domenica 6 aprile 2014

Tesoro, ho mitigato il cambiamento climatico

Da “Skeptical Science”. Traduzione di MR

Di Ari Jokimäki

Le azioni della specie umana rilasciano gas serra nell'atmosfera. Le concentrazioni di gas serra sono aumentate causando il riscaldamento della Terra, che è stato evidente durante gli ultimi decenni. Questo riscaldamento globale procede così rapidamente che causa problemi sia alla biosfera si alla specie umana. Queste preoccupazioni sono state ampiamente notate e l'atteggiamento generale è che dovremo fare qualcosa per questo problema il prima possibile. Ci sono già alcuni tentativi limitati di fare qualcosa. Anche se le decisioni di politica internazionale non sono state tempestive, c'è stata qualche azione da parte di diverse nazioni, multinazionali, gruppi di cittadini e singoli cittadini.

Il problema è in gran parte nella produzione di energia, Perché per quella al momento usiamo principalmente combustibili fossili, che rilasciano molti gas serra in atmosfera quando vengono bruciati. Stiamo pertanto cercando di sostituire i combustibili fossili con qualcosa che non rilasci così tanti gas serra nell'atmosfera. Esempi di tali metodi di produzione di energia sono l'energia eolica e quella solare. Queste due sono chiaramente delle buone opzioni. Tuttavia, alcune delle opzioni non sembrano essere così buone.


I problemi del gas naturale con perdite ed aerosol

Ci sono alcuni combustibili fossili che rilasciano diverse quantità di gas serra nell'atmosfera. Uno di questi combustibili fossili è il gas naturale, che rilascia chiaramente meno gas serra quando viene bruciato rispetto al carbone e al petrolio. Questa è una delle ragioni per cui sono stati fatti molti sforzi per aumentare l'uso del gas naturale. Sfortunatamente, considerare soltanto la quantità di gas serra rilasciati quando il gas viene bruciato è una visione piuttosto semplicistica. Ultimamente è stato riconosciuto che la produzione di gas naturale rilascia metano nell'atmosfera attraverso le perdite dai siti di raccolta e dalle condutture di trasporto. Questo potrebbe negare i benefici in termini di gas serra ottenuti durante la combustione. Se solo una piccola percentuale di gas naturale viene perso sotto forma di metano nell'atmosfera, allora l'uso del gas naturale non ha affatto benefici in termini di gas serra in confronto al carbone e al petrolio. Alcuni studi hanno riportato perdite molto superiori.  

Da una prospettiva climatica, c'è anche un altro problema nel sostituire il carbone col gas naturale. Bruciando gas naturale si rilasciano meno aerosol nell'atmosfera rispetto al carbone. Gli aerosol hanno un effetto raffreddante sul clima, quindi riducendo le emissioni di aerosol causa un effetto riscaldante. Pertanto, sostituire il carbone col gas naturale ha un effetto riscaldante aggiuntivo (Hayhoeet al. 2002). Questo è un effetto a breve termine, comunque, ma l'effetto ha una tempistica per cui avviene proprio quando pensavamo che avremmo mitigato il riscaldamento globale sostituendo il carbone col gas naturale. Tuttavia, dobbiamo ricordare che gli aerosol hanno effetti pericolosi sulla salute umana, quindi ridurre le emissioni di aerosol potrebbe avere qualche beneficio sulla salute. 

Problemi di uso del territorio della bioenergia

Lo schema di base della bioenergia è imperniata sull'idea che coltiviamo piante e quindi le bruciamo per ottenere energia. La combustione rilascia gas serra, in special modo biossido di carbonio, ma coltiviamo il lotto successivo di piante che prendono biossido di carbonio dall'atmosfera mentre crescono. La quantità di biossido di carbonio preso dall'atmosfera è la stessa che viene rilasciata quando bruciamo le piante. Quindi, idealmente, questa è un'energia a zero emissioni. L'enfasi qui è fortemente sulla parola “idealmente”, perché sappiamo che questa non è davvero un'energia netta pari a zero (anche se qualcuno, persino qualche ricercatore, continua ancora a sostenerlo). Primo, il trasporto della biomassa e la produzione di bioenergia producono un po' di emissioni di gas serra che già la rendono un'energia a emissione maggiore di zero. 

Secondo, durante gli ultimi anni, la ricerca su questo tema ha scoperto che l'uso di territorio collegato alla produzione di bioenergia produce enormi emissioni di gas serra quando le foreste vengono in qualche modo incluse nello scenario di produzione di bioenergia. Le emissioni provenienti dall'uso del terreno sono grandi abbastanza da produrre inizialmente emissioni simili o addirittura maggiori dei combustibili fossili. Le emissioni diventano minori col tempo, ma per molti scenari di produzione di bioenergia i tagli delle emissioni non sono molto grandi, anche dopo un centinaio di anni. Per alcuni scenari, le emissioni di gas serra della bioenergia sono maggiori di quelle dei combustibili fossili, anche dopo cento anni. Ci sono alcuni scenari in cui la bioenergia può essere una buona opzione, però. Un tale scenario è quello di coltivare piante per bioenergia in terreni agricoli degradati. 

Tuttavia, al posto di concentrarsi sugli scenari bioenergetici buoni, tagliamo foreste fuori mano  pluviali per fa spazio alle piantagioni di palma da olio. Bruciamo persino le foreste fuori mano (Suyantoet al. 2004). Tagliamo le foreste per sostituirle con campi di mais per produrre biocombustibili. In casi del genere il carbonio immagazzinato, che la foresta ha sequestrato nel suolo, viene rilasciato nell'atmosfera. Tutto questo risulta in enormi emissioni di biossido di carbonio. 

Scenario peggiore

E se usassimo molto gas naturale e bioenergia collegata alle foreste per sostituire carbone e petrolio e se le emissioni di gas serra da gas naturale e bioenergia sono grandi come abbiamo detto sopra? In un caso del genere avremmo sostituito carbone e petrolio con fonti di energia che hanno emissioni di gas serra maggiori di carbone e petrolio, almeno in una finestra di 100 anni. Ma questa non è ancora tutta la storia. Abbiamo sostituito carbone e petrolio con qualcosa che pensavamo avesse meno emissioni, quindi non abbiamo fatto molto altro per ridurre quelle emissioni. Questo significa che non solo abbiamo aumentato le nostre emissioni, abbiamo anche perso riduzioni potenziali di emissioni – situazione il doppio peggiore di quella che pensavamo di avere. La situazione nella vite reale potrebbe non essere disastrosa come descritto qui, ma potrebbe anche esserlo. Dovremmo rischiare?

Riferimenti

Katharine Hayhoe, Haroon S. Kheshgi, Atul K. Jain, Donald J. Wuebbles, 2002, Sostituzione del carbone col gas naturale: effetti climatici delle emissioni del settore degli impianti, Cambiamento Climatico, luglio 2002, Volume 54, numeri 1-2, pp 107-139, DOI: 10.1023/A:1015737505552.[abstract, testo completo
Suyanto, S., G. Applegate, R. P. Permana, N. Khususiyah e I. Kurniawan. 2004. Il ruolo del fuoco nel cambiamento d'uso del terreno e dei mezzi di sussistenza a Riau-Sumatra. Ecologia e società 9(1): 15..[abstract e testo completo



sabato 5 aprile 2014

Come vi aspettate che sia il mondo post-picco? Leggetelo qui




Lo Yemen è un caso interessante di una curva di produzione petrolifera che è un esempio da manuale di "curva di Hubbert". C'è poco da fare: il petrolio non dura per sempre. Così, la lettura di "Yemen Times"; in inglese, è una scoperta continua di come l'altro lato della curva di Hubbert porti a un'involuzione sociale che fa ripercorrere indietro a un paese tutte le tappe che, un tempo, lo avevano portato a un discreto livello di prosperità salendo sul lato buono della curva. Ma se la prosperità di un paese dipende dal petrolio, quando finisce l'abbondanza petrolifera, addio prosperità! (e questo non vi ricorda qualcosa di molto più vicino a noi dello Yemen?) (U.B.)



Da “Yemen Times”. Traduzione di MR

La mancanza di gasolio e propano costringe a chiudere le stazioni di servizio nella capitale


Di Ali Ibrahim Al-Moshki 

Sana’a, 17 marzo – I distributori intorno alla capitale hanno dovuto chiudere questa settimana a seguito delle maggiori carenze di gasolio e gas propano. L'ultima grave carenza di gasolio era avvenuta nel novembre del 2013, quando migliaia di automobilisti sono stati costretti a mettersi in fila davanti alle pompe di benzina in tutto il paese per comprare diesel e propano. A seguito dell'ultima grave carenza, la gente ha cominciato a parcheggiare le proprie auto in attesa che arrivi il combustibile.

Il tassista Fuad Al-Jaledi ha detto a Yemen Times, “Ho fatto la fila per un'intera giornata per comprare gasolio, ma il distributore l'ha finito e sono tornato a casa a mani vuote”. Senza combustibile, Al-Jaledi dice che è stato senza lavorare per due giorni. “Per due mesi è stato difficile per noi comprare gasolio e questa settimana i distributori l'hanno finito del tutto. Non posso lavorare ora, perché il mio taxi è diesel”, ha detto.

Il gasolio è disponibile al mercato nero – a prezzi più alti, secondo Al-Jaledi. Le forniture di benzina regolare sono anch'esse a singhiozzo, ma più facilmente disponibili del gasolio. Un litro di gasolio costa 100 Riyal (circa 46 centesimi al litro, o 1,76 dollari a gallone). Mohammed Al-Aizari, il proprietario di un distributore a Sana’a, dice che anche dopo l'inizio della carenza di gasolio due mesi fa, il distributore riceveva comunque consegne periodiche. Al-Aizari dice che vendeva 12.000 litri di gasolio in due giorni, ma ora vende la stessa quantità in due o tre ore. “La gente si è messa in coda davanti al distributore ed alcuni hanno persino dormito in macchina ma, siccome non abbiamo ricevuto alcuna consegna, abbiamo deciso di chiudere”, ha detto Al-Aizari said.

Nella sua ultima sessione di giovedì, il Parlamento ha costituito un comitato per studiare le ragioni che stanno dietro alla scarsità di gasolio e per coordinarsi con gli organi di governo interessati per trovare i mezzi appropriati per assicurare una fornitura regolare di gasolio sul mercato. Il comitato riferirà al Parlamento entro una settimana. La Compagnia Petrolifera di Bandiera dello Yemen (Yemen Petroleum Company), in una dichiarazione di sabato, ha negato le voci secondo le quali il governo intende aumentare i prezzi del gasolio, secondo l'agenzia di Stato Saba. La compagnia ha detto che il gasolio viene regolarmente consegnato ai distributori, ma che l'attuale domanda alta ha portato questa carenza. Al-Aizari crede che le voci degli aumenti del gasolio stiano portando alcuni ad accaparrarsi il combustibile. In una dichiarazione finanziaria rilasciata sabato, la Banca Centrale dello Yemen ha detto che il sabotaggio degli oleodotti ha causato un declino della produzione di combustibile non raffinato. La banca ha detto che il governo ha dovuto importare grandi quantità di derivati del petrolio per soddisfare la domanda interna del paese – per una cifra di 258 milioni di dollari nel solo gennaio 2014.

ESSERE RESILIENTI O NON ESSERE RESILIENTI? QUESTO È IL PROBLEMA.

di Jacopo Simonetta



Man mano che il tempo passa, la narrativa e la retorica dello sviluppo sostenibile si diffondono nel mondo politico ed economico, mentre scompaiono da quello della ricerca scientifica.   Oramai, al di la dei tecnicismi e di comprensibili pudori, gli “addetti ai lavori” sono sostanzialmente concordi: è tardi.   L’autobus della sostenibilità è passato, ora cerchiamo di prendere quello della resilienza.   Ma che cos'è la resilienza?    In generale, la capacità di qualcosa a reagire ad uno shock, tornando ad uno stato simile al precedente dopo un tempo più o meno lungo.   Una molla è resiliente.   Un bosco che ricresca dopo un taglio anche, così come una popolazione che recuperi dopo un’epidemia od una carestia.

Parlando di noi stessi, significa che bisogna adattarsi al mutare dei tempi, modificando in modo più o meno radicale la nostra visione del mondo, il nostro modo di vivere, le nostre aspettative, eccetera.   Siamo sicuri di volerlo fare?
Per finalità puramente pratiche, Orlov propone uno schema di valutazione del rischio articolato secondo l’intensità della crisi ed il livello di preparazione alla medesima.    In pratica, vi sono quattro combinazioni possibili:  

A - Non ti prepari ed il collasso economico non avviene: tutto OK, non cambia niente.  
B – Non ti prepari ed avviene il collasso: sei in guai molto, molto grossi.  
C – Ti prepari ed avviene il collasso: sei nei guai, ma molto meno che nel caso precedente.  
D – Ti prepari e non avviene il collasso: hai fatto la figura dello scemo.

In conclusione, il peggio che può succedere preparandosi è passare da stupido e spendere male i propri soldi, mentre il peggio che può accadere a chi è impreparato è morire di fame.  Quindi conviene prepararsi, conclude Orlov.    Inoppugnabile, ma se si pensa seriamente a porre in atto una strategia di resilienza, già a livello di analisi preliminare, emergono immediatamente una serie di problemi.   L’elenco non è completo, è solo un contributo alla discussione.

1 – Innanzitutto, siamo sicuri di intraprendere questa strada?   L’uomo, al pari degli altri animali è tendenzialmente abitudinario e tende a valutare il futuro sulla base dell’esperienza passata, ma quello che sta accadendo non ha precedenti nell'esperienza personale di nessuno.   Il primo scoglio da superare è quindi crederci abbastanza da cambiare in misura sufficiente la propria visione del mondo e le proprie scelte; cosa che genera immediatamente uno stato di stress molto forte.   Da un lato, infatti, tutto il tessuto sociale e culturale in cui siamo inseriti ci dice che sono momenti duri, ma passeranno e tornerà il benessere per noi; prima o poi arriverà anche per quelli che ancora lo aspettano.   Dall'altro, le nostre letture e riflessioni ci dicono che il sistema economico che ha permesso alla popolazione mondiale di passare da circa 2 miliardi a quasi 8 è irreparabilmente condannato, ma nessuno è in grado di dirci esattamente con quali conseguenze.   Evidentemente, è forte il rischio di isolarsi dalla maggior parte delle persone, che vi considereranno dei fissati o degli iettatori, mentre l’assidua frequentazione  di circoli più o meno catastrofisti rischia di generare visioni apocalittiche, finanche maniacali.
 
2 - Quanto e come prepararsi?   Le possibilità sono praticamente infinite, si va dall'abbassare il termostato di casa od iscriversi ad un GAS, fino al costruire una fortezza stivandola con scorte di viveri e munizioni.   Per decidere sarebbe necessario avere delle idee chiare sulle minacce da affrontare, mentre disponiamo solo indizi molto vaghi circa cosa accadrà e quando    Secondo i modelli esistenti, probabilmente il collasso del sistema economico globale inizierà nel giro di 10-20 anni da ora, ma potremo saperlo per certo solo dopo che sarà accaduto.   Quindi, da un lato c’è abbastanza tempo da indurci a non abbandonare una vita ancora comoda per la maggioranza di noi.   D’altro lato, 10 o 20 anni sono pochissimi per prepararsi davvero a quello che potrebbe succedere, soprattutto tenendo conto che, man mano che la situazione si degraderà, saranno meno numerose le opzioni possibili.   La cosa ha dei risvolti pratici immediati e consistenti.   Ad esempio: investire i risparmi in BOT o comprare argenteria da seppellire in giardino?   Mantenere il proprio posto alla poste o andare a fare il volontario presso una fattoria sperduta?   Seguire una formazione da installatore di pannelli fotovoltaici od imparare a sparare?

3 – La parola “collasso” evoca scenari apocalittici che possiamo intravedere in anteprima in varie parti del mondo, ma non è affatto detto che sia un fenomeno repentino, perlomeno non in rapporto ad una scala temporale umana.   In realtà, la “tempesta perfetta” che sta cominciando a scatenarsi sulle nostre teste è composta da un gran numero di fenomeni parzialmente correlati fra loro.   Alcuni di questi tendono ad indurre crisi croniche e graduali (ad es. il degrado dei suoli, il cambiamento climatico, il peggioramento quali-quantitativo delle risorse idriche ed energetiche, ecc.).   Altri, viceversa, possono colpire in qualunque momento in maniera anche molto violenta (tempeste, sommosse, crisi finanziarie, ecc.).   Altri hanno tempi di sviluppo intermedi (come la possibilità di insediamento di governi totalitari, ecc.)    Altri fattori, infine, avranno un ruolo marginale nella fase di collasso, ma saranno invece cruciali per determinare se e quando ci potrà essere una stabilizzazione o, magari, una ripresa (ad es. la biodiversità). Quali fra questi prevarranno?   Vivremo un collasso repentino e violento alla Orlov, oppure uno graduale e deprimente alla Greer?   Anche in questo caso lo potremo sapere solo dopo, ma come prepararsi se non sappiamo quali sono esattamente le minacce?
4 – Il fatto che il sistema socio-economico globale collassi non significa assolutamente che tutto e dovunque collassi allo stesso modo e nello stesso momento.   Al contrario, l’aggravarsi della crisi provocherà una graduale disarticolazione del sistema globale in sotto-sistemi progressivamente meno interdipendenti.   Nel tempo, le traiettorie evolutive delle singole zone potranno quindi divergere anche di molto in rapporto ad un gran numero di fattori locali (popolazione, risorse, guerre, clima, ecc.).   Cosa accadrà nelle zona dove viviamo noi?    Nessuno lo può sapere e, nuovamente, si pone il problema di prepararsi a qualcosa che, in realtà, non si sa cosa sia.

5 – Mentre ci si prepara per il mondo di domani, bisogna continuare a vivere nel mondo di oggi.   Barcamenarsi contemporaneamente fra le leggi della natura, quelle del mercato e quelle dello stato è un arduo esercizio dai risultati molto aleatori.   Ad esempio, è sicuramente possibile creare una fattoria in grado di funzionare senza petrolio e senza denaro, ma si dovranno comunque pagare tasse, assicurazioni, cure per i malati ed altre cose obbligatorie o necessarie. Ci vorranno dunque dei soldi, ma per guadagnarne bisogna essere inseriti efficacemente in quell'economia di mercato cui ci si dorrebbe sottrarre.    

6 – Ultimo, ma forse principale problema, è il fatto che l’unità di sopravvivenza dell’umanità non è l’individuo, ma la comunità.   Questo comporta la necessità di associarsi ad altri per elaborare e realizzare un progetto comune, sia che si tratti di un GAS che di una fortezza..   Una cosa che moltiplica le difficoltà citate in modo molto notevole.

Queste sono solo alcune delle difficoltà che si incontrano in fase di progetto.   Quelle che sorgono nelle fasi di eventuale realizzazione e gestione sono, ovviamente, molto più numerose.   Nell'insieme, le probabilità di successo sono scarse.    Diciamo anzi che un successo pieno è praticamente impossibile; il meglio che si può sperare è un successo parziale. Niente di strano, dunque, se la maggior parte delle persone potenzialmente interessate si scoraggi.

In definitiva, la scelta si gioca sulle probabilità di successo del nostro progetto, ma soprattutto sulla diversa probabilità che i due scenari peggiori (dimostrarsi stupido, oppure morire di fame) si concretizzino davvero.   E questo è qualcosa che tocca le più profonde radici antropologiche dei nostri modi di pensare e di sentire, così come si sono evoluti attraverso le generazioni e le vicissitudini.   Calamità ne sono sempre accadute, ma quello che ci indicano i dati registrati ed i modelli di previsione in materia di popolazione, economia, clima, funzionalità degli ecosistemi ed altro è qualcosa che non ha assolutamente precedenti storici, né per intensità, né per vastità dei fenomeni coinvolti.   Lo studio della preistoria ci insegna, è vero, che mutamenti climatici ed estinzioni di massa anche più importanti e veloci di quelli in corso (o probabili nel prossimo futuro) sono già avvenuti in passato ed il mondo è cambiato, ma non è finito.    Durante i più recenti fra questi avvenimenti la nostra specie era presente ed è sopravvissuta, ma le difficoltà che hanno dovuto superare alcune centinaia di migliaia di cacciatori paleolitici ha poco a che vedere con quelle che dovranno affrontare 8 miliardi di individui post-industriali.

Siamo capaci di credere veramente che qualcosa che non è mai accaduto nella storia stia accadendo sotto i nostri occhi in questo momento?    Molto difficile.   E per coloro che ci riescono, è elevato il rischio di sprofondare in stati depressivi in grado di bloccare qualunque reazione (“Tanto oramai…”).  Ciò che occorre è riuscire ad immaginare una ragionevole via di mezzo fra il “business as usual” e l’apocalisse.  Il che significa mantenersi in funambolico equilibrio fra un ragionevole ottimismo ed un concreto pessimismo: un esercizio per il quale siamo del tutto impreparati.  Eppure riuscirci è ancor più importante del saper seminare gli zucchini o filare la lana.



Jacopo Simonetta


venerdì 4 aprile 2014

Le élite sono così spietate da distruggere sé stesse

Da “Extracted”. Traduzione di MR



Il recente annuncio di un saggio di Motessharrry, Rivas e Kalnay (MRK) sul collasso delle società complesse ha generato molto dibattito, specialmente con la pubblicazione del commento entusiastico di Nafeez Ahmed che lo ha definito uno “studio finanziato dalla NASA”. Il termine è diventato rapidamente virale – nonostante l'irrilevanza della fonte dei finanziamenti dello studio – e la discussione è subito virata verso il tipo di "scontro di assoluti" che ha avuto luogo dopo la pubblicazione del primo rapporto al Club di Roma “I Limiti dello Sviluppo” del 1972. Per esempio, una critica piuttosto pesante dello studio si può trovare in un post di Keith Kloor.

A parte queste reazioni piuttosto prevedibili, cosa possiamo dire veramente dello studio? Dice davvero qualcosa di nuovo o è solo il solito studio che grida “al lupo, al lupo”? Vediamo una breve valutazione.

Per prima cosa, lo studio di MRK è fermamente radicato nella dinamica dei sistemi (anche se gli autori non usano il termine nel loro saggio), il metodo di modellazione creato negli anni 60 da Jay Forrester. Ha anche molti elementi in comune coi modelli usati per lo studio originale de “I Limiti dello Sviluppo” del 1972 e dei successivi aggiornamenti. Tuttavia, è un modello più semplice che non fa alcun tentativo di confrontare i risultati coi dati storici. In questo senso, è simile ai modelli “a dimensione di mente” che ho discusso in un mio saggio sulla rivista "Sustainability".

Andando nei dettagli, vediamo che il modello MRK è un modello semplice con 4 stock. Uno è le “Risorse Naturali”, che viene gradualmente trasformato nello stock che gli autori chiamano “Ricchezza” (che in altri modelli viene chiamata “capitale”). Gli altri stock sono due classi di popolazione: “la gente comune” e le “élite”. Entrambe ricavano la propria sussistenza dalla riserva “Ricchezza”, ma solo la gente comune la reintegra. Le élite, invece, non producono niente.

I risultati non sono inaspettati. A seconda dei differenti assunti iniziali possibili, il sistema raggiunge uno stato stazionario, oscilla, o mostra una serie di picchi e un collasso. La figura sotto, proveniente dal saggio, è il risultato che somiglia di più allo scenario “caso base” de “I Limiti dello Sviluppo” - eccetto per il fatto che la riserva di popolazione collassa in due fasi, piuttosto che in una singola fase.

Qui il modello MRK non ci dice nulla di più di quanto già sappiamo da studi precedenti: modelli qualitativi (per esempio quello del “Overshoot” di Catton e della “Tragedia dei beni comuni” di Hardin) e quantitativi come “I Limiti dello Sviluppo”. Nella maggior parte dei casi, la suddivisione della popolazione in due classi non cambia granché i risultati del modello rispetto a quelli con una sola classe (riportati anche quelli nel saggio di MRK). Ma in alcuni casi gli autori osservano risultati piuttosto sorprendenti, come questo: 

Come vedete, qui la società si suicida letteralmente avendo le élite prelevato così tanta ricchezza dalle risorse accumulate che non resta niente alla gente comune – che scompaiono. Ma, visto che le élite non producono niente, la riserva della ricchezza scompare e il risultato finale che che anch'esse scompaiono. Le élite sono così spietate che distruggono sé stesse.

Notate che in questo scenario, le riserve naturali ritornano al loro livello iniziale: il collasso non è il risultato della mancanza di risorse, ma dell'incapacità della società di accedervi. E' un risultato che ricorda stranamente una possibile interpretazione del collasso dell'Impero Romano. I Romani potrebbero aver diretto così tanta ricchezza ai non produttori (l'esercito) che i produttori (gli schiavi) sono quasi scomparsi. Visto che a malapena c'era rimasto qualcuno che coltivava la terra, alla fine l'intera società è collassata. 

Naturalmente, questa è un'interpretazione da prendere con cautela. Una ragione è che nel modello MRK la gente comune non può diventare élite e l'élite non può diventare gente comune; le due classi sono completamente separate ed impermeabili l'una dall'altra. Questa è di certo una semplificazione eccessiva: prima di scomparire completamente, le élite proverebbero almeno ad imparare a produrre qualcosa. D'altra parte, tuttavia, è vero che – per esempio – i burocrati statali sono dei pessimi contadini.  

Probabilmente il problema più importante del modello MRK è che manca il parametro critico dell'inquinamento persistente – presente invece nel modello de “I Limiti dello Sviluppo”. L'inquinamento, se venisse considerato, giocherebbe probabilmente un ruolo fondamentale in questo scenario di “carenza di lavoro”. Mostrerebbe probabilmente che la scomparsa dell'Impero Romano era principalmente collegata, invece, all'erosione del suolo – una descrizione degli eventi di quel tempo probabilmente più realistica. 

In ogni caso, queste considerazioni illustrano il potere dei modelli di stimolare le capacità interpretative della mente umana. Non ci serve alcun modello formale per descrivere il destino finale dei sistemi economici che crescono sul sfruttamento eccessivo delle risorse che usano. Col tempo, devono tornare a una condizione compatibile con le risorse disponibili (rimaste). Gran parte dei modelli ci dicono che questo “ritorno” accade come risultato di un ciclo si superamento ("overshoot") e collasso, che infatti è uno schema caratteristico di quelle strutture socioeconomiche che chiamiamo “imperi”. 

Il modello MRK ha evidenziato un fattore che è stato scarsamente esplorato finora: il modo in cui una distribuzione iniqua della ricchezza condiziona la traiettoria di un sistema economico. Questo è un parametro importante perché, in questo periodo, stiamo assistendo ad un trasferimento epocale di ricchezza dalle classi inferiori della società alle élite. Se questo fenomeno accelererà il collasso o lo rallenterà, non possiamo dirlo. Ma di sicuro è qualcosa che dobbiamo studiare e capire.





giovedì 3 aprile 2014

Tappare le crepe del muro della realtà col nastro adesivo

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR


di Antonio Turiel

Cari lettori,

i segni evidenti del degrado sociale avanzano senza sosta. Nel caso della Spagna, lo scontento si è manifestato sabato scorso in una grande manifestazione a Madrid (foto iniziale di questo post), culmine delle cosiddette Marce della Dignità che durante le settimane precedenti sono avanzate da un punto geografico della Spagna, sotto l'indifferenza generale dei mezzi di comunicazione. La morte domenica del primo presidente del Governo spagnolo da quando è stata restaurata la democrazia, annunciata dal venerdì precedente (cioè da giorno prima della manifestazione) è servita a mettere la sordina mediatica a quella che probabilmente è stata una delle più grandi manifestazioni vissute a Madrid (e alla quale le fonti ufficiali hanno ridicolmente assegnato una partecipazione di sole 50.000 persone).

Non è una coincidenza. Nella misura in cui si incrina il muro di sicurezze sul quale è stato costruito lo Stato di Benessere e vengono compromesse le basi stesse del capitalismo come lo si è inteso durante gli ultimi secolo, i mezzi di comunicazione, sempre più ostaggi dei grandi gruppi economici che li possiedono, continuano ad abbandonare il proprio obbligo di informare e lo sostituiscono con la necessità di fare propaganda. Propaganda che cerca di addormentare le coscienze e di rassicurare. Ma le sicurezze di cui parliamo hanno una base fisica nella disponibilità di materie prime e di energia. Sono quattro anni che lo ripetiamo: questa crisi non finirà mai, finché i dettagli concreti del corