index.html?cat=search&id=10995
http://www.fsm.it/fsm/comunicati/pdf/2012-02-09-allarme-tbc-multiresistente-in-eu-uno-studio-condotto-da-fondazione-maugeri-scopre-il-perche.pdf
http://www.ascofarve.com/upload/news/attach/363/swissmedic_rapporto_vendita_antibiotici__e_resistenza.pdf?iframe=true&width=100%25&height=100%25

 

venerdì 29 novembre 2013

I Limiti della Natura

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Guest Post di Graeme Maxton

Non possiamo gestire i limiti della natura perché sono limiti.

Vogliamo vivere in un mondo senza limiti. Come corridori su lunga distanza o piloti di automobili, la razza umana cerca sempre di superare i limiti, di ottenere di più. Nel momento in cui otteniamo delle conquiste, è facile pensare che viviamo già in un mondo simile.

Anche così, c'è una velocità massima alla quale possiamo correre, persino se dopati. C'è una velocità massima alla quale le automobili possono andare, prima di iniziare a volare. Noi non capiamo dove si trovano questi limiti, semplicemente perché non li abbiamo ancora raggiunti. Un giorno li raggiungeremo, comunque, e allora capiremo che non possiamo superarli.

Quando parliamo di oceani sconfinati, orizzonti senza fine e di infinite possibilità, è una cosa meramente poetica. Gli oceani e l'orizzonte non sono affatto senza limiti. Il loro confine è il pianeta. Mentre le possibilità possono essere tante, non sono mai infinite. Persino il nostro universo ha dei limiti. Ciò che sta nella nostra testa ha a sua volta dei limiti. La nostra immaginazione è limitata da qualsiasi cosa comprendiamo attualmente. E' impossibile concepire qualsiasi cosa in più.

Quando raggiungiamo i limiti naturali, anche le migliori tecnologie non possono superarli. Pensiamo che possano essere superati solo perché ne abbiamo incontrati tanti finora e perché i limiti che abbiamo infranto finora erano creati dall'uomo o non erano affatto dei limiti.

Alcuni dei limiti della natura sono conosciuti. La luce non può viaggiare a più di 300.000 km/s nello spazio. Niente può essere più freddo di -273°C. Il ghiaccio non può essere riscaldato oltre gli 0°C nel caso di una pressione normale. Questo è il limite della sua propria esistenza in forma di ghiaccio.

Se ci pensate, tutto è definito dai limiti propri – persino gli elementi creati dall'uomo. Una casa è delimitata dalle mura e da un tetto, i limiti della sua presenza fisica. Bottiglie, serbatoi di combustibile e scafi delle navi sono progettati per limitare l'influenza di qualsiasi cosa si trovi all'esterno. La dimensione della nostra società, dai tempi preistorici ad oggi, è limitata dalle regole che imponiamo.

Queste, tuttavia, non sono limiti naturali, ma artificiali.

La differenza fra i limiti creati dall'uomo e quelli naturali è che essi si possono cambiare. Possono essere superati. Possiamo abbattere muri e rompere le bottiglie che abbiamo costruito. Possiamo cambiare le leggi.

I nostri avanzamenti tecnologici supportano l'idea che possiamo dominare ciò che si trova intorno a noi, che possiamo spingere in avanti anche i limiti della natura. Possiamo prendere energia dal vento, modificare i contenuti delle cellule e dividere gli atomi. Ma questa comprensione del mondo e la nostra capacità di manipolarlo ci ha anche resi sciocchi.

Sciocchi, perché le nostre scoperte sono davvero piuttosto modeste. Quando prendiamo energia dal vento, catturiamo semplicemente ciò che è già lì. Quando cambiamo i contenuti delle cellule, stiamo solo copiando la natura. E quando dividiamo l'atomo, stiamo in realtà solo guardando dentro.

Quando si tratta di mondo naturale, c'è davvero tanto che non comprendiamo. Non conosciamo i limiti della consapevolezza, o persino che cosa sia. Non abbiamo esplorato gran parte degli oceani, la parte più ampia del pianeta. Non sappiamo nemmeno di quale sostanza o forza è costituito l'80% dell'universo e lo abbiamo scoperto solo di recente.

Continuiamo anche a cambiare le nostre idee. Le nostre teorie sull'origine della vita e la nascita dell'universo sono cambiate completamente negli ultimi 150 anni. Nonostante questo, ora pensiamo di avere tutte le risposte, o almeno quelle più importanti.

Questo potrebbe essere naturale, ovviamente. Siamo ambiziosi e capiamo già i limiti di gran parte delle strutture che usiamo ogni giorno, perché le abbiamo fatte noi. Sappiamo quando è probabile che le cose vadano male.

In natura, tuttavia, i segnali di avvertimento appaiono spesso solo quando il cambiamento è inevitabile. Quando si forma un tifone, non c'è nulla che chiunque possa fare per fermare il processo, o cambiare il suo percorso. Possiamo solo aspettare e vedere quale danno scatena. Analogamente, le calotte glaciali dell'Artico che si fondono, i ghiacciai che si ritirano e l'aumento dei livelli del mare non sono segnali di avvertimento, segni del fatto che dobbiamo cambiare. Sono l'inizio di una trasformazione di cui saremo testimoni.

I Cambiamenti che abbiamo scatenato sono già inarrestabili, sicuramente in qualsiasi quadro temporale che siamo in grado di capire. Gli effetti del nostro pompaggio di grandi quantità di carbonio nell'atmosfera sono diventati visibili nel giro di un secolo, un lampo di tempo terrestre. Ci vorranno molte centinaia di anni prima che i suoi effetti siano passati.

La natura è facilmente il sistema più complicato che conosciamo. Non possiamo sopravvivere senza di essa. Non ci sono altri posti, a quello che sappiamo finora, dove l'acidità degli oceani e i gas nell'atmosfera sono esattamente creature come noi richiedono. Sappiamo anche che l'aumento della temperatura media di anche solo pochi gradi cambierà tutto questo.

Abbiamo messo in moto un processo. Ora dobbiamo fare qualsiasi cosa possiamo per fermare quel processo e in fretta.


Graeme Maxton è un Membro del Club di Roma

domenica 24 novembre 2013

Esaurimento dei minerali. A che punto siamo?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questa è una versione scritta della conferenza che ho tenuto a Stoccarda il 12 novembre al “Congresso per l'Efficienza delle Risorse e l'Economia Circolare”. Non è una trascrizione del mio discorso, ma una versione scritta a memoria che conserva il succo di ciò che ho detto. 


Signore e signori, prima di tutto vorrei ringraziare gli organizzatori di questo incontro perché è un piacere e un onore essere qui oggi. E' un piacere soprattutto vedere che il governo locale di Baden-Wurttemberg sta prendendo sul serio il problema dell'esaurimento dei minerali e delle sue conseguenze ambientali e che si faccia un lavoro di così alta qualità su questo tema. 

Detto questo, ho 20 minuti per raccontarvi a che punto siamo in termini di tendenze minerarie mondiali. Come potete immaginare, non è un compito facile. L'industria mineraria mondiale è una macchina gigantesca che estrae ogni tipo di minerale e lavora miliardi di tonnellate di materiali. Se guardiamo i dati del Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) troviamo un elenco di circa 90 beni minerali, ma ogni bene comprende diversi tipi degli stessi composti o collegati. Così, è una storia davvero complicata da raccontare. 

Ciononostante, io e 16 altre persone ci siamo organizzati per cercare per analizzare la situazione con un libro che abbiamo intitolato “Il pianeta saccheggiato”. E' uno studio sponsorizzato dal Club di Roma. Di fatto è il 33° rapporto al Club. Ecco la copertina del libro che abbiamo pubblicato su questo tema:


Naturalmente, questo studio non potrebbe essere un'indagine completa di ciò che è stato fatto e si fa nell'industria mineraria mondiale, altrimenti avremmo dovuto mettere insieme un'enciclopedia di 24 volumi o più. Ma penso che almeno siamo stati capaci di cogliere le tendenze principali e qui posso riassumerne per voi i principali risultati.

Quindi, a che punto siamo in termini minerari? O, ponendoci la domanda in modo esplicito, stiamo per finire qualcosa? E  se sì, quando?

A questo punto, la risposta tipica che potete trovare sul Web o in gran parte degli studi sul tema è un elenco delle riserve disponibili di questo o quel minerale. Permettetemi di raccontarvi che una volta che entrate in questo tipo di valutazione, entrate in un vero e proprio campo minato. Il concetto di “riserva” è una bestia curiosa, una specie di camaleonte che cambia colore a seconda di dove si trova. Le riserve sono, per definizione, depositi minerari che possono essere estratte, ma ciò che sarà realmente estratto dipende da ciò di cui hai bisogno e da ciò che ti puoi permettere. Come potete immaginare, questi concetti variano molto coi capricci dell'economia. Quindi, se volete valutare per quanto tempo verranno estratte certe risorse minerali ad un costo ragionevole – cioè la cosa che ci interessa – be', è un'altra storia. Prevedere la produzione sulla base delle riserve disponibili è un'attività incline agli errori, anche grandi.

Lasciate quindi che assuma un punto di vista diverso della situazione. Non vi elencherò riserve, qui, ma vi mostrerò principalmente i dati storici della produzione e le tendenze dei prezzi. Da questo, vedremo se possiamo dire qualcosa sul futuro.

Prima di tutto, a che punto siamo in termini di produzione mineraria complessiva? Lasciate che vi mostri i più recenti dati disponibili, del USGS.

(Rogich, D.G. e Matos, G.R., 2008, The global flows of metals and minerals: U.S. Geological Survey Open-File Report 2008–1355, 11 p., disponibile solo online http://pubs.usgs.gov/of/2008/1355/.

Questa immagine proviene da un saggio del 2008 aggiornato al 2005. Da allora, le tendenze non sono cambiate molto. Come vedete, stiamo ancora crescendo in termini di quantità totale prodotta. Abbiamo spostato miliardi di tonnellate di materiali durante l'ultimo secolo e continuiamo a farlo. In particolare i materiali da costruzione, per esempio il cemento, continuano a crescere: è una tendenza quasi esponenziale che non mostra segni di diminuzione. Ma non possiamo vivere di cemento soaltanto e penso che voi siate più interessati alle tendenze relative ai combustibili fossili – di sicuro cruciali non solo per l'economia, ma per la nostra sopravvivenza fisica. Lasciate quindi che vi mostri qualche dato.

E' chiaro che non sembra che stiamo per finire i combustibili fossili, almeno finché misuriamo la produzione in termini di tonnellaggio (Mtoe sta per “milioni di tonnellate di petrolio equivalente). Ma notate alcune tendenze: il gas naturale e, specialmente, il carbone, stanno crescendo rapidamente – questo non è una cosa buona, specialmente per il carbone, perché le emissioni di gas serra del carbone sono le più alte fra i tre relativamente alla stessa quantità di energia prodotta. Anche il gas naturale, che a volte viene propagandato come combustibile “pulito” (o persino “verde”), emette a sua volta gas serra e il problema delle perdite di metano durante l'estrazione potrebbe renderlo inquinante quanto il carbone.

Notate anche che la produzione di petrolio greggio è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi 7-8 anni. Ciò è importante perché il petrolio greggio è un bene cruciale per il nostro sistema di trasporti e il fatto che esso non sia cresciuto ci dice qualcosa. Avrete sicuramente sentito parlare della storia del “nuovo petrolio” e di come le tecnologie abbiano rivoluzionato la produzione di petrolio portandoci ad una nuova era di abbondanza. Be', da questi dati sembra che, al massimo, queste nuove tecnologie siano state capaci di evitare il declino, non di più. Una ragione è perché queste tecnologie sono state usate solo negli Stati Uniti. Forse si diffonderanno. Ma ma è anche vero che dopo il grande boom del “fracking” degli anni passati, ci sono già segni di un declino imminente negli Stati Uniti. E' un fatto, in ogni caso, che più rapidamente lo estraiamo, più rapidamente lo finiamo.

Ci sono ulteriori problemi che queste cifre aggregate nascondono. Uno è che dovremmo considerare non solo il petrolio totale prodotto, ma il petrolio prodotto per persona. Eccolo in un grafico, per gentile concessione di Jean Laherrere.



Qui vedete che se consideriamo l'aumento di popolazione, la reale disponibilità di petrolio greggio per persona è stato in declino dopo un picco raggiunto nei primi anni 70. Era il tempo della grande crisi petrolifera che, apparentemente, non è mai realmente finita.

E dovreste anche considerare che in Europa siamo tutti consumatori di petrolio non produttori, quindi quello che ci interessa non è tanto quanto petrolio viene prodotto in totale, ma quanto petrolio possiamo importare dai paesi produttori. Ciò dipende, naturalmente dal loro consumo interno. Ecco, potrei mostrarvi alcuni dati che indicano che diversi produttori hanno grandi problemi col proprio consumo interno e questo rende difficile per loro non solo aumentare le proprie esportazioni di petrolio, ma persino di esportare petrolio. Ma lasciate che non entri nei dettagli.

Questi dati vi mostrano che non stiamo finendo i combustibili fossili, per niente, ma anche che le cose non sono così semplici. Quello che sta accadendo è che l'industria ha bisogno di usare tecnologie sempre più costose per produrre petrolio solo per evitare un declino della produzione E se stiamo spendendo di più per produrre più petrolio, questo significa che i prezzi devono aumentare. Naturalmente, nessuno venderebbe mai petrolio in perdita. Quindi, ecco i dati del “Brent”, uno degli standard industriali del petrolio.

Immagine di Ugo Bardi da dati EIA

Potete vedere chiaramente una tendenza al rialzo. Non si tratta di speculazione. E' diffile pensare che qualcuno possa speculare su un mercato di diversi trilioni di dollari all'anno ma, anche se fosse, la speculazione di solito ha vita breve. Qui c'è una tendenza all'aumento del prezzo che è iniziata col passaggio del secolo ed è ancora in corso.

Possiamo giustificare questi prezzi considerando i dati reali su quanto costi estrarre petrolio. Questa è una valutazione difficile, naturalmente, ma sembra che il petrolio più costoso sul mercato, il cosiddetto “barile marginale”, non costi meno di circa 80 dollari. E' così costoso perché proviene da giacimenti remoti, richiede perforazioni profonde, è un petrolio ad alta viscosità, contaminato e tutta una serie di fattori che contribuiscono ai suoi alti costi. Questi costi possono essere misurati in termini di energia necessaria a estrarre, purificare, raffinare, ecc. Potete stampare quanti soldi volete, ma questo non vi aiuterà a tirar su il petrolio da sotto terra. Per farlo, avete bisogno di energia.

E per cortesia notate un altro punto importante. I prezzi del petrolio (ed i suoi costi), al momento non comprendo i costi dell'inquinamento. Quando comprate benzina per la vostra auto, non pagate per i costi del riscaldamento globale. E non devo dirvi che, come stiamo scoprendo in questo momento, dopo la tragedia delle Filippine, che questi costi sono molto alti e che qualcuno deve pagarli – prima o poi. Per risistemare il casino che noi stessi abbiamo fatto, ci serve energia.

Ora, c'è una conclusione interessante qui. Ed è che se vogliamo mantenere l produzione a questi livelli, dobbiamo accettare questi prezzi. I prezzi sono un indicatore che dice che l'energia e le risorse materiali devono essere canalizzate all'industria del petrolio per metterla in grado di mantenere la produzione ai livelli attuali. Se vogliamo ridurre i prezzi, allora dobbiamo accettare una riduzione di produzione. E se vedremo una riduzione di produzione in un prossimo futuro (che sembra essere la tendenza recente) vedremo scendere anche la produzione. E' questa la situazione: di sicuro non una di abbondanza anche se, come ho detto, non stiamo finendo il petrolio.

Ci sarebbe molto altro da dire sui combustibili fossili, ovviamente, ma lasciate che mi fermi qui. Come ho detto, la mia idea era quella di darvi qualche idea generale di quale sia la prestazione dell'industria mineraria mondiale, quindi lasciate che vi faccia un altro esempio: il rame. Ecco le tendenze produttive.

Ora, il rame è un altro bene cruciale per l'industria mondiale e penso che questa immagine fornisca un po' di cibo per la mente per noi tutti. Vedete che la produzione sta crescendo – anche qui possiamo dire che non stiamo finendo niente. Ma la crescita sta rallentando. La produzione di rame non sta seguendo la crescita esponenziale che ha seguito nei primi tempi. Cosa sta succedendo? Diamo un'occhiata alla tendenza dei prezzi.


Come vedete, i prezzi del rame hanno seguito lo stesso schema che abbiamo visto per il petrolio greggio. E questo non sorprende: per estrarre rame, serve petrolio. E' una regola generale secondo la quale per estrarre qualsiasi cosa – persino il petrolio – serve energia in una forma o nell'altra. E noto che l'industria estrattiva è una vorace consumatrice di petrolio. Le stime del quantitativo sono variabili, ma possiamo dire che forse circa il 10% dell'energia primaria totale prodotta nel mondo viene usata per l'estrazione di minerali. Di questa energia, una grande percentuale (circa il 35% secondo alcune stime) è sotto forma di carburante diesel per i macchinari di estrazione, per bolldozer e cose simili. Non stupisce quindi che un aumento dei prezzi del petrolio abbia causato un aumento dei prezzi di gran parte dei minerali. 

C'è anche un altro problema ed è che non solo l'energia necessaria per estrarre il rame è più cara, è anche sta diventando sempre più caro estrarre il rame perché sta aumentando la quantità di energia che serve per farlo. E' un vero problema: per ogni minerale, vengono estratti i materiali con la densità più alta. Ma, quando finiscono quelli ad alta densità bisogna passare a quelli a bassa densità e lavorare i materiali con minore densità è più costoso. Questo è l'effetto principale dell'esaurimento. Come ho detto, non stiamo finendo i minerali, ma possiamo dire che stiamo finendo i minerali a basso costo. 

Ora, potrei raccontarvi molto di più, ma lasciatemi dire che ci sono ancora dei minerali che mostra una salutare tendenza alla crescita. Uno è l'alluminio, per esempio. Ciò è dovuto al fatto che i bacini di materiali ad alta densità di alluminio sono ancora abbondanti e che anche che l'estrazione di alluminio richiede molta energia elettrica e che l'energia elettrica viene spesso generata con rinnovabili, idroelettrico per esempio. L'alluminio quindi non è soggetto allo stesso problema del rame e di altri metalli.

Quindi la produzione di alcuni beni sta ancora aumentando; ciò che possiamo dire in termini di regola generale è che abbiamo un problema generalizzato di aumento dei prezzi. Evidentemente, i costi di estrazione stanno aumentando ovunque e per tutti i beni minerali. Ecco alcuni dati per una media di alcuni di essi (che casualmente vi mostrano la differenza che fa l'inflazione: c'è, ma non cambia il fatto che c'è stato un enorme aumento dei prezzi di recente): 

Indice medio dei prezzi di alluminio, rame, ferro, piombo, nichel, argento, stagno e zinco (adattati da un grafico riportato da Bertram et al., Resource Policy, 36(2011)315)

Lasciate che vi mostri solo un ultimo esempio. La situazione sembra essere particolarmente difficile per beni rari e costosi ed avrete sicuramente sentito parlare del problema delle terre rare; minerali importanti per le applicazioni in elettronica. Ecco le tendenze produttive.

La produzione non è aumentata per almeno cinque anni ed è chiaro che c'è un problema, qui, anche se le tendenze non sono così chiare in altri casi. Sulla tendenza dei prezzi, le terre rare sono un mercato relativamente piccolo, quindi ciò che è accaduto è un enorme fenomeno di speculazione che ha portato i prezzi alle stelle. Ma, poi la bolla è scoppiata e i prezzi sono scesi ancora in anni recenti. Ma non al valore iniziale, quello precedente alla speculazione. I prezzi delle terre rare rimangono oggi più alti di un fattore 5 rispetto a come erano 5-10 anni fa. 

Sappiamo che il produttore principale di terre rare del mondo è la Cina e negli ultimi anni la produzione cinese è scesa. Alcuni hanno detto che la Cina vuole usare le terre rare come arma commerciale, ma io penso che non sia così. Il fatto è che estrarre terre rare è costoso ed inquinante e il governo cinese ha cercato di ripulire l'operazione. Ed è costoso. Come ho già detto prima, i costi dell'inquinamento sono parte integrante del costo di estrazione, anche se di solito non viene conteggiato. 
Quindi, riassumiamo la situazione in poche righe:

1. La produzione minerali generale è ancora in aumento

2. La produzione pro capite è statica o in diminuzione

3. I costi di produzione aumentano ovunque

4. Anche i costi dell'inquinamento sono in aumento

Tutto ciò non sorprende, anzi, era atteso. Ho detto che “Il Pianeta Saccheggiato” è un rapporto al Club di Roma e probabilmente conoscete il Club per via del suo primo rapporto, quello pubblicato nel 1972 sotto il titolo de “I Limiti dello Sviluppo”. Era una serie di scenari per il futuro che tenevano conto della scarsità di minerali come uno dei parametri principali. I calcoli sono stati rifatti ed aggiornati. Ecco la versione più recente dei principali risultati dalla versione del 2004: 

Da "The Limits to Growth, the 30-year update" di D. Meadows et al.

Senza entrare nei dettagli di come la traiettoria dell'economia mondiale è stata modellata nello studio, lasciatemi solo dire che è basato su fattori fisici – quello principale è il costo sempre più alto dell'estrazione delle risorse minerali. Questi costi in aumento dovevano crescere proporzionalmente alla quantità estratta. E vedete, nel grafico, che la curva delle “risorse” va giù col tempo, ma anche che i problemi iniziano molto prima di finire qualsiasi cosa. E' perché gli alti costi dell'estrazione (ed anche i costi dell'inquinamento) appesantiscono l'economia, così tanto che diventa impossibile mantenere in crescita la produzione industriale ed agricola.  

Ora, quanto detto sopra non deve essere preso come una profezia, niente affatto. Era solo una delle tante possibili traiettorie che avrebbe potuto prendere l'economia mondiale. Ma, sfortunatamente, sembra che abbiamo seguito la traiettoria vicina a questo modello. Per esempio, sembra chiaro che, mentre ci avviciniamo al picco della produzione industriale che il modello prevede, stiamo avendo problemi a mantenere la crescita della produzione industriale come vorremmo. Ecco alcuni dati della produzione industriale dell'Europa:


Ecco, vedete che dopo la crisi del 2008 c'è stato un certo ritorno nella produzione industriale. La Germania è quasi riuscita a tornare ai livelli pre 2008, ma gran parte dei paesi europei non ci sono riusciti. Quindi penso che questa immagine ci dica che la crisi del 2008 non è stata solo una crisi finanziaria. E' stato qualcosa di più profondo e più strutturale. Non possiamo dire con certezza che sia l'inizio di un declino generale della produzione industriale mondiale, come nello scenario I che vi ho mostrato è previsto per il 2020, ma potrebbe esserlo. 

In ogni caso, abbiamo chiaramente grossi problemi collegati agli alti prezzi dei beni minerali che stanno condizionando molto le economie del mondo. Lasciate che vi mostri alcuni dati per Italia e Germania.

Come vedete, abbiamo a che fare con grosse somme spese per importare beni minerali – diverse decine di miliardi di Euro. Circa i dati riportati sopra, notate che abbiamo i soli dati per l'importazione di combustibili fossili, ma che dovremmo aggiungerci i costi dell'importazione di tutti gli altri beni minerali. Per l'Italia, posso dirvi che quasi raddoppiano il totale: nel 2012, il bilancio netto ammontava a circa 113 miliardi di Euro, che l'Italia ha speso e che rappresentano circa il 7,5% del PIL italiano. Penso che dovreste considerare una percentuale analoga anche per la Germania. Somme enormi, come ho detto. 

Ora, considerate che tutti questi beni hanno mostrato un aumento del prezzo di un fattore che va da 3 a 5. Vedete che negli ultimi anni, il fardello aggiunto alle economie di paesi che importano beni minerali ammonta ad almeno alcuni punti percentuali del loro PIL. Ora, questo è un fardello pesante: stiamo parlando di qualcosa nell'ordine dei 70 miliardi di Euro da pagare per la sola Italia – cosa che non può non avere effetti. E, come sicuramente saprete, non sono stati effetti positivi. L'economia italiana è in profonda difficoltà e penso che questi costi aggiuntivi siano un grande fattore nel problema. 

La Germania è sopravvissuta all'aumento dei prezzi dei beni meglio dell'Italia perché il fardello è inferiore in termini relativi. Questo perché la Germania produce un po' della propria energia con risorse interne: carbone e nucleare (cose che l'Italia non ha) ed ha anche fatto uno sforzo notevole per le energie rinnovabili, che sono a loro volta una risorsa interna. La differenza è chiara: ecco alcuni dati (fonte: Banca Mondiale, elaborati da google):

Vedete la differenza nel grafico e, se vi capita di vivere e lavorare in Italia, percepirete voi stessi la differenza. La Germania ha più o meno recuperato dalla crisi del 2008, l'Italia no. E penso che la quasi completa dipendenza dell'Italia da beni minerali importati sia il fattore cruciale che fa la differenza. 

Quindi, è il momento di ricapitolare e concludere: abbiamo chiaramente un problema; ed è un grosso problema. Ma non impossibile da risolvere se lo riconosciamo prima che sia troppo tardi. La soluzione sta, principalmente, nel concetto di “economia circolare” che stiamo esaminando in questo congresso. E sappiamo che cosa significa: riciclare, riusare ed essere più efficienti. Ma lasciate che vi dica una cosa che ho imparato vivendo in Italia: per muoversi verso un'economia circolare, ci servono risorse ed energia. Riciclare ha un costo energetico, riusare anche – perché in pratica si deve riprogettare tutto. E persino essere più efficienti ha un costo: lo vedo nel mio lavoro, che comporta il supporto alle aziende per fare prodotti migliori. Proprio adesso, le aziende italiane non possono permettersi di essere efficienti. Sembra una contraddizione in termini, ma pensateci: stanno lottando per sopravvivere, come possono investire in maggiore efficienza se il premio per questo arriverà solo fra diversi anni?

In breve, se non abbiamo energia non possiamo fare niente. Se abbiamo energia, possiamo riciclare, possiamo riusare, possiamo essere efficienti e possiamo continuare ad estrarre le risorse che sono ancora lì, mentre ci spostiamo gradualmente verso un'economia circolare (o “chiusa”). 

Questo è il punto fondamentale, ma bisogna anche essere detto nel modo giusto, perché può essere frainteso ed è stato frainteso. Ci serve energia, ma del tipo giusto: non inquinante e non soggetta ad esaurimento. Dovrebbe essere chiaro che i combustibili fossili non sono una soluzione: non possono risolvere il problema dell'esaurimento, lo possono soltanto peggiorare. Più velocemente li estraiamo, più velocemente li finiamo. E non mi stancherò mai di dire che il problema che affrontiamo non è solo quello dell'esaurimento, è l'inquinamento in termini di cambiamento climatico. Il problema climatico potrebbe essere molto più difficile e irrisolvibile dell'esaurimento. 

Quindi, la parola giusta sull'energia è “rinnovabile”. E possiamo usare il termine tedesco “energiewende” (trasformazione energetica) per indicare la transizione energetica. Nella figura sotto riporto alcune parole dell'economista britannico William Stanley Jevons, leggermente modificate (lui parlava di “carbone” piuttosto che di “energia”, ma il senso è lo stesso).  

L'energia in realtà non sta alla pari con tutti gli altri beni, ma sopra a tutti gli altri beni... Con l'energia quasi ogni impresa è possibile o facile; senza di essa, veniamo rigettati nella laboriosa povertà dei tempi antichi

Così, sappiamo cosa dobbiamo fare. Ma lo stiamo facendo? Ho paura di no, almeno non sufficientemente in fretta in tutto il mondo. Lasciate che vi mostri alcuni dati:


Vedete che gli investimenti per i combustibili fossili fanno impallidire quelli per l'energia rinnovabile. Pensate a quanti soldi vengono spesi solo per mantenere più o meno costante la produzione dei combustibili! E se guardate ai settori più generici, gli investimenti in sostenibilità in confronto agli investimenti per le infrastrutture collegate ai combustibili fossili, vedrete che la tendenza è la stessa. Viene speso molto di più per mantenere il business as usual – una società basata sui combustibili fossili – di quanto si spenda per creare la energiewende, la transizione ad una società più pulita, salutare ed equa.

Notate anche una tendenza preoccupante: gli investimenti in energia rinnovabile sono scesi nel 2012 in confronto al 2011. Sfortunatamente, i concorrenti più forti vincono. E l'industria dei combustibili fossili è gigantesca, con entrate nell'ordine di diversi trilioni di dollari all'anno per i soli petrolio e gas. Se la crisi economica continua, è possibile che vedremo il sostegno alle energie rinnovabili diminuire, mentre vedremo sforzi sempre più frenetici e disperati per mettere tutto ciò che abbiamo nell'industria dei combustibili fossili per strizzare le ultime gocce di combustibili fossili dal sottosuolo.


Perché lo facciamo? Chi ha deciso di investire queste somme enormi per perpetuare un'attività che sta facendo un gigantesco danno e che dovremo abbandonare in ogni caso in un futuro non troppo remoto?

Penso che possiamo dire che siamo noi; la maggioranza di noi, almeno. E' perché abbiamo perseguito i profitti a breve termine nei nostri investimenti e – se rimaniamo all'interno del paradigma – continueremo a scavare per i combustibili fossili finché non distruggeremo la nostra civiltà e manderemo in pezzi l'intero ecosistema.

D'altra parte, è anche vero che esiste il cambiamento di paradigma. Se guardiamo l'immagine sopra, possiamo vedere le cose in modo più ottimistico. Pensate a quanto è cresciuta rapidamente l'energia rinnovabile – e la sostenibilità in generale. Oggi riusciamo a spendere 250 miliardi di dollari all'anno sulla sola energia rinnovabile. Venti anni fa, era nulla in confronto. Quindi è stato un progresso notevole che ci può far essere ottimisti per il futuro. 

Alla fine, il modo in cui spendiamo le risorse che ci rimangono è una nostra decisione. Una decisione che facciamo come professionisti, come leader politici, come cittadini europei, come cittadini del mondo e come esseri umani. E non è impossibile prendere decisioni sagge se solo spostiamo il nostro orizzonte un po' più avanti dell'immediato ritorno finanziario. 

Per concludere, vorrei ringraziare tutto lo staff del Club di Roma per aver reso possibile questo rapporto.