venerdì 7 agosto 2015

Lezioni dall'ultima volta che è collassata la civiltà

Danpr”. Traduzione di Mr (via Bodhi Paul Chefurka)

Di Adam Frank


Dai templi di Abu Simbel nel sud dell'Egitto, che rislagono al XII secolo AC. iStockphoto

Considerate questo, se volete: una rete di civiltà lontane, potenti e ad alta tecnologia, strettamente legate da scambi e ambasciate diplomatiche; una minaccia di cambiamento climatico in accelerazione e la sua pressione sulla produzione di cibo; un'ondata in aumento di popoli sfollati pronti ad imperversare e sopraffare le nazioni sviluppate. Suona familiare?

giovedì 6 agosto 2015

Bella stronza




Da "Decline of the Empire". La foto rappresenta la signora (per così dire) Sabrina Corgatelli, residente in Idaho, USA, e la giraffa che ha appena ammazzato in Africa. Bella (per così dire) stronza.


PS: la trovate anche su facebook, dove continua a vantarsene

mercoledì 5 agosto 2015

La rete e l’utopia rivoluzionaria.


Di Jacopo Simonetta

La rivoluzione non è una cosa rara nella storia.   Solitamente, quando una società si trova impantanata in difficoltà crescenti e con una classe dirigente screditata, un numero crescente di persone comincia a credere che sia possibile risolvere i problemi rovesciando il potere.  

Qualche volta è andata così, perlomeno in una certa misura; assai più spesso no.

Solitamente, una rivoluzione è uno scoppio di violenza diffuso, quindi un modo per dissipare moto rapidamente una gran quantità di energia, distruggendo nel contempo parte del capitale accumulato in precedenza.   Morti e fuggiaschi, edifici ed infrastrutture danneggiate, denaro ed oggetti d’arte perduti, biblioteche, strutture sociali ed amministrative distrutte, conoscenze e tradizioni dimenticate, eccetera: sono molte le forme sotto cui si palesa un brusco aumento di entropia.

Di conseguenza, al termine di una rivoluzione, la collettività è sempre più povera di quanto fosse all'inizio.   Di solito, il processo è quindi un evento che accelera la decadenza di una società in crisi.   La successione delle dinastie cinesi è emblematica da questo punto di vista.

In qualche caso invece, il ridimensionamento del capitale e della popolazione, nonché il drastico cambio di classe dirigente e di organizzazione, possono effettivamente invertire la tendenza “catabolica” della società.   Ma solo a condizione che sia possibile attingere a nuove risorse e scaricare ad altri l’entropia derivante dalla propria crescita.   Uno dei pochi esempi di questo genere è stata, credo, la “rivoluzione Meiji”.

Questa premessa per dire che non c’è niente di strano se le rivolte aumentano di frequenza ed intensità nelle società contemporanee.   I modi di ribellarsi sono però molto diversi a seconda del contesto.   Ad esempio, abbiamo visto scoppiare numerose rivolte in paesi arabi caratterizzati da un “bubbone giovanile”  particolarmente accentuato, regimi dispotici, risorse in rapido calo e clima in rapido peggioramento.

Nel mondo occidentale il contesto è diverso e l’utopia rivoluzionaria si concentra perlopiù intorno al web.   Molti vedono infatti internet come una tecnologia in grado di affrancare definitivamente i popoli oppressi dal giogo delle grandi multinazionali e dei loro lacchè politici.
Su questo tema la letteratura è immensa, ma mi permetto di segnalare questo articolo perché assai meglio argomentato del solito (le figure sono tratte da esso).

In estrema sintesi, vi si sostiene che, grazie ad internet, si sta sviluppando un’economia fatta principalmente di idee e conoscenze: qualcosa che sfugge ai canoni del capitalismo in seno a cui è nato il web.   L’economia capitalista è infatti basata sulla proprietà privata non solo di materia ed energia, ma anche di idee e conoscenze.   Ciò la rende vulnerabile alla nuova economia in rete che, viceversa, è basata sulla condivisione gratuita di idee e persino di tecnologie e “know how”.   In una prospettiva relativamente prossima, si sostiene, la nuova “economia della conoscenza” avrà relegato il vecchio capitalismo a settori di nicchia, realizzando la più grande e pacifica rivoluzione mai avvenuta nella storia umana.

Sul fatto che internet stia contribuendo a scalzare il capitalismo mondiale direi che l’analisi è sostanzialmente condivisibile.   Viceversa, ho molti dubbi circa la possibilità di sviluppo di una nuova economia in grado di assicurare un avvenire migliore all'umanità.

“Una volta che hai capito in questo senso la transizione, non hai più bisogno di un Piano Quinquennale super-computerizzato.   Bensì di un progetto che abbia lo scopo di espandere quelle tecnologie, modelli di business e comportamenti che dissolvono le forze del mercato, socializzano le conoscenze, eradicano il bisogno di lavorare e spingono l’economia verso l’abbondanza.   Io chiamo questo Progetto Zero perché si propone di raggiungere un sistema energetico con zero carbonio; la produzione di macchine, prodotti e servizi con zero costi marginali e la riduzione del tempo necessario al lavoro il più possibile vicino a zero.”

Un quadro decisamente utopico che vale la pena di commentare.   Ci sono diversi problemi ognuno dei quali richiederebbe un post dedicato; non potendolo fare, mi limiterò a menzionare le questioni che mi paiono principali.

Energia priva di carbonio.   Non viene spiegata la tecnologia, ma probabilmente l’idea si basa sul fatto che spostare tramite la rete idee e conoscenze comporta consumi risibili rispetto a quelli necessari per spostare persone e merci.   Di qui una drastica riduzione dei consumi globali e, quindi, la possibilità di farvi fronte con le sole fonti rinnovabili.   Lo sostengono in molti, trascurando però che la funzionalità del web dipende dall'efficienza di una rete di reti coordinate fra loro: rete telefonica, rete elettrica, reti commerciali, flusso di ricambi ed di energia e molto altro ancora.   Tutte cose che dipendono interamente dal sistema industriale e finanziario che si intende sgominare.

Se è vero che il software può diventare largamente indipendente dalle grandi imprese, non altrettanto vale per lo hardware su cui le informazioni circolano e si conservano.   In pratica, se è vero che internet presenta un’eccezionale resilienza ad alcuni tipi di minacce, è altrettanto vero che risulta estremamente vulnerabile ad altri tipi di stress.   In particolare a tutto ciò che può rendere instabili le reti ed i flussi energetici.   Cioè proprio quella parte della nostra infrastruttura che si sta rivelando più vulnerabile alla crisi energetica in arrivo.    E ricordiamoci pure che l’accesso illimitato, imparziale e quasi gratuito ad internet dipende sia dalla volontà dei governi che delle imprese che gestiscono la rete.   E’ vero che già diversi tentativi di modificare lo status quo sono naufragati, ma niente garantisce che ciò continui a verificarsi in futuro.

Inoltre, ciò che la gente utilizza per vivere è in gran parte molto materiale e non può essere condiviso in rete.    Ma se anche il flusso di informazioni condivise potesse effettivamente sostituire in gran parte il flusso di merci vendute, è molto improbabile che i consumi energetici globali diminuirebbero.

Dall'inizio della rivoluzione industriale ad oggi, l’efficienza dei processi produttivi e di trasporto è aumentata in continuazione, mentre in parallelo aumentavano i consumi globali.   In altre parole, l’esperienza dimostra che man mano che si riducono i consumi unitari, aumentano quelli complessivi (paradosso di Jevons).   Ipotizzare qualcosa di diverso richiederebbe di spiegare come si dovrebbe realizzare una così totale inversione di tendenza rispetto ad una tendenza consolidata nei secoli.

Produzione con zero costi marginali.   Non è molto chiaro cosa voglia dire, ma probabilmente intende l’azzeramento dei costi sociali ed ambientali che, indirettamente, ricadono sulla collettività (esternalità).   In effetti, questo è un punto assolutamente strategico su cui tutti i pochissimi economisti preoccupati dal suicidio collettivo in corso si sono spesi.   Ma è uno scopo perseguibile solo operando contemporaneamente sui due fronti: quello della riduzione dei costi materiali di produzione (sostanzialmente consumi di energia e materia) e su quello dell’aumento dei prezzi al consumo.   Quest’ultimo realizzato tramite una politica fiscale modulata in base agli impatti generati dai processi e dai prodotti.   Insomma qualcosa che sarebbe fattibile solamente da parte degli stati.

