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mercoledì 3 luglio 2019

Se una cosa non è menzionata nei media, allora non esiste: ecco perché lo Yemen non ha mai prodotto una goccia di petrolio




L'ultimo post che ho pubblicato sul "Fatto Quotidiano" non ha avuto gran successo, almeno a giudicare dal piccolo numero di commenti. Forse per il titolo, un po' fiacco, o forse per il soggetto: il turismo a Firenze considerato come risorsa esauribile, un po' come il petrolio. Niente di male, non tutti i post "sfondano."

Ma dai commenti a quello che pubblichi si impara sempre qualcosa. In questo caso, mi arriva questa signora (presumo) che si nicknomina "Porpessa de Scuoglio." Lasciamo stare la questione del Venezuela, se ne può discutere ma il problema che hanno con il petrolio non è l'embargo, perlomeno non solo quello. Piuttosto, la cosa strabiliante è la sicumera con la quale la signora Porpessa mi spiega che "Lo Yemen non ha mai prodotto una goccia di petrolio"

Ora, non pretendo che i lettori del "Fatto Quotidiano" si intendano di petrolio. Resta il fatto che dire che "Lo Yemen non ha mai prodotto una goccia di petrolio" è un po' come dire, che so, che "L'Italia non ha mai prodotto un grammo di mozzarella." Se uno Yemenita avesse detto una cosa del genere gli dareste giustamente dell'ignorante.

Per vostra curiosità, ecco qui i dati sulla produzione di petrolio in Yemen.

Ai tempi d'oro, la produzione Yemenita di 450mila barili al giorno era una quantità più che discreta. Certo, non paragonabile alla produzione dei giganti tipo Arabia Saudita o USA, ma insomma faceva un buon 20% di quello che produce il Kuwait, ben noto per essere un paese ricco di petrolio. In ogni caso, grande o piccola che fosse, era un elemento essenziale dell'economia dello Yemen.

Notate anche come la produzione yemenita ha raggiunto un picco e poi ha cominciato a scendere per via del graduale esaurimento. Vi ricordate di un signore chiamato "Hubbert?" -- ecco, lo Yemen è uno dei casi che validano la sua teoria. I grossi guai in Yemen sono cominciati quando la curva della produzione ha intersecato quella del consumo, azzerando le esportazioni. E' a quel punto che è cominciata la guerra, tuttora in corso.

Ma di Yemen ne ho già parlato in un post di qualche anno fa. Quello di cui vi volevo parlare è dell'Italia -- ovvero di come da noi viene condotta quella cosa chiamiamo "dibattito." Magari il dibattito in Yemen è anche peggio che da noi, non lo so, ma come è possibile che uno/a si attacchi alla tastiera sparando la prima scemenza che gli viene in mente e voglia anche ragione?

La risposta è che questa vicenda ha una sua logica che si può riassumere in una singola frase: Se una cosa non si legge sui giornali o non si sente dire in TV, allora non esiste.

Vista in questa logica, la reazione della signora Porpessa si spiega perfettamente: non avendo mai sentito dire in TV che lo Yemen produce o produceva petrolio, ne consegue che non ne produce e non ne ha mai prodotto.

Ora, non so se vi rendete conto che è un fatto di per se evidente che la sig.ra Porpessa è in grado di leggere, scrivere, e usare l'Internet quel tanto che basta da mandare un messaggio in una forma grammaticale comprensibile, seppure completamente insensato in termini di conteunuti. La conseguenza terrificante è che la signora Purpessa sarebbe perfettamente in grado di digitare sulla tastiera nel box di Google "Petrolio" e "Yemen" per trovare dati e spiegazioni  - prende circa 30 secondi. Ma, evidentemente, non lo può o non lo vuole fare. O forse entrambe le cose.

Forse per qualche carenza culturale, blocco psicologico, forse semplicemente un atteggiamento. Non saprei dire, ma non è certamente la sola (*). Il dibattito che chiamiamo "politico" è tutto così: ognuno tira fuori e poi difende accanitamente la prima cosa che gli/le viene in mente, tipicamente sostenendo qualcosa che ha sentito dire in TV o, peggio, negando l'esistenza di qualcosa di cui NON ha sentito dire in TV.

Insomma, non so se c'era bisogno della sig.ra Porpessa per capire che quella cosa che si chiama "dibattito politico fra cittadini informati" si trova forse in altri universi, ma non nel nostro. Avevo questa impressione anche prima, diciamo che l'intervento della Porpessa me la ha rinforzata notevolmente.

Lo diceva già Karl Rove al tempo della guerra in Iraq che la realtà è qualcosa che si può creare. A quel tempo, erano riusciti a creare dal nulla le "armi di distruzione di massa" in Iraq. Ma è anche vero che la realtà la possiamo anche fare sparire nel nulla semplicemente evitando di menzionarla in TV-- come il petrolio dello Yemen. Il che mi sembra anche peggio - perlomeno in termini di conseguenze potenziali. Ma che ci volete fare? Si vede che l'universo funziona così.



(*) nota -- non avevo ancora pubblicato questo post, quando ho visto questo commento al mio post sul turismo ripubblicato sul blog di Miguel Martinez



E, appunto, dicevo che la Porpessa non è la sola ( e notare che la Siria, al suo picco, produceva più dello Yemen). Semmai ci fosse stato bisogno di conferme.....





lunedì 21 dicembre 2015

La “Malattia siriana”: ciò che il petrolio greggio dà, il petrolio greggio toglie

Da “Cassandra's Legacy” (She's back!). Traduzione di MR

Di Ugo Bardi




Qui di seguito sostengo che le origini del collasso siriano si devono cercare nel collasso economico generato dal graduale esaurimento delle riserve petrolifere siriane. Il petrolio greggio ha creato la Siria moderna, il petrolio greggio l'ha distrutta. Questo fenomeno può essere definito “Malattia siriana” e la domanda è: “qual è il prossimo paese che verrà contagiato?” 


Il petrolio greggio è una grande fonte di ricchezza per i paesi che lo posseggono. Ma è anche una ricchezza che si manifesta come un ciclo. Di solito, il ciclo copre diversi decenni, persino più di un secolo, quindi coloro che ci vivono potrebbero non cogliere per niente il fatto di essere diretti verso la fine della loro ricchezza. Ma il ciclo è più rapido e particolarmente visibile in quelle aree in cui la quantità di petrolio è modesta. Qui, ricchezza e miseria appaiono una di seguito all'altra in una drammatica serie di eventi.

giovedì 19 novembre 2015

Siria, cambiamento climatico e l'orrore di Parigi

Da “Resource Insight”. Traduzione di MR

Di Kurt Cobb

Mentre il mondo piange coloro che sono morti a Parigi la scorsa settimana con una follia omicida per la quale lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS) ha già rivendicato la responsabilità, giornalisti e commentatori hanno discusso le motivazioni che stanno dietro agli attacchi. Non sono certo se qualcuno finora abbia considerato se si possa disegnare una linea che va dalla grave siccità in Siria a queste uccisioni di massa. La mia personale risposta è che se c'è una linea – e credo che ci sia – questa deve avere preso molte curve e deviazioni prima di arrivare a Parigi. Anche così, potrebbe avere senso, per coloro che tra poco si raccoglieranno in questa città in lutto per negoziare un nuovo trattato climatico, capire ogni connessione del genere. Perché sullo sfondo di questi eventi, c'è una Siria assetata di acqua, quasi sicuramente a causa del cambiamento climatico. Uno studio pubblicato all'inizio dell'anno suggeriva che il primo collegamento nella catena causale che ha portato all'attuale conflitto in Siria è stata una grave siccità durata dal 2006 al 2009, una siccità che ha fornito una delle prove più forti fino a questo momento del collegamento fra cambiamento climatico e siccità sempre più estreme. Come ha scritto il The New York Times nel marzo scorso:

Alcuni scienziati sociali, politici ed altri hanno precedentemente suggerito che la siccità ha giocato un ruolo nei disordini in Siria e i ricercatori si sono occupati anche di questo, dicendo che la siccità “ha avuto un effetto catalizzatore”. Hanno citato studi che hanno mostrato che l'aridità estrema, insieme ad altri fattori, comprese politiche agricole e di uso dell'acqua sbagliate da parte del governo siriano, hanno causato la perdita dei raccolti che hanno portato alla migrazione di 1,5 milioni di persone dalle aree rurali a quelle urbane. Questo si andato ad aggiungere agli stress sociali che alla fine sono sfociati nella rivolta contro il presidente Bashar al-Assad nel marzxo del 2011.
Così, il cambiamento climatico non è una spiegazione sufficiente per il conflitto siriano né per gli orribili e brutali attacchi sui civili francesi. Di fatto, l'ISIS aveva minacciato la Francia molto prima che l'esercito francese entrasse nel conflitto alla fine di settembre. Ciononostante, il cambiamento climatico sembra essere il primo collegamento in una lunga catena di eventi che coinvolgono una miriade di gruppi e paesi che alla fine ha portato agli attacchi a Parigi, attacchi che si crede siano una rappresaglia contro gli attacchi aerei francesi contro l'ISIS. Non è tanto che il cambiamento climatico fa diventare violente le persone, quanto che inasprisce le loro tendenze violente. La mancanza d'acqua e la perdita dei raccolti possono rendere le persone molto, molto arrabbiate – arrabbiate e suscettibili con coloro che promettono vendetta contro coloro che vengono percepiti come i perpetratori dei loro problemi. Ma non si può combattere il cambiamento climatico con le pistole. Così, quando escono fuori le pistole, queste vengono puntate contro le persone per motivi che pochi fanno risalire al cambiamento climatico. Rimostranze latenti, vecchie e nuove, possono trovare espressione, pare, nel conflitto armato, quando il calore del riscaldamento globale viene alzato così tanto.

La principale preoccupazione a Parigi ora è per la sicurezza delle migliaia di scienziati, politici, persone in affari, giornalisti e capi mondiali che arriveranno in città per la United Nations Framework Convention on Climate Change fra il 30 novembre e l'11 dicembre. Entrerà nella mente dei partecipanti che i selvaggi attacchi di Parigi sono in qualche modo collegati al cambiamento climatico? La più ampia opinione pubblica mondiale vedrà il collegamento? Noi umani abbiamo una naturale tendenza a combattere per le cose che vogliamo e di cui abbiamo bisogno, come acqua, cibo e risorse energetiche. Il cambiamento climatico renderà la nostra capacità di ottenere tutto questo o più difficile (cibo ed acqua) o più problematica (gas serra da risorse energetiche da combustibili fossili). Un maggiore conflitto su questi fondamentali collegati al cambiamento climatico non possono essere lontani. E ciò significa che i colloqui sul clima in arrivo a Parigi non saranno solo sul clima. Saranno anche sul conflitto e la pace. Senza un progresso sostanziale sul cambiamento climatico è probabile che vedremo sempre più conflitti che cominciano con la privazione portata dal cambiamento climatico, che si trasformano rapidamente in guerra con dimensioni ideologiche, etniche e religiose che inghiottiranno intere regioni. Molti lettori forse conoscono il vecchio adagio sulla relazione fra pace e giustizia: “Se vuoi la pace, lavora per la giustizia”. A questo oggi dobbiamo aggiungere una nuova variazione: “Se vuoi la pace, devi lavorare per politiche e pratiche che affrontino seriamente il cambiamento climatico”. Che i negoziatori di Parigi possano trovare il coraggio di fare proprio questo.



sabato 4 aprile 2015

Marzo 2015: più guerre per il petrolio

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR


Cari lettori,

l'evento che ha segnato di più lo scorso mese, per quanto concerne i temi che vengono trattati su questo blog, è stata l'internazionalizzazione del conflitto in Yemen. Dalla fine del 2014 la situazione di guerra civile in quel paese era già chiara, ma è stato solo quando il presidente di ciò che rimaneva della struttura statale ha abbandonato la capitale e il paese, assediato da una fazione sciita, che i paesi circostanti, specialmente l'Arabia Saudita, non si sono decisi ad agire. In tempo record, una coalizione di 15 paesi arabi, condotta dall'Arabia Saudita, ha dato inizio ad un'ondata di attacchi aerei senza decidersi ancora ad invadere il paese, nonostante alcune scaramucce alla frontiera.