giovedì 30 giugno 2016

Se la Svizzera avesse un deserto del Sahara sarebbe una piccola Africa. Il mondo ha davvero un “problema di sovrappopolazione”?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


di Ugo Bardi

E' già politicamente difficile affrontare problemi come esaurimento del petrolio e cambiamento climatico ma, perlomeno, questi sono problemi fisici che possiamo esaminare usando il metodo scientifico. Ma la sovrappopolazione? E' la ricetta per una lite politica o religiosa istantanea.

mercoledì 29 giugno 2016

La bomba demografica scoppia o non scoppia?

"La Bomba Demografica "   (Titolo originale “The Population bomb”) di Paul e Anne Ehrlich fu uno dei libri “cult” dell’ambientalismo degli esordi; mai tradotto in italiano, malgrado avesse venduto oltre due milioni di copie in inglese.   Fra l’altro, ispirò il film “Soylent Green.”, uscito in Italia col titolo “2022: I sopravvissuti”.

La scommessa

Paul Ehrlich

Gli autori di "La Bomba Demografica " non amavano i mezzi termini ed il loro libro cominciava con questa frase:  “La battaglia per nutrire l’intera umanità è persa.   Durante gli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame malgrado qualunque drastico programma venga messo in atto adesso”.    E continuava sullo stesso tono.

Sbagliato.   Gli anni ‘70 segnarono anzi la fine delle grandi carestie post-belliche che avevano ucciso non centinaia, ma decine di milioni di persone.   Di carestie ce ne furono anche dopo, ma assai meno gravi e dovute più a questioni politiche ed economiche che ad un’insufficiente produzione agricola mondiale.
Ma Ehrlich non era convinto e nel 1980 rilanciò facendo una scommessa con l’economista Julian L. Simon.   Uno che diceva cose di questo genere: “Le condizioni di vita umane miglioreranno sempre in tutti campi materiali.   Qualunque sia il tasso di crescita della popolazione, storicamente, la disponibilità di cibo è cresciuta alla stessa velocità, se non di più”.
Julian Simon
La scommessa  fu sul prezzo di 5 materie prime strategiche: cromo, rame, nickel, stagno e tungsteno.   Secondo Ehrlich, fra il 1980 ed il 1990 il loro prezzo sarebbe aumentato  causa di una crescita demografica superiore all'aumento della produzione.
Sbagliato.   Malgrado l’aumento di quasi 1 miliardo di persone in un solo decennio,  il tasso di crescita della produttività fu ancora superiore ed il prezzo delle materie prime e del cibo diminuì.   Simon vinse la scommessa.
Grande festa e definitiva archiviazione della questione “sovrappopolazione” che, nel frattempo, era diventata molto “politicamente scorretta”.   Gli ambientalisti ripiegarono sulla trincea “Il problema sono i consumi e non le persone”, mentre lo spettro del reverendo Malthus veniva ancora una volta ricacciato nell'Averno.
Definitivamente?

Ehrlich ha sbagliato, anche Malthus?

Cominciamo proprio dal panphlet del Reverendo Malthus.   Sorpresa!   Non aveva predetto un’ecatombe in Inghilterra.   Piuttosto, aveva scritto chiaramente che, se gli europei non fossero stati capaci di limitare la loro natalità, ne avrebbero pagato il fio “i selvaggi delle Americhe” che sarebbero stati spazzati via per far posto a noi.   Su questo, è difficile dire che si fosse sbagliato.   Anzi, non solo gli amerindi, ma anche i Circassi ed molti altri popoli dell’Asia centrale pagarono un tributo di sangue estremamente alto alla nostra incapacità di auto-controllo.   (A scanso di complessi di colpa, qualche secolo prima erano stati popoli asiatici a fare un macello in Europa).

Dunque la prima crisi maltusiana globale fu superata è vero, ma l’esperimento, semmai, dimostrò la giustezza dell’intuizione originaria.   Un punto per il Reverendo.
Ci volle circa un secolo perché si presentasse una seconda crisi di livello globale.   Per l’appunto negli anni ’60, quando Ehrlich e tanti altri corsero a rispolverare Malthus dagli armadi in cui era stato temporaneamente sepolto.   Stavolta non c’erano più continenti vuoti o vuotabili in cui scaricare l’eccesso di gente.   Se ne dedusse che stavolta un’ecatombe era inevitabile.   Ma accadde esattamente il contrario del previsto: la produzione di cibo e di generi di consumo aumentò molto più rapidamente della popolazione.   Non solo scongiurando la carestia globale, ma addirittura migliorando sensibilmente la qualità della vita della maggior parte dei terrestri.   “Mai così tanti, mai così bene” titolava negli anni ‘90 un numero di “Focus”.
Dunque mathusiani – anti-malthusiani: 1 a 1 e palla al centro.

Su una cosa credo che nessuno abbia seri dubbi: nei prossimi decenni si giocherà lo spareggio.   Quali i  pronostici?

La squadra “malthusiana”, inutile negarlo, si presenta male.   Sostanzialmente, alcuni reduci dell'ambientalismo anni '70, qualche anonimo blogger ed un manipolo di universitari e ricercatori che sono disposti ad uscire dalla "torre d'avorio" per andare in giro a dire cose sgradite.  
In compenso, sul piano dei fatti hanno parecchie frecce al loro arco: Il picco dell’energia (altro fantasma ricorrente), la sostanziale stabilità della produzione alimentare a fronte di uno sforzo produttivo crescente, l’evoluzione del clima, il degrado dei suoli, la perdita di biodiversità, le migrazioni di massa, l’estinzione/degrado dei principali banchi di pesca mondiali sono solo alcuni degli argomenti che possono citare a favore della loro tesi.
Di contro, la squadra “anti-malthusiana” schiera il fior fiore della società mondiale: assolutamente tutti i maggiori leader religiosi e politici, praticamente tutti gli imprenditori ed i finanzieri, quasi tutti i docenti di materie economiche e demografiche, praticamente tutti i mass media.   Non si può dire che manchi il consenso almeno su di un punto:  la sovrappopolazione non esiste, è già stato ampiamente e ripetutamente dimostrato; basta con questa lagna.  Quello che abbiamo è un problema di scarsa crescita economica e, semmai, di denatalità.
Sul piano dei fatti sono messi un po’ peggio.   Nessuno che sia in buona fede può negare che ci troviamo all'inizio di una lunga fase di profonda crisi ed il numero di persone denutrite è tornato a salire rapidamente, dopo aver toccato il minimo storico nel 1995.   Tuttavia, che questo sia necessariamente prodromo di un collasso sistemico globale rimane da dimostrare.   E soprattutto rimane opinabile che la forzante principale della crisi sia proprio l’eccesso di gente sul Pianeta.

La Bomba Demografica scoppierà ?
Alla fin fine, tutto si giocherà su questo:  A breve ci sarà un nuovo balzo produttivo, analogo a quello avvenuto fra gli anni ’60 e ’70?   Oppure un insieme di fattori correlati con la sovrappopolazione scateneranno una retroazione capace di annientare miliardi di persone?
Nel 1968 (data di pubblicazione di “the Population Bomb”) tutti i mezzi tecnologici e finanziari necessari per aumentare la produzione erano già ampiamente disponibili e collaudati.   Fu sufficiente diffonderne e coordinarne l’uso.   In definitiva, non ci fu nessun miracolo, solo la capillare applicazione all’agricoltura di metodi industriali  già ampiamente collaudati.   Ma, soprattutto, fu cruciale la disponibilità di quantità praticamente illimitate di energia ad un costo ridicolo (NB: costo, non solo prezzo).    In pratica, in 20 anni siamo diventati il primo organismo eucariota capace di mangiare petrolio e, secondariamente, metano.
Saremo in grado di integrare/sostituire questa dieta con altre fonti di energia?   Le ricette sono moltissime e spesso discordanti.   Si va dalla fusione fredda alla solarizzazione totale; dalla bioingegneria spinta alla permacoltura.   Personalmente non mi azzarderei a fare scommesse, soprattutto non vincolate ad una data precisa, ma sono scettico.
Ognuna delle tecnologie invocate ha infatti delle potenzialità, talvolta  considerevoli.   Ma il degrado del sistema politico-economico rischia di bloccarne lo sviluppo prima che queste possano dare il contributo sperato.    Insomma è tardi; forse troppo tardi.
Un altro elemento di scetticismo è il fatto che negli anni della “green devolution” una sola risorsa (il petrolio) e dunque una sola filiera industriale fu in grado di risolvere (temporaneamente) tutti i problemi.   Attualmente non si profila niente di simile all'orizzonte.   Al meglio, potremo contare su di una panoplia di risorse e di tecnologie specializzate.   Questo significa numerose filiere e reti da realizzare, incrementare, manutenzionare.   Impossibile che dia gli stessi vantaggi in termini di produttività, al netto dei costi energetici destinati a tale sviluppo.
Un terzo elemento è che il rarefarsi e degradarsi delle risorse energetiche e minerarie in entrata al nostro sistema economico non è la maggiore, né la più urgente delle emergenze.   Ancor più gravi e pressanti sono gli effetti connessi con l’inquinamento (fra cui il riscaldamento del clima) e, soprattutto, con la perdita di Biodiversità.   Quest'ultima è probabilmente l’emergenza massima in assoluto per il semplice fatto che è la Vita che mantiene sul
Effetto della Rivoluzione Verde sulla crescita demografica.
Pianeta condizioni compatibili con la Vita.    Dunque, se anche potessimo disporre di una fonte energetica inesauribile e gratuita, non avremmo risolto un bel niente.   Anzi, rischieremmo di dare il colpo di grazia al pianeta nel giro di pochissimo.
Infine, ammettendo che una qualche combinazione di tecnologie e adattamenti strutturali potesse consentirci di superare la crisi, che cosa accadrebbe?   In passato, tutte le volte che è successo qualcosa del genere, si è verificato un brusco incremento della popolazione.   Se succedesse qualcosa del genere, l’intera operazione si risolverebbe nel rilanciare il gioco, con una posta molto più alta e probabilità di successo molto più basse.   Cioè esattamente quello che è accaduto con la "rivoluzione verde".

Dalla scommessa alla speranza

Nel 1972 un certo John Calhoun ideò un'esperimento molto interessante.   Nel suo laboratorio creò un vero “paradiso per topi".   Ce ne introdusse 8 ed all’inizio la popolazione aumentò fulmineamente, poi la natalità cominciò a declinare man mano che la popolazione raggiungeva il picco di 2.200 esemplari.   Quindi, malgrado ci fosse ancora grande abbondanza di cibo, di acqua e di tane, la popolazione iniziò a declinare e non smise mai più.   Anche quando rimasero pochi topi in un’immensa gabbia colma di ogni ghiottoneria, non ne vollero più sapere di riprodursi.   Gli ultimi sorci morirono in santa pace di vecchiaia, lasciando i ricercatori interdetti.
Ovviamente, nulla garantisce che gli umani si comportino allo stesso modo.   Men che meno che lo facciano dappertutto. Tuttavia è interessante osservare che in molti paesi, oggi, la natalità è in declino e laddove le condizioni di vita peggiorano, spesso il declino si accentua.    E’ impossibile dire se questa dinamica tenderà a diffondersi e consolidarsi o meno, ma certamente contrasta con la teoria della "Transizione Demografica" ed è fonte di speranza.
Potrebbe infatti aprirsi una possibilità per uscire dalla trappola Malthusiana che né Malthus, né i malthusiani hanno previsto. Forse, se riuscissimo ad evitare il collasso del clima e della Biosfera per altri 50 anni, la popolazione potrebbe iniziare a decrescere abbastanza rapidamente da riportare quel che resta dalla Biosfera in un relativo equilibrio, senza bisogno di ecatombi bibliche e scalpitare di apocalittici cavalli.
E’ solo una speranza, ma forse la più concreta che abbiamo.   Naturalmente a condizione di piantarla di occuparci di noi stessi e cominciare a preoccuparci del sistema di cui siamo parte.   All'atto pratico, questo significa dedicare le maggiori risorse non già all'economia ed alla sanità, bensì all'istruzione, alla riduzione della natalità (là dove serve) e, soprattutto, alla conservazione della Biosfera.
Non mi sembra però che questo sia nell’agenda di nessuno.   Nemmeno della maggioranza degli ambientalisti, decrescisti e transizionisti che spesso cercano invece un modo di prolungare le proprie vite e mantenere il proprio benessere.   Comprensibilissimo, ma inutile.



martedì 28 giugno 2016

La catastrofe climatica in arrivo verso il 2020

Da “Huffington Post”. Traduzione di MR

Di Eric Zuesse 

Il primo studio che integra tutta la ricerca scientifica precedente per proiettare approssimativamente quando il cambiamento climatico produrrà conseguenze catastrofiche permanenti è stato accettato e verrà presto pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Scopre che le cose cominceranno ad andare molto male nei tropici intorno 2020 e nella nostra parte del mondo intorno al 2047.

Nature condivide con Science e PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) l'onore di essere considerate alla pari come le tre riviste scientifiche più prestigiose del mondo ed un articolo non viene pubblicato in queste riviste a meno che non abbia superato un peer-review estremamente rigoroso. Così i negazionisti climatici non avranno alcuna credibilità professionale nell'attaccare lo studio, come ci si aspetta che facciano i fratelli Koch ed i loro amici, visto che hanno un così grande profitto da ciò che causa il riscaldamento globale – la combustione di combustibili basati sul carbonio.

lunedì 27 giugno 2016

Il mestiere del capro espiatorio: le ragioni del fallimento del movimento ecologista

Questo documento di qualche anno fa, di Donella Meadows, ci racconta la storia di come i "verdi" abbiano preso il posto dei comunisti come capro espiatorio e bersaglio privilegiato per tutti i guai che ci affliggono.


Da “Donnella Meadows Institute”. Traduzione di MR

Di Donella Meadows, 4 giugno 1992

Qualche settimana fa ho avuto l'onore, presumo, di apparire National Public Radio con Dennis Avery, una persona che si autodefinisce esperto agricolo presso l'Istituto Hudson. Non avevo mai incontrato il signor Avery, ma visto che l'Istituto è un'organizzazione radicalmente conservatrice, mi aspettavo che la discussione fosse accesa.

domenica 26 giugno 2016

Politiche di immigrazione secondo Donella Meadows


Un articolo di venti anni fa, ancora perfettamente attuale, anche in relazione al Brexit. (U.B.)

Da “Donnella Meadows Institute”. Traduzione di MR

Di Donella Meadows
19 gennaio 1995

"Datemi le vostre genti stanche, i vostri poveri,
Le vostre masse accalcate che anelano a respirare libere,
I miseri reietti dei vostri lidi brulicanti,
Mandateli a me i senza casa, sbattuti dalla tempesta,
Io alzo la mia fiaccola vicino alla porta d'oro!"

Emma Lazarus ha scritto queste parole ispirate in dedica alla Statua della Libertà nel 1886. Sono scese in profondità nella psiche di questa terra di immigrati, anche se la porta d'oro di fatto non è mai stata del tutto aperta. I soli miseri reietti che abbiamo accolto in un primo momento erano quelli del Nord Europa. Abbiamo fatto entrare persone di culture non occidentali principalmente come schiavi o lavoratori a contratto. Eppure, nel corso della nostra storia, abbiamo accettato rifugiati con una grazia senza paralleli fra le nazioni. Siamo stati premiati con una popolazione variegata e talentuosa e con un'immagine internazionale che ancora brilla nonostante il suo appannamento.

venerdì 24 giugno 2016

Brexit: e ora?

Una recente intervista di Gaël Giraud si è rivelata profetica. (U.B.)


Morta l'Europa se ne fa un'altra, anzi, due.


Carlo Melato
22 giugno 2016

«In caso di Brexit c’è una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che la Germania si rafforza e diventa l’unica potenza al comando in Europa. Quella buona più che altro è una speranza: Italia, Francia, Spagna e Irlanda potrebbero iniziare chiedersi se convenga rimanere…». Non si direbbe, ma chi parla è un europeista convinto, anche se difficilmente etichettabile. Gaël Giraud ha alle spalle una brillante carriera come consulente di banche d’investimento parigine, mentre oggi concilia due vite: quella di chief economist dell’Agence française de développement e quella di prete gesuita.

Nemico della finanziarizzazione dell’economia, ma contrario alla demonizzazione della finanza, quando non dice messa siede al tavolo di Francois Hollande e lo turba con le sue teorie rivoluzionarie che si possono ritrovare nel libro Transizione Ecologica, scovato in Francia dalla casa editrice dei missionari italiani (EMI).

Professor Giraud, si può davvero essere europeisti e augurarsi la Brexit?

Prima bisogna capire che il progetto europeo, nato sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, è stato completamente tradito. Dagli anni Ottanta si è scelto di imboccare la strada senza ritorno della finanziarizzazione della società, compiutasi nel 1992 con il Trattato di Maastricht. Il risultato? La mobilità dei capitali è diventata prioritaria su quella delle persone.

Il disegno originario va ripensato perché l’Europa odierna è destinata a distruggere le economie del Sud e a riaccendere l’odio tra i popoli. Se la Brexit è l’occasione giusta, ben venga.

Sperando in una sorta di effetto domino?

Nonostante le apparenze anche chi chiede alla Gran Bretagna di rimanere si è già attrezzato. Sono a conoscenza di un “Piano B” dei governi del Nord Europa (Germania, Austria, Olanda, Finlandia, e probabilmente Lussemburgo) per costruire una “zona marco” autonoma. Nel caso mi auguro solo che la Francia rimanga fuori dal club perché insieme all’Italia rappresenta la leadership naturale dell’Europa del Sud. Questi due paesi hanno le carte in regola per costruire un nuovo sistema politico che veda alla guida i cittadini e non i banchieri.

Nel suo libro, al di là dell’ipotesi Brexit, già li invitava a fare il primo passo: sfidare la Germania e le istituzioni europee stampando moneta. Ma quali sarebbero i rischi?

Se nascesse un’eurozona del Sud, la nuova moneta, che potremmo chiamare Euro 2.0, rischierebbe di crollare sui mercati finanziari mentre la bilancia commerciale potrebbe andare in deficit. L’inflazione a quel punto sarebbe una conseguenza inevitabile. Tenga conto però che questa è una buona notizia, dato che oggi siamo nella trappola molto più pericolosa della deflazione.

Ma continuiamo pure l’elenco dei guai possibili: potremmo avere problemi di accesso ai mercati finanziari per finanziare i debiti sovrani e gli spread italiani e francesi non tarderebbero ad esplodere.

E quali sarebbero le possibili contromosse?
Stampare la nuova moneta comune in modo da avere nella nuova eurozona diverse denominazioni nazionali il cui tasso di cambio verrebbe deciso a livello politico, senza tenere conto della schizofrenia dei mercati finanziari.
In questo modo potremmo ad esempio svalutare la valuta greca del 50% per le sole transazioni interne all’eurozona del Sud – in modo da dare ossigeno a un Paese messo in ginocchio dall’austerity – e allo stesso tempo, all’esterno, mantenere una valuta forte per poter comprare petrolio.

Fin qui tutto bene, anche se bisogna aspettarsi l’opposizione di qualcuno.

A chi si riferisce?
Alle banche. Se decidessimo ad esempio di procedere con una svalutazione in Italia molti istituti bancari del vostro Paese andrebbero in bancarotta, avendo molto debito privato denominato in altre monete.

Anche in questo caso però non vedo grossi problemi: basta nazionalizzarle e forzarle a fare il loro mestiere: lavorare per l’economia reale e non per le speculazioni finanziarie.

A quel punto questa nuova eurozona, liberata dai vincoli attuali, potrebbe realizzare quella che lei chiama la “transizione ecologica”?
Esattamente. Occorre affrontare al più presto la questione energetica e quella ambientale, rinnovando gli edifici dal punto di vista termico, ripensando la mobilità, liberandoci dalla dipendenza dal petrolio. D’altronde siamo costretti ad andare verso un’economia post-carbone, basta non chiudere gli occhi davanti ai dati allarmanti dell’inquinamento e del surriscaldamento globale. Si tratta di un programma costoso, ma in grado di creare milioni di posti di lavoro.

Portare avanti un programma del genere al di fuori di uno scenario in cui l’Europa si divida in due non è possibile?
Purtroppo no. Se oggi un governo democratico volesse sposare la transizione ecologica la Bce e le banche private glielo impedirebbero. Chiuderebbero i rubinetti dicendo che non produce profitti a breve termine. La colpa, come spiegavo prima, è antica: abbiamo scelto di privatizzare la moneta e di incatenare gli Stati.

Oggi occorre solo essere coscienti della situazione e attrezzarsi a ciò che prima o poi accadrà. Mi auguro per l’Italia che Renzi abbia imparato la “lezione greca” e lo stia facendo. Altrimenti continuerà a puntare tutto su una ripresa che purtroppo però non può arrivare…

giovedì 23 giugno 2016

Perché Gianni l'idraulico non vuole l'energia rinnovabile

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR


Gianni (Joe) l'idraulico è una persona vera, ma anche un'astrazione per indicare l'operaio metalmeccanico americano pieno di problemi.


In un post precedente, ho sostenuto che una transizione globale al 100% di energia rinnovabile sarebbe molto costosa, ma possibile, e che potrebbe anche essere sufficientemente rapida da evitare di superare gli obbiettivi di emissioni stabiliti dalla COP21. Questa opinione ha innescato il solito flusso di commenti negativi, basati principalmente su vecchie fandonie o ragionamenti ideologizzati. Ha generato anche una discussione in un forum privato dove si è sostenuto che potremmo fare la transizione se potessimo convincere l'opinione pubblica che l'energia rinnovabile è una cosa buona. Mi sono trovato in parziale disaccordo con questa interpretazione ed ho risposto con un commento che riproduco qui, con poche modifiche.  


Tutti i sondaggi indicano che la “opinione pubblica” è ampiamente favorevole all'energia rinnovabile, eccetto una minoranza dura a morire che sfoga le proprie frustrazioni commentando i post che non gli piacciono. Quindi non ci serve un grande sforzo per convincere "Gianni l'idraulico" che l'energia solare è una buona idea.

Sfortunatamente, è più probabile che Gianni non abbia soldi sufficienti per installare pannelli solari nel suo giardino. Al contrario, probabilmente è in rosso e se qualcuno se ne esce dicendogli, “guarda, la tua bolletta elettrica è il risultato dei sussidi all'energia rinnovabile”, lui ci crederà. Probabilmente continuerà a pensare che l'energia solare è una buona idea, ma non vorrà pagare per averla (né, in generale, per qualsiasi cosa collegata alla “sostenibilità” o a “combattere il cambiamento climatico”).

Alla fine, non importa granché ciò che pensa o fa Gianni. Il punto è come convincere quella entità nebulosa che chiamiamo “sistema finanziario” a convogliare grandi quantità di denaro in energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. E con grandi intendo GRANDI: se i grandi investitori non si muovono, e velocemente, siamo spacciati.

La difficoltà del problema è evidente se consideriamo ciò che è successo durante l'ultimo decennio, quando il “sistema finanziario” ha riversato enormi quantità di denaro nell'industria del gas e del petrolio di scisto. E conosciamo tutti la storia della grande bolla che sta scoppiando proprio in questo momento. Ma non è solo una questione di soldi: è stato un incredibile uso scellerato delle risorse che ha condizionato l'intera civiltà, una cosa che potrebbe averla anche condannata definitivamete, anche in termini di grandi quantità di gas serra emessi e che non avevano bisogno di essere emessi.

Non riesco a non pensare, “e se tutti i soldi e le risorse fossero state usate per le rinnovabili, invece?” Il mondo oggi sarebbe del tutto diverso. Quindi chi ha deciso di spingere tutti quei soldi nella direzione sbagliata? Gli gnomi di Zurigo? I Troll di Budapest? I Goblin di Southampton? Gli Orchi di Bratislava? Chi?

Penso sia questo il nocciolo della questione. Come potete vedere nel mio post, gli investimenti in energia rinnovabile sembrano essersi stabilizzati dopo il 2011.




E questo è MOLTO preoccupante. D'altra parte, è anche vero che vediamo una tendenza all'aumento durante gli ultimi due anni. Ciò potrebbe indicare un ritorno di interesse del sistema finanziario per le rinnovabili. E l'impressione è che, sì, che ci sia una chiara tendenza in quella direzione. Pertanto forse abbiamo una possibilità, ma ci dobbiamo muovere.

h/t Adam Siegel