Riduzione degli orari di lavoro.   Non è assolutamente chiaro come questo potrebbe verificarsi senza contemporaneamente ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori.   Certo, l’articolo ipotizza un’economia strutturata in maniera completamente diversa da quella attuale e quindi, giustamente, sottratta agli attuali meccanismi di mercato.   Ma non spiega quali meccanismi dovrebbero sostituirli. La “condivisione gratuita dell’informazione” è certo un punto importante, ma come questo si potrebbe tradurre in un aumento del benessere a fronte di un minore impegno lavorativo rimane per me misterioso.   Di fatto, i miei conoscenti che lavorano per internet hanno orari molto più massacranti degli operai in fabbrica e degli impiegati al catasto.

Concludendo, l’articolo è interessante e ne consiglio senz’altro la lettura, proprio perché esprime bene opinioni molto diverse dalle mie.   Personalmente, penso che effettivamente internet stia giocando e giocherà un ruolo importante nella decadenza della civiltà industriale attuale.   Rimango invece estremamente scettico circa la sua possibilità di diventare il pilastro di una più florida e democratica civiltà futura.



martedì 4 agosto 2015

Economia per un mondo pieno

Da “Great Transition Initiative”. Traduzione di MR

Di Herman Daly Giugno 2015

Questo saggio è stato adattato da un discorso fatto in occasione del premio Pianeta Blu, nel novembre 2014. 

A causa della crescita economica esponenziale dalla Seconda Guerra Mondiale, ora viviamo in un mondo pieno, ma ci comportiamo ancora come se fosse vuoto, con ampi spazi e risorse per un futuro indefinito. Gli assunti di fondo dell'economia neoclassica, sviluppata nel mondo vuoto, non valgono più, in quanto l'onere cumulativo della specie umana sta raggiungendo – o, in alcuni casi, superando – i limiti della natura a livello locale, regionale e planetario. L'ossessione prevalente per la crescita economica ci mette sulla strada del collasso ecologico, sacrificando il sostegno stesso del nostro benessere e della nostra sopravvivenza. Per invertire questa traiettoria sinistra, dobbiamo transitare verso un'economia di stato stazionario concentrata sullo sviluppo qualitativo, anziché sulla crescita quantitativa, e sull'interdipendenza di economia umana e ecosfera globale. Sviluppare politiche ed istituzioni per un'economia di stato stazionario ci richiederà di rivisitare la questione dello scopo e dei fini dell'economia.

L'economia come sottosistema dell'ecosfera

Quando lavoravo alla Banca Mondiale, spesso sentivo l'affermazione “Non c'è conflitto fra l'economia e l'ecologia. Possiamo e dobbiamo far crescere l'economia e proteggere l'ambiente allo stesso tempo”. Lo sento ancora dire molto oggi.

Anche se si tratta di un'idea confortante, è al massimo vera a metà. La parte “vera” nasce da una confusione fra redistribuzione e crescita aggregata. Quasi sempre esistono possibilità di una migliore assegnazione – più di qualcosa di desiderato in cambio di una riduzione di qualcosa di meno desiderato. Tuttavia, la crescita aggregata, ciò che intendono i macro economisti col termine “crescita” (ed anche il significato in questo saggio), è che il valore totale del mercato di tutti i beni ed i servizi finali (PIL) si espande.

L'economia, come mostrato nella Figura 1, è un sottosistema aperto della più vasta ecosfera, che è finita, non in crescita e materialmente chiusa, anche se aperta aperta ad un volume continuo e non crescente di energia solare. Quando l'economia cresce in dimensioni fisiche, incorpora materia ed energia dal resto dell'ecosistema in sé stessa. Deve, per la legge di conservazione della materia e dell'energia (Prima Legge della termodinamica), invadere l'ecosistema, dirottando materia da usi precedentemente naturali. Più economia umana (più persone e beni) significa meno ecosistema naturale. In questo senso, l'affermazione che “non c'è conflitto” è falsa. C'è un conflitto fisico ovvio fra la crescita dell'economia e la preservazione dell'ambiente.

Che l'economia sia un sottosistema dell'ecosfera sembra forse troppo ovvio da enfatizzare. Eppure la visione opposta è comune ai piani alti. Per esempio, un recente studio del Comitato sul Capitale naturale del governo britannico ha asserito che “l'ambiente è parte dell'economia e dev'essere integrato adeguatamente in essa così che le opportunità di crescita non vadano perdute”. Al contrario, è l'economia che è la parte e deve essere integrata nel complesso dell'ecosfera finita di modo che il limiti della crescita non vengano superati. (1)

Ma questo conflitto fisico è economicamente importante? Alcuni credono di vivere ancora in un mondo “vuoto”. Nel mondo vuoto, l'economia era piccola in rapporto all'ecosistema che la conteneva, le nostre tecnologie di estrazione e di raccolta non erano così potenti ed eravamo presenti in numero ridotto. I pesci di riproducevano più rapidamente di quanto fossimo in grado di pescarli, gli alberi crescevano più rapidamente di quanto potessimo tagliarli e i minerali nella crosta terrestre erano abbondanti. In altre parole, le risorse naturali non erano proprio scarse. Nel mondo vuoto, aveva senso economicamente dire che non c'era conflitto fra crescita economica ed ecosistema, anche se non era propriamente vero in senso fisico.


Figura 1: Welfare in un mondo pieno e vuoto

La teoria economica neoclassica si è sviluppata durante quest'epoca e ne incorpora ancora molti assunti. Ma il mondo vuoto si è rapidamente trasformato in mondo “pieno” grazie alla crescita, grazie all'obbiettivo principale di ogni paese – capitalista, comunista o a metà strada. Dalla metà del XX secolo, la popolazione mondiale è più che triplicata – da due miliardi a oltre sette miliardi. Le popolazioni di bovini, polli, maiali e piante di soia e mais hanno fatto altrettanto. La popolazione non vivente di automobili, edifici, frigoriferi e cellulari è cresciuta anche più rapidamente. Tutte queste popolazioni, viventi e non viventi, sono quello che i fisici chiamano “strutture dissipative” - vale a dire, il loro mantenimento e riproduzione richiede un flusso metabolico, un volume che comincia con l'esaurimento delle risorse a bassa entropia provenienti dall'ecosfera e finisce col ritorno di rifiuti inquinanti ad alta entropia nell'ecosfera. Questo distrugge l'ecosfera da entrambi i lati, un costo inevitabile necessario per la produzione, la manutenzione e la riproduzione della riserva di persone e di ricchezza. Fino a poco tempo fa, la teoria economica standard ignorava il concetto di rendimento metabolico e, ancora adesso, la sua importanza è grandemente sottovalutata. (2)

Il concetto di flusso metabolico in economia porta con sé le leggi della termodinamica, che sono scomode per l'ideologia della crescita. La prima Legge, come osservato sopra, impone uno scambio quantitativo di materia/energia fra l'ambiente e l'economia. La Seconda legge, che l'entropia (o disordine) dell'universo aumenta sempre, impone un degrado qualitativo dell'ambiente – estraendo risorse a bassa entropia e dando indietro rifiuti ad alta entropia. La Seconda Legge della Termodinamica impone quindi un conflitto aggiuntivo fra l'espansione dell'economia e la preservazione dell'ambiente, cioè che l'ordine e la struttura dell'economia è pagata imponendo disordine nell'ecosfera che la sostiene. Inoltre questo disordine, esportato dall'economia, distrugge le complesse interdipendenze ecologiche del nostro ecosistema di supporto vitale.

Coloro che negano il conflitto fra crescita ed ambiente spesso affermano che siccome il PIL viene misurato in unità di valore, non necessariamente ha un impatto fisico sull'ambiente. Ma si deve ricordare che un dollaro di benzina è una quantità fisica – recentemente circa un quarto di gallone negli Stati Uniti. Il PIL è un aggregato di tutte le quantità di questo genere “del valore di un dollaro” comprate per l'uso finale e di conseguenza è un indice di valore ponderato di quantità fisiche. Il PIL certamente non è perfettamente correlato col flusso di risorse. Ciononostante, le probabilità di “disaccoppiamento” assoluto del flusso di risorse dal PIL sono piuttosto limitate, anche se se ne parla molto e sono e desiderate. (3)

I limiti sono resi visibili considerando una matrice ingresso-uscita di un'economia. Quasi ogni settore richiede ingressi da (e fornisce uscite per) quasi ogni altro settore. E questi ingressi richiedono un ulteriore giro di ingressi per la loro produzione, ecc. L'economia cresce come un insieme integrato, non come un misto di settori separati. Anche i settori dell'informazione e dei servizi richiedono ingressi di risorse fisiche sostanziali. In aggiunta al limite dal lato dell'offerta riflesso nell'interdipendenza ingresso-uscita dei settori di produzione, c'è il limite del lato della domanda di ciò che è stato chiamato “ordinamento lessicografico dei desideri” - a meno che prima non abbiamo cibo a sufficienza nel piatto, non siamo interessati all'informazione contenuta in mille ricette su Internet. E, naturalmente, il Paradosso di Jevons – l'idea che, man mano che la tecnologia avanza, l'aumento di efficienza col quale viene usata una risorsa tende ad aumentare il tasso di consumo di quella risorsa – nega gran parte dei benefici di tale progresso. Ciò non nega le reali possibilità del miglioramento dell'efficienza tecnica nell'uso delle risorse, o il miglioramento etico nell'ordinamento delle nostre priorità. Ma questi rappresentano uno sviluppo qualitativo e di frequente non vengono colte nel PIL, che riflette principalmente la crescita quantitativa.

Siccome il PIL riflette le attività dannose sia quelle benefiche, gli economisti ecologici non lo hanno considerato come desiderabile in sé. Hanno invece distinto la crescita (aumento quantitativo in dimensione per accrescimento o assimilazione di materia) dallo sviluppo (miglioramento qualitativo di progettazione, tecnologia o priorità etiche). Gli economisti ecologici sostengono lo sviluppo senza crescita – miglioramento qualitativo senza aumento quantitativo di flusso di risorse oltre una scala ecologicamente sostenibile. Data questa distinzione, si potrebbe infatti dire che non c'è necessariamente conflitto fra sviluppo qualitativo ed ambiente. Il calcolo del PIL mescola insieme crescita e sviluppo, così come costi e benefici. Esso quindi confonde anziché chiarire.

Da un mondo vuoto a un mondo pieno: il fattore limitante è cambiato

Quando il flusso entropico diventa troppo grande, sopraffa o la capacità rigenerativa delle fonti della natura o la capacità assimilativa dei pozzi della natura. Questo ci dice che non viviamo più nel mondo vuoto, ma piuttosto abitiamo in un mondo pieno. I flussi di risorse ora sono il fattore di scarsità e il lavoro e le riserve di capitale ora sono relativamente abbondanti. Questo schema di fondo di scarsità è stato invertito da un secolo di crescita.


Figura 2: Cambiamento dei fattori limitanti

Questa immagine semplice è istruttiva. In passato, la pesca era limitata dal numero di pescherecci e pescatori. Ora è limitata dal numero di pesci e dalla loro capacità di riprodursi. Più pescherecci non portano a più pesce pescato. Il fattore limitante non è più il capitale di pescherecci costruite dall'uomo, ma il capitale naturale rimasto di popolazioni di pesce e del loro habitat acquatico.
La logica economica vi direbbe di investire sul fattore limitante. La vecchia politica economica di costruire più pescherecci ora è antieconomica, quindi dobbiamo investire in capitale naturale, il nuovo fattore limitante. Come lo facciamo? Intanto, possiamo farlo riducendo la pesca per permettere alle popolazioni di pesci di tornare ai livelli precedenti e con altre misure come lasciare a maggese i terreni agricoli per ripristinare la loro fertilità. Più in generale, possiamo farlo ripristinando l'ecologia, la biodiversità, la conservazione e le pratiche d'uso sostenibili.

Si potrebbero disegnare quadri analoghi per altre risorse naturali. Cos'è che alla fine dei conti limita la produzione di legna tagliata? E' il numero di motoseghe, di segherie e taglialegna o le foreste che rimangono e il tasso di crescita dei nuovi alberi? Cosa limita i raccolti dell'agricoltura irrigua? E' il numero di tubi, irrigatori e pompe p le riserve d'acqua nelle falde, il loro tasso di riempimento e il flusso di acqua di superficie nei fiumi? Cosa limita il numero di barili di petrolio greggio pompato: il numero di piattaforme di trivellazione o i depositi di petrolio accessibile rimasti? Cosa limita l'uso di tutti i combustibili fossili: le nostre attrezzature minerarie e i motori a combustione o la capacità dell'atmosfera di assorbire i gas serra risultanti senza causare un drastico cambiamento climatico? In tutti i casi, è il secondo, il capitale naturale (sorgente o pozzo che sia), piuttosto che il capitale costruito dall'uomo.

Gli economisti tradizionali hanno reagito a questo cambiamento dell'identità del fattore limitante in tre modi. Il primo è che lo hanno ignorato – continuando a credere che viviamo nel mondo vuoto del passato. Il secondo è che hanno fatto finta che il PIL sia un numero etereo ed angelico piuttosto che un aggregato fisico. Il terzo è che hanno affermato che il capitale naturale non ha, di fatto, sostituito il capitale prodotto dall'uomo come fattore limitante, perché il capitale prodotto dall'uomo e il capitale naturale sono sostituti intercambiabili, almeno secondo le funzioni di produzioni neoclassiche.

Solo se i fattori di produzione sono complementi quello in numero ridotto può essere limitante. Quindi anche se il capitale naturale ora è più scarso di prima, questo non sarà un problema, dicono gli economisti neoclassici, perché il capitale prodotto dall'uomo è un sostituto “quasi perfetto” delle risorse naturali. Viene rappresentato come tale in funzioni di produzione moltiplicative come la ampiamente usata Cobb-Douglas. Ma moltiplicare i “fattori” di produzione per ottenere un “prodotto” è matematica, non economia. Nel mondo reale, ciò che chiamiamo “produzione” è di fatto trasformazione, non moltiplicazione. Le risorse naturali vengono trasformate da ingressi di capitale e di lavoro in prodotti utili e rifiuti.

Mentre le tecnologie migliorate possono certamente ridurre i rifiuti e facilitare il riciclo, gli agenti di trasformazione (capitale e lavoro) non possono essere utilizzati come sostituti diretti del materiale e dell'energia che vengono trasformati (risorse naturali). Possiamo produrre una torta di 4 chili e mezzo con solo mezzo chilo di ingredienti semplicemente usando più cuochi e forni? E, inoltre, come possiamo produrre più capitale (o lavoro) senza usare più risorse naturali? Mentre un investimento di capitale in sonar potrebbe aiutare a localizzare i pesci che rimangono, il sonar non è un buon sostituto di più pesce nel mare. E cosa succede al valore del capitale dei pescherecci, compresi i loro sonar, man mano che il pesce scompare?

Limiti alla crescita e la scala ottimale dell'economia in un mondo pieno

E' chiaro dalla Figura 1 che la transizione da un mondo vuoto ad uno pieno comporta costi e benefici. La freccia marrone da Economia a Welfare  rappresenta i servizi economici (benefici provenienti dall'economia). E' piccola nel mondo vuoto ma grande nel mondo pieno. Cresce ad un tasso decrescente perché, come esseri razionali, per primi soddisfiamo i desideri più importanti – La legge dell'utilità marginale decrescente. I costi della crescita sono rappresentati dai servizi ecosistemici in contrazione (freccia verde) che sono grandi nel mondo vuoto, ma piccoli nel mondo pieno. Diminuisce ad un tasso crescente man mano che l'ecosistema viene soppiantato dall'economia perché noi – in teoria – sacrifichiamo prima i servizi ecosistemici meno importanti – La legge dei costi marginali crescenti.

Possiamo riformulare ciò nei termini della Figura 3, che mostra il beneficio marginale in declino della crescita dell'economia e il costo marginale in aumento del risultante sacrificio ambientale:


Figura 3: I limiti della crescita

Dal diagramma, possiamo distinguere tre concetti di limiti della crescita:

1. Il limite della futilità si presenta quando l'utilità marginale della produzione arriva a zero. Anche senza nessun costo di produzione, c'è un limite a quanto possiamo consumare continuando a goderne. C'è un limite ai beni di cui possiamo godere in un dato periodo di tempo, così come c'è un limite dei nostri stomaci e della capacità sensoriale del nostro sistema nervoso. In un mondo con una povertà considerevole e in cui i poveri osservano quelli molto ricchi che si godono ancora la loro ricchezza in eccesso, molti vedono questo limite di futilità come molto lontano, non solo i poveri, ma tutti. Per il suo postulato di “non sazietà”, l'economia neoclassica formalmente nega il concetto di limite di futilità. Tuttavia, degli studi hanno mostrato che, oltre una “soglia di sufficienza”, sia la felicità percepita sia gli indici obbiettivi del benessere cessano di aumentare col PIL. (4)

2. La catastrofe ecologica è rappresentata da un netto aumento verticale della curva del costo marginale. Alcune attività umane, o nuova combinazione di attività, potrebbero indurre una reazione a catena, o punto di non ritorno, e far collassare la nostra nicchia ecologica. Il principale candidato per il limite catastrofico al momento è il cambiamento climatico fuori controllo indotto dai gas serra emessi nella ricerca della crescita economica. Quello che potrebbe accadere lungo l'asse orizzontale è incerto. L'assunto di un costo marginale in continuo e leggero aumento è piuttosto ottimistico. Data la nostra comprensione limitata di come funziona l'ecosistema, non possiamo essere sicuri di aver messo correttamente in sequenza i nostri sacrifici di servizi ecologici dal meno al più importante. Nel far strada alla crescita, potremmo sacrificare per ignoranza un servizio ecosistemico vitale prima di uno superficiale. Quindi la curva del costo marginale potrebbe in realtà salire e scendere in modo discontinuo, rendendo difficile definire il terzo e più importante limite, cioè il limite economico.

3. Il limite economico è definito dall'uguaglianza del costo marginale e del beneficio marginale e della corrispondente massimizzazione del beneficio netto. Il limite economico sembrerebbe essere il primo limite che incontriamo. Di sicuro si verifica prima del limite di futilità e probabilmente prima del limite di catastrofe. Nella peggiore ipotesi, il limite di catastrofe potrebbe coincidere col limite economico e determinarlo in modo discontinuo. Pertanto è molto importante stimare i rischi di catastrofe ed includerli come costi da conteggiare nella curva della disutilità prima possibile.

Dal grafico è evidente che la produzione e il consumo aggregati in aumento vengono giustamente chiamati crescita economica solo fino al limite economico. Oltre quel punto diventa crescita antieconomica perché aumenta i costi più dei benefici, rendendoci più poveri, non più ricchi. Ciononostante, continuiamo perversamente a chiamala crescita economica. Infatti, non troverete il termine “crescita antieconomica” in nessun libro di testo di macroeconomia. Ogni aumento di PIL reale viene chiamato “crescita economica” anche se aumenta i costi più rapidamente dei benefici. Che più ricco (più ricchezza netta) sia meglio di più povero è una verità lapalissiana. La domanda rilevante, però, è: la crescita ci rende più ricchi o ha cominciato a renderci più poveri aumentando il “malessere” più rapidamente del “benessere”?

Ci sono esempi di “malessere” ovunque, anche se sono ancora non misurati nei conteggi nazionali. Comprendono cose come scorie nucleari, cambiamento climatico da eccesso di carbonio in atmosfera, perdita di biodiversità, miniere esaurite, deforestazione, suolo eroso, pozzi e fiumi prosciugati e buco dell'ozono. Comprendono anche lavoro estenuante e pericoloso e il debito non saldabile derivato dal tentativo di spingere la crescita nel simbolico settore finanziario oltre ciò che è possibile nel settore reale.

Gli economisti osserveranno che la logica impiegata nella Figura 3 è famigliare in macroeconomia – la dimensione ottimale di una unità macroeconomica, che sia una ditta o una famiglia, si verifica dove il costo marginale è uguale al beneficio marginale. La logica non viene applicata alla macroeconomia, tuttavia, perché la seconda viene pensata come il Tutto piuttosto che una Parte. Quando una Parte si espande in un Tutto finito, impone un costo di opportunità sulle altre Parti che si devono restringere per farle spazio. Quando il Tutto stesso si espandesi pensa che non imponga nessun costo di opportunità perché non sostituisce niente, espandendosi presumibilmente nel nulla. Ma come visto nella Figura 1, la macroeconomia non è il Tutto. E' anche lei una Parte, una parte della più ampia economia naturale, l'ecosfera, e la sua crescita infligge costi di opportunità sul Tutto finito che devono essere considerati. Il rifiuto di riconoscere questo dipende dal fatto che molti economisti non possono concepire la possibilità che la crescita del PIL possa mai essere antieconomica.

Gli economisti standard potrebbero accettare la Figura 3 come un quadro statico ma poi sosterrebbero che, in un mondo dinamico, la tecnologia sposterebbe la curva dei benefici marginali verso l'alto e quella dei costi marginali verso il basso, spostando la loro intersezione (limite economico) sempre verso destra di modo che la crescita continua rimane sia desiderabile si possibile. Tuttavia, gli 'spostatori' di curve macroeconomiche devono ricordare tre cose. La prima è che la macroeconomia che cresce fisicamente è comunque limitata dalla propria sostituzione dell'ecosfera finita e dalla natura entropica del proprio flusso di mantenimento. La seconda è che la tempistica della nuova tecnologia è incerta. La tecnologia attesa potrebbe non essere inventata o entrare in funzione fino a dopo che abbiamo superato il limite economico. Manteniamo quindi la crescita antieconomica aspettando e sperando che le curve si spostino? La terza è che le curve possono anche spostarsi nella direzione sbagliata, spostando il limite economico indietro verso sinistra. I “progressi” tecnologici del piombo tetraetile e dei clorofluorocarburi hanno spostato la curva dei costi in giù o in su? E l'energia nucleare? O il “fracking”?

Adottare un'economia di stato stazionario ad un macro livello (mentre, naturalmente, favoriamo i miglioramenti di assegnazione al micro livello) ci aiuta ad evitare di essere spinti oltre il limite economico. Potremmo prenderci il nostro tempo per valutare nuove tecnologie piuttosto che adottarle ciecamente nell'interesse della crescita aggregata che potrebbe anche essere antieconomica. E lo stato stazionario ci da una qualche assicurazione contro i rischi della catastrofe ecologica ,che invece aumentano col 'crescismo' e l'impazienza tecnologica.

Tre prospettive sull'integrazione di economia ed ecosistema

La nostra visione e le politiche dovrebbe basarsi su una visione integrata ed un'ecosfera non in crescita. Tre diverse concezioni hanno fondato tali tentativi sull'integrazione e tutti e tre partono dalla visione dell'economia come sottosistema dell'ecosfera e riconoscono quindi i limiti della crescita. Tuttavia differiscono nel modo in cui ognuna tratta il confine fra economia e il resto dell'ecosistema e queste differenze hanno grandi conseguenze nelle politiche di come ci adattiamo ai limiti.


Figura 4: Approcci all'integrazione di economia ed ecosistema

L'imperialismo economico cerca di espandere i confini del sottosistema economico finché non invade l'intera ecosfera. L'obbiettivo è un sistema, la macroeconomia come Tutto. Questo è ottenuto  attraverso l'internalizzazione completa di tutti i costi e benefici esterni nei prezzi. Quella miriade di aspetti della biosfera non scambiati abitualmente nei mercati vengono trattati come se fossero per imputazione di “prezzi ombra” - la miglior stima dell'economista di cosa il prezzo della funzione o cosa sarebbe se venisse scambiata in un mercato competitivo. Ogni cosa nell'ecosfera viene teoricamente resa comparabile in termini della capacità del suo prezzo di aiutare o ostacolare gli individui a soddisfare i loro desideri. Implicitamente, il fine perseguito è un livello ancora maggiore di consumo e il modo di ottenere effettivamente questo fine è la crescita del valore di scambio aggregato dei beni e dei servizi finali messi sul mercato (PIL).

L'imperialismo economico è essenzialmente l'approccio neoclassico. Le preferenze soggettive individuali, tuttavia capricciose o istruite, vengono prese come la fonte ultima di valore. Questo è un giudizio di valore perverso, non l'assenza di giudizi di valore, come la trattano di solito gli economisti. Siccome i desideri soggettivi sono pensati come infiniti nel complesso, così come la sovranità, la scala delle attività dedite alla loro soddisfazione tende ad espandersi. L'espansione è considerata come “tutti i costi sono internalizzati nei prezzi”.

Mentre i costi possono certamente essere internalizzati nei prezzi, questa non dovrebbe diventare una scusa per permettere l'eccessiva acquisizione dell'ecosfera da parte della crescita economica. Sfortunatamente, molti dei costi della crescita che abbiamo vissuto sono arrivati come sosprese. Non possiamo internalizzarli se prima non possiamo immaginarli e prevederli. Inoltre, anche dopo che alcuni costi esterni sono diventati piuttosto visibili (vedi cambiamento climatico), l'internalizzazione è stata molto lenta, parziale e con molta opposizione. Le ditte che massimizzano i profitti hanno un incentivo ad esternalizzare i costi. Finché l'idoneità evolutiva dell'ambiente di sostenere la vita non viene percepita come valore dagli economisti, è probabile che venga distrutta nella ricerca imperialistica di soggiogare ogni molecola e fotone della creazione alle regole pecuniarie dell'attuale massimizzazione del valore.

Non c'è dubbio che una volta che la scala dell'economia è cresciuta al punto che beni e servizi ambientali in precedenza gratuiti diventano scarsi è meglio se dovessero avere un prezzo positivo che riflette la loro scarsità che continuare ad avere un prezzo zero. Ma la domanda precedente rimane: stiamo meglio con la nuova scala più grande con beni che prima erano gratuiti al giusto prezzo o la vecchia scala più piccola con beni gratuiti a loro volta al giusto prezzo (a zero)? In entrambi i casi, i prezzi sono giusti. Questa domanda di macro scala ottimale non viene posta e nemmeno risposta dall'economia neoclassica e neanche da quella Keynesiana nella loro cieca ricerca della crescita.

Il riduzionismo ecologico comincia con la giusta intuizione secondo cui gli esseri umani e i mercati non sono esenti dalle leggi di natura. Ma poi procede verso la falsa illazione secondo cui l'azione umana è completamente spiegabile dalle leggi della natura e riducibile ad esse. Cerca di spiegare qualsiasi cosa accada all'interno del sottosistema economico con le stesse leggi naturali che applica al resto dell'ecosistema. Ingloba il sottosistema economico indifferentemente all'interno del sistema naturale, cancellandone i confini. Portata all'estremo, questa visione pretende di spiegare tutto con un sistema materialistico deterministico che non ha spazio per lo scopo e la volontà. Questa è una visione sensibile da cui studiare l'ecologia di una barriera corallina o di una foresta pluviale. Ma se si adotta per studiare l'economia umana, si rimane invischiati nella scomoda implicazione politica secondo cui la politica non può fare nessuna differenza.

L'ecologia ha ereditato dalla sua disciplina madre, la biologia, una misura della filosofia meccanicistica della biologia moderna. Ciò deriva da un fondamentalismo neo Darwiniano che spesso è accettato acriticamente da molti importanti biologi come una metafisica deterministica validata dalla scienza, piuttosto che come una fruttuosa ipotesi di lavoro per fare scienza. Il determinismo è completamente in contrasto con politiche intenzionali di qualsiasi tipo e di conseguenza con qualsiasi pensiero economico che punti alle politiche. Un matrimonio felice fra economia ed ecologia, come nella “economia ecologica”, deve superare questa incompatibilità latente. L'imperialismo economico riduce tutto alla volontà ed all'utilità umana, trascurando i limiti oggettivi del mondo naturale. Il riduzionismo ecologico vede solo leggi naturali deterministiche e le estende imperiosamente in  “spiegazioni” materialiste di volontà e consapevolezza umana come mere illusioni. E' una tragica ironia che la disciplina le cui scoperte scientifiche hanno fatto molto per aprire gli occhi ai pericoli ambientali che abbiamo di fronte è anche la disciplina le cui presupposizioni metafisiche hanno fatto molto per indebolire la nostra volontà di rispondere a questi pericoli con politiche intenzionali. (5)

L'imperialismo economico e il riduzionismo ecologico sono entrambi visioni monistiche, anche se monismo opposti. La ricerca monistica di una singola entità o principio con cui spiegare tutto porta ad un eccessivo riduzionismo da entrambe le parti. Di certo, la scienza dovrebbe sforzarsi per la più ridotta o parsimoniosa spiegazione possibile senza ignorare i fatti. Ma rispetto per i fatti empirici fondamentali da un lato e scopo e volontà coscienti dall'altro ci dovrebbero portare ad un tipo di dualismo pratico. Dopo tutto, che il nostro mondo consista di due caratteristiche fondamentali non offre alcuna improbabilità intrinseca rispetto a quello che poggia solo su una. Come interagiscono queste due caratteristiche fondamentali del nostro mondo (causa materiale e causa finale) è un mistero venerabile – esattamente il mistero che i monisti di entrambi i tipi stanno cercando di evitare. Stanno meglio negando l'ordine mentale del proprio monismo che negando i fatti che indicano un dualismo disordinato.  

La prospettiva che rimane è il sottosistema di stato stazionario. Questo non tenta di eliminare il confine del sottosistema espandendolo per farlo coincidere col sistema complessivo o riducendolo a niente. Piuttosto, afferma sia l'interdipendenza sia la differenza qualitativa fra l'economia umana e l'ecosistema naturale. Il confine deve essere riconosciuto e disegnato nel posto giusto. La scala del sottosistema umano definita dal confine ha un optimum e il flusso con cui l'ecosfera mantiene fisicamente e rifonde il sottosistema economico dev'essere ecologicamente sostenibile. L'obbiettivo dell'economia è di minimizzare il consumo di bassa entropia per ottenere uno standard di vita sufficiente – vagliandolo lentamente e con cura attraverso tecnologie efficienti tese a scopi importanti. L'economia non dovrebbe essere vista come una macchina stupida dedita a massimizzare i rifiuti. Il suo scopo ultimo è mantenere e godersi la vita a lungo (non per sempre) ad un livello sufficiente di ricchezza per una buona (non lussuosa) vita.

L'idea di un'economia di stato stazionario proviene dall'economia classica ed è stata sviluppata da John Stuart Mill (1857), che la chiamava “stato stazionario”. (6) In un tale stato, la popolazione e la riserva di capitale non crescerebbero più, anche se l'arte di vivere continuerebbe a migliorare. La costanza di queste due riserve fisiche definivano la scala del sottosistema economico. I tassi di nascita sarebbero uguali ai tassi di morte e i tassi di produzione a quelli di deprezzamento. Oggi, aggiungiamo che entrambi i tassi dovrebbero essere uguali a livelli bassi piuttosto che a livelli alti, perché valutiamo la longevità delle persone e la durata dei manufatti e vogliamo minimizzare il flusso, soggetto al mantenimento di riserve sufficienti per una buona vita.

Politiche per un'economia di stato stazionario

L'economia ecologica dovrebbe cercare lo sviluppo di una visione di stato stazionario e andare oltre le strade senza uscita di imperialismo economico e riduzionismo ecologico. Dieci politiche per andare verso un'economia di stato stazionario sono presenti sotto. Molte potrebbero venire adottate indipendentemente e gradualmente, anche se hanno coesione nel senso che alcune compensano le lacune di altre. Naturalmente, la questione del livello desiderato dell'economia di stato stazionario è cruciale e i limiti locali, regionali e globali devono essere considerati nel plasmare politiche efficaci.

(1) Sviluppare sistemi di Cap-Auction-Trade per le risorse fondamentali (in particolare i combustibili fossili): mettere dei tetti per le risorse naturali secondo tre regole chiave: (1) le risorse rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto si rigenerino, (2) le risorse non rinnovabili non devono essere esaurite più velocemente di quanto vengano sviluppati i sostituti rinnovabili e (3) i rifiuti provenienti dall'uso di tutte le risorse non devono essere riversate nell'ecosistema più rapidamente di quanto possano essere assorbite e ricostituite dai sistemi naturali. Questo approccio ottiene scala sostenibile ed efficienza di mercato, evita effetti di rimbalzo ed aumenta i ricavi d'asta per rimpiazzare le tasse regressive.

(2) Spostamento fiscale: spostare la base fiscale da “valore aggiunto” (lavoro e capitale) a ciò a cui viene aggiunto il valore, per esempio il flusso di risorse naturali, la fonte di costi sociali come l'inquinamento e gli effetti negativi sulla salute pubblica. Tali tasse incoraggeranno anche un uso efficiente delle risorse.

(3) Limitare la disuguaglianza: stabilire un limite minimo e massimo di reddito, mantenendo le differenze sufficientemente grandi da preservare gli incentivi ma sufficientemente piccole da sopprimere le tendenze plutocratiche delle economie di mercato.

(4) Riformare il settore bancario: passare dal sistema bancario dalla riserva frazionaria al 100% di obblighi di riserva sui depositi a vista. I soldi non sarebbero più prevalentemente indebitamento gravato da interessi creato dalle banche private, ma  debito non gravato da interessi emesso dal Tesoro. Ogni dollaro prestato per gli investimenti sarebbe un dollaro precedentemente risparmiato da qualcun altro, ripristinando l'equilibrio classico fra investimento ed astinenza dal consumo e ammortizzando i cicli di espansione e contrazione.

(5) Gestire il mercato per il bene pubblico: passare dal mercato libero e dalla mobilità libera del capitale ad un mercato internazionale equilibrato e regolato. Mentre l'interdipendenza delle economie nazionali è inevitabile, la loro integrazione in un'economia globale non lo è. Il libero mercato svende le politiche di internalizzazione dei costi interni, portando ad una corsa verso il basso. La mobilità libera del capitale annulla l'argomentazione del fondamentale vantaggio comparativo di libero scambio delle merci. (7)

(6) Espandere il tempo libero: ridurre il lavoro convenzionale in favore del lavoro part-time, del lavoro personale, e del tempo libero, abbracciando in tal modo il benessere come misura centrale di prosperità riducendo la spinta alla produzione illimitata.

(7) Stabilizzare la popolazione: lavorare verso un equilibrio in cui le nascite più l'immigrazione sia uguale alle morti più l'emigrazione e in cui ogni nascita sia una nascita voluta.
(8) Riformare i conti nazionali: separare il PIL in un conto dei costi e in un conto dei benefici così che il flusso di crescita possa essere fermato quando i costi marginali eguagliano quelli dei benefici marginali.

(9) Ripristinare la piena occupazione: ripristinare la Legge per la Piena occupazione del 1945 degli Stati Uniti ed il suo equivalente in altre nazioni per far tornare la piena occupazione lo scopo  e la crescita economica il mazzo temporaneo. La disoccupazione/sottoccupazione è il prezzo che paghiamo alla crescita tramite l'automazione, la delocalizzazione, il mercato deregolamentato e una politica di immigrazione di lavoro a basso costo. In condizioni di stato stazionario, i miglioramenti di produttività porterebbero ad aumentare il tempo libero piuttosto che la disoccupazione.

(10) Far progredire solo la governance globale: cercare la comunità mondiale come una federazione di di comunità nazionali, non la dissoluzione di nazioni in un solo “mondo senza confini”. La globalizzazione da parte del libero mercato, la libera mobilità del capitale e la migrazione libera dissolve la comunità nazionale, non lasciando niente da federare. Tale globalizzazione è individualismo a caratteri cubitali – un feudalesimo post nazionale aziendale all'interno di beni comuni globali. Piuttosto, rafforzare la visione originale di Bretton Woods di economie nazionali interdipendenti e resistere alla visione del WTO di una unica economia integrata globale. Rispettare il principio di sussidiarietà: anche se il cambiamento climatico e il controllo delle armi richiedono istituzioni globali, l'applicazione di leggi fondamentali e la manutenzione delle infrastrutture rimangono problemi locali. Concentriamo la nostra limitata capacità di cooperazione globale su quei bisogni e funzioni che la richiedono realmente.

Contesto etico ed ecologico delle economie più ampio

Una cosa è suggerire un profilo generale di politiche, ma è completamente un'altra cosa dire come ci assicuriamo la volontà, la forza e la chiarezza dello scopo per portare a termine quelle politiche – specialmente quando abbiamo trattato la crescita come il sommo bene durante l'ultimo secolo. Tale volontà richiederà un grande cambiamento di visione filosofica e di pratica etica, un cambiamento che viene difficilmente garantito anche alla luce di circostanze sempre più pericolose in cui si trova il pianeta.

Come modo di contemplare un tale cambiamento, considerate la “piramide fini-mezzi” della Figura 5. Le politiche consigliate sopra sono a metà, sotto “Economia Politica”. Alla base della piramide ci sono fini ultimi (bassa entropia materia-energia) di cui abbiamo bisogno per soddisfare i nostri desideri, ma che non possiamo produrre, solo consumare. Usiamo questi mezzi ultimi direttamente, guidati dalla tecnologia, per produrre mezzi intermedi (per esempio manufatti, beni, servizi) che soddisfano direttamente i nostri bisogni. Questi mezzi intermedi sono assegnati dall'economia politica per servire i nostri fini intermedi (per esempio, salute, comfort, educazione), eticamente classificati da quanto fortemente contribuiscono al Fine Ultimo nelle circostanze esistenti. Possiamo percepire il Fine Ultimo solo vagamente, ma per classificare eticamente i nostri fini intermedi, dobbiamo confrontarli a qualche criterio ultimo. Non possiamo evitare un'indagine filosofica e teologica nel Fine Ultimo solo perché è difficile. Dare priorità richiede che qualcosa vada al primo posto.


Figura 5: Una piramide fini-mezzi dell'attività umana

La posizione di mezzo dell'economia è significativa. L'economia tradizionalmente ha a che fare con l'assegnazione di dati mezzi intermedi per soddisfare una data gerarchia di fini. Serve il problema tecnologico di convertire i mezzi finali in mezzi intermedi e il problema etico di classificare i fini intermedi con riferimento ad un Fine Ultimo come risolto. Tutto ciò con cui l'economia ha a che fare, quindi, è assegnare efficientemente dati mezzi fra una data gerarchia di fini. Trascurando il Fine Ultimo e l'etica, l'economia è stata troppo materialista; trascurando i mezzi fisici finali e la tecnologia, non è stata sufficientemente materialista.

La politica economica finale (stewardship - gestione) è il problema totale dell'uso di mezzi finali per servire meglio il Fine Ultimo, non più dare per scontate la tecnologia e l'etica, ma come passi nel problema complessivo da risolvere. Il problema generale è troppo grande per essere affrontato senza ridurlo alle sue parti. Ma senza una visione del problema nel suo totale, le parti non stanno insieme.
La base scura della piramide rappresenta la conoscenza relativamente solida e consensuale di varie fonti di bassa entropia materia-energia. Il vertice chiaro della piramide rappresenta il fatto che la nostra conoscenza del Fine Ultimo è incerta e non quasi consensuale come la fisica. Il singolo vertice disturberà i pluralisti che pensano che ci sono molti “fini ultimi”. Grammaticalmente e logicamente, tuttavia, “ultimo” richiede il singolare. Eppure c'è sicuramente spazio per più di una percezione della natura del Fine Ultimo singolare e molto bisogno di tolleranza e pazienza nel ragionare insieme su di esso.

Il Fine Ultimo, qualsiasi esso sia, non può essere la crescita. Un migliore punto di partenza per ragionare insieme è l'aforisma di John Ruskin che recita: “Non c'è ricchezza, ma vita”. Come potrebbe essere riformulata questa intuizione come obbiettivo politico? Suggerirei la definizione seguente: massimizzare il numero cumulativo di vite che verranno mai vissute nel tempo ad un livello di ricchezza pro capite sufficiente per una buona vita. Ciò lascia aperta la tradizionale questione etica di cosa sia la buona vita, mentre condiziona la sua risposta alle realtà di ecologia e dell'economia della sufficienza. Come minimo, sembra un'approssimazione più ragionevole dell'attuale obbiettivo impossibile di “sempre più cose per sempre più gente per sempre”.

Note

1. Dieter Helm, Lo stato del capitale naturale: ripristinare il nostro patrimonio naturale (Londra: UK Natural Capital Committee, 2014).

2. Questo nonostante i contributi di Nicholas Georgescu-Roegen e Kenneth Boulding. Vedete Nicholas Georgescu-Roegen, La legge di entropia e il processo economico (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1971); Kenneth Boulding, “L'economia della nave spaziale Terra in arrivo” su Qualità ambientale in un'economia in crescita, ed. H. Jarrett (Baltimora: Johns Hopkins University Press, 1966), 3-14.

3. Tim Jackson, Prosperità senza crescita: economia per un pianeta finito (Londra: Earthscan, 2009), 67–71.

4. Come indicato dal GPI (Genuine Progress Indicator) ed il suo predecessore ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare). Per una indagine informativa, vedete Ida Kubiszewski, Robert Costanza, Carol Franco, Philip Lawn, John Talberth, Tim Jackson e Camille Aylmer, “Oltre il PIL: misurare ed ottenere il Global Genuine Progress”, Economia ecologica 93 (settembre 2013): 57-68.

5. Questa contraddizione è più evidente nel lavoro dell'acclamato naturalista ed ambientalista Edward O. Wilson, che afferma con forza sia il determinismo materialista sia l'attivismo ambientale. Riconosce la contraddizione e, incapace di risolverla, ha semplicemente scelto di conviverci. Vedete Wendell Berry, la vita è un miracolo (Un saggio contro la superstizione moderna) (Washington, DC: Counterpoint Press, 2000), 26. Vedete anche il capitolo 23 in Economia ecologica e sviluppo sostenibile di  Herman Daly, (Cheltenham, UK: Edward Elgar, 2007).

6. John Stuart Mill, Principi di economia politica IV.VII.I (Londra, 1848).

7. Ai capitalisti interessa la massimizzazione dei profitti assoluti, pertanto cercano di minimizzare i costi assoluti. Se il capitale è mobile fra le nazioni, si sposterà verso la nazione coi costi assoluti più bassi. Solo se il capitale è internazionalmente immobile i capitalisti si scomoderanno a confrontare i rapporti di costo interno dei paesi e sceglieranno di specializzarsi nei prodotti interniche hanno il costo relativo più basso in confronto alle altre nazioni e di scambiare quel bene (sul quale hanno un vantaggio comparativo) con altri beni. In altre parole, il vantaggio comparativo è una seconda migliore politica che i capitalisti seguiranno solo quando la prima migliore politica di seguire il vantaggio assoluto viene bloccata dall'immobilità del capitale internazionale. Per approfondire quato, vedete il capitolo 18 di Ecologia economica di Herman Daly e Joshua Farley (Washington, DC: Island Press, 2004).

lunedì 3 agosto 2015

Chi ha ucciso i dinosauri? (Indizio: probabilmente non quello che pensavate)

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi



Nel film “Fantasia” di Walt Disney (1940), i dinosauri venivano mostrati in un mondo caldo e secco di vulcani attivi. Scoperte recenti mostrano che una cosa del genere potrebbe realmente essere accaduta e che l'idea che i dinosauri siano stati uccisi dall'impatto di un asteroide sembra essere incompatibile coi dati disponibili. Sembra piuttosto che i dinosauri siano scomparsi a causa del riscaldamento globale conseguente alle emissioni di grandi quantità di gas serra da parte dei vulcani. Per molti aspetti, non è diverso da quello che sta accadendo a noi oggi.


Lo so cosa state pensando: questi stupidi scienziati; prima ci dicono che un asteroide ha ucciso i dinosauri, ora ci dicono che non è vero. Come possiamo dargli retta quando ci dicono che sono gli esseri umani a causare il riscaldamento globale?

domenica 2 agosto 2015

L'eruzione di metano si avvicina

DaCounter Punch”. Traduzione di MR (via Sam Carana)

Di Robert Hunziker

L'IPCC, così come i governi mondiali, ignora i rischi di un Artico senza ghiaccio (Wadhams). Piuttosto, un Artico senza ghiaccio è viene ampiamente salutato dalla maggior parte del mondo come un modo positivo di procedere nella riapertura delle rotte commerciali del nord, nuove corse per i traghetti e accesso ad enorme bacino di combustibili fossili. Secondo il professor Peter Wadhams dell'Università di Cambridge, un Artico senza ghiaccio, con la relativa e concomitante eruzione potenziale di metano, viene raramente menzionato dall'IPCC nella sua valutazione. Evidentemente l'IPCC non vuole parlare della possibilità di grandi catastrofi. In realtà, un Artico senza ghiaccio libera tempestosamente eoni di metano intrappolato dall'ultima Era Glaciale. Le ramificazioni sono profonde. Quando il Vaticano recentemente ha tenuto incontri coi principali scienziati sul cambiamento climatico in preparazione dell'enciclica del Papa del giugno 2015, uni degli ospiti invitati era il professor Peter Wadhams. Assumendo che all'Accademia Pontificia delle Scienze abbiano ascoltato con attenzione le sue parole, potrebbero soffrire di attacchi di insonnia.

Lo stato del ghiaccio del Mare Artico e perché conta

Peter Wadhams, professore di Fisica dell'Oceano e Capo del Gruppo di Fisica dell'Oceano Polare, Dipartimento di Matematica Applicata de Fisica Teorica dell'Università di Cambridge, di recente si è recentemente impegnato in una intervista molto franca: “Il nostro tempo sta finendo – Il ghiaccio marino dell'Artico se ne sta andando”, del 15 maggio 2015 (tutte le citazioni seguenti provengono da quell'intervista). “Ho misurato lo spessore del ghiaccio che è sceso del 50% negli ultimi 30 anni. In estate, per esempio, di solito si vedeva il ghiaccio del pack molto pesante da rendere molto difficile il passaggio di una nave. Oggi, somiglia più ad un pianeta blu. E' un Artico quasi senza ghiaccio. E' un grande cambiamento”. Di conseguenza, col passare del tempo, il rischio di una grande eruzione di metano aumenta insieme alla disintegrazione del ghiaccio marino in corso. “Siamo davvero preoccupati riguardo all'Artico costiero... le piattaforme continentali della Siberia sono su acque molto basse. E fino a poco tempo fa c'era sempre ghiaccio su quelle piattaforme, persino in estate... ora, in si ritira estate e scompare già per 2-3 mesi da quelle piattaforme. Ciò favorisce il riscaldamento dell'acqua. E, quando l'acqua si riscalda, causa la fusione del permafrost subacqueo, che non si era fuso dall'ultima Era Glaciale, e questo favorisce il rilascio di metano”

Secondo il professor Wadhams, il Mare Siberiano Orientale è un mostro in agguato. Wadhams crede che l'effetto di un'eruzione di metano potrebbe essere catastrofica quanto una collisione di un asteroide con la Terra. La quantità di riscaldamento sarebbe immediata e ampia. La probabilità che questo accada: “Direi che è circa del 50%, perché stiamo assistendo alla fusione del permafrost e al fatto che il metano viene già rilasciato”. Di fatto, gli scienziati sul campo stanno già assistendo ad aumenti consistenti dei grandi pennacchi di metano in estate mentre scoprono nuove aree di rilascio di metano. Solo fino a poco tempo fa, il Mare Siberiano Orientale veniva monitorato ogni anno da una nave russa. Mentre oggi, e durante gli ultimi due anni, le navi svedesi stanno andando altrove nell'Artico e “stanno vedendo tanto metano uscire quanto quello della Siberia orientale”. “Per cui non è una probabilità bassa l'alto rischio di catastrofe. Si tratta di un rischio altamente catastrofico ed altamente probabile”. Wadhams crede che la scomparsa completa del ghiaccio a metà estate potrebbe verificarsi nei prossimi due anni. Al momento, il volume di ghiaccio a metà estate è solo un quarto di quello degli anni 80. Se questa tendenza continua, il ghiaccio estivo si ridurrà a zero molto presto.
Impatto di un Artico senza ghiaccio.

I cambiamenti nell'Artico stanno alimentando cambiamenti altrove sul pianeta. “Per esempio, la scomparsa del ghiaccio nell'Artico sta portando masse di aria più calda a spostarsi sulla Groenlandia in estate. Ciò causa la fusione più rapida della calotta glaciale della Groenlandia. E questo sta causando all'accelerazione dell'aumento del livello del mare”. Risultato, anziché un metro di aumento del livello del mare in questo secolo, come previsto dall'IPCC, la fusione della Groenlandia potrebbe causare un aumento di un paio di metri, o più. Di fatto, alcuni glaciologi parlano di 4 o 5 metri. L'impatto cataclismico finale di troppo aumento del livello del mare sarebbe che alcune aree del mondo, come Miami, dovrebbero essere completamente abbandonate, svuotate ed evacuate come a Cernobyl, molto come a Cernobyl, a causa di politiche energetiche folli. Non solo questo, il riscaldamento globale accelera come risultato in conseguenza della perdita di ghiaccio marino artico, che riduce l'albedo globale, che è il modo in cui la radiazione viene riflessa verso lo spazio esterno, ma con la perdita di uno sfondo di ghiaccio bianco riflettente, l a radiazione solare viene assorbita da uno sfondo scuro, e tutto ciò porta ad un tasso di riscaldamento del mondo molto più rapido di quanto previsto dalla scienza ufficiale, l'IPCC. “Quindi questo tentativo di fingere di poter mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, che era già una finzione, è persino più ridicolo. Saranno sicuramente 4 o 5°C per la fine del secolo, il che avrà impatti piuttosto catastrofici sulla produzione agricola”.

Cosa fare?

In quanto a fermare il rilascio di metano in mare “riportando indietro il ghiaccio marino artico, alcune persone lo stanno proponendo. Il problema è che non si può realmente riportare il ghiaccio senza raffreddare il pianeta. Le temperature globali governano il ghiaccio marino, non può essere isolato o mirato. Trovare un modo di riportare indietro il ghiaccio marino artico non funzionerà, a meno che non si possa raffreddare l'intero pianeta”. La sola possibilità realistica, ironicamente, è la modifica del metodo del fracking usato nella trivellazione di petrolio e gas utilizzando piattaforme in mare l'ungo la costa Artica, una rete di trivellazioni orizzontali per la creazione di cavità per risucchiare il metano per impedirgli di uscire nell'atmosfera (Wadhams). Ma non è stata fatta nessuna ricerca su questo. E' stato soltanto suggerito. A prescindere da come, cosa o quando, la risoluzione del problema è un'impresa enorme e travolgente: “C'è una cospirazione della compiacenza nel mondo in cui si immagina ancora che se facciamo poche cose minori, piccoli aggiustamenti e riduciamo l'emissione di biossido di carbonio, allora tutto andrà bene. Ma non sarà così perché abbiamo già troppo biossido di carbonio in atmosfera. Stiamo già andando oltre i 2°C di riscaldamento anche se non emettessimo più, a causa del biossido di carbonio già presente in atmosfera. Quindi non solo dobbiamo smettere di emetterlo o di ridurlo, riducendo le emissioni, ma trovare modi di toglierlo dall'atmosfera e questa è una tecnologia che non è stata sviluppata”. Il cambiamento climatico ha un effetto progressivo, che lavora lentamente in tutto il mondo. Ma tutta questa lentezza di sta accumulando in un grande cambiamento. Inoltre, quando i modelli meteorologici distruggono l'agricoltura, causando la fame nel mondo, sarà troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Sfortunatamente, è l'inerzia globale il problema. “Le forze di inerzia sono così enormi.. l'uso dei combustibili fossili è molto radicato nella nostra società. Tutto nella vita proviene dai combustibili fossili”.

Tempistica del caso peggiore

Il solo modo di salvare la civiltà per com'è attualmente è di abbassare i livelli di CO2 e ciò può essere ottenuto soltanto da qualche metodo drastico per rimuovere realmente CO2 dall'atmosfera. “Non possiamo farcela scherzando con la riduzione delle nostre emissioni, non possiamo nemmeno farlo fermando le nostre emissioni, perché ci siamo spinti troppo oltre. Dobbiamo realmente toglierlo”. Il professor Wadhams afferma che la ricerca sul cambiamento climatico, in modo centrale, diventa l'obbiettivo principale di uno sforzo scientifico mondiale e dev'essere fatto urgentemente, come il Progetto Manhattan (ironicamente). La società sarà costretta ad usare qualche tecnologia, che non è stata nemmeno ancora verificata, per rimuovere il CO2 per evitare una catastrofe. Di conseguenza, non c'è tempo di giocherellare. Wadhams crede nel peggiore scenario, “in 10 anni saremo realmente già nella minestra”.

Attuali condizioni meteorologiche artiche

Secondo Arctic News, il 2 luglio, “Mentre i media danno grande importanza alle ondate di calore che hanno colpito di recente paesi popolosi come India, Pakistan, Stati Uniti, Spagna e Francia, viene data meno attenzione alle ondate di calore che colpiscono l'Artico”. Inoltre, “Le ondate di calore che hanno recentemente colpito Alaska e Russia ora sono seguite da un'ondata di calore nella Siberia Orientale... un luogo ben all'interno del Circolo Artico... il 2 luglio 2015 sono state registrate temperature di 37,1°C”. E, ancora peggio, “Con temperature di 37,1°C registrate il 2 luglio 2015, ci si può aspettare un'enorme fusione dove c'è ancora ghiaccio marino nelle acque al largo della Siberia, mentre le acque dove il ghiaccio marino non c'è già più si scalderanno rapidamente. Notate che le acque al largo della costa della Siberia sono profonde meno di 50 metri, quindi il riscaldamento si può estendere rapidamente fino al fondo del mare, che contiene enormi quantità di metano sotto forma di gas libero e di idrati”. Inoltre, il primo luglio 2015 è stata registrata una temperatura di 36°C vicino al fiume Kolyma che si getta nel Mare Siberiano Orientale.

L'Artico è più caldo di Miami!

In qualche modo, 36°C nell'Artico fa sembrare il mondo sottosopra/rovesciato, non è vero?

Robert Hunziker vive a Los Angeles e può essere contattato presso roberthunziker@icloud.com





sabato 1 agosto 2015

Grafico del giorno: terreno agricolo mondiale pro capite 1961-2012

DaDesdemona Despair”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

L'agricoltura mondiale sarà in grado di sostenere una popolazione umana di 12 miliardi di persone nel 2100? La risposta riguarda in gran parte quanto terreno c'è a disposizione per coltivare. Sfortunatamente, l'area di terreno coltivabile del mondo sta declinando ad un tasso enorme. La Convetion dell'Onu per Combattere la Desertificazione (UNCCD) stima che “ogni anno va perso terreno pari a 12 milioni di ettari, equivalente alla Bulgaria o al Benin”. (Desertificazione pdf, p. 12)


Cause della desertificazione

Questa perdita di terreno coltivabile è causata dagli esseri umani che distruggono il suolo e provocano l'abbassamento delle falde acquifere:

Nei paesi in cui le principali risorse economiche dipendono da attività agricole, ci sono poche fonti alternative di reddito, o nessuna. Il suolo viene danneggiato dall'uso eccessivo quando gli agricoltori trascurano o riducono i periodi di maggese, che sono necessari per permettere al suolo di recuperare abbastanza da produrre abbastanza cibo per sfamare la popolazione. Ciò a sua volta causa la perdita di materia organica da parte del suolo, limitando la crescita delle piante e riducendo la copertura di vegetazione. Il suolo nudo è più vulnerabile agli effetti dell'erosione. Quattro attività umane ne sono le cause più dirette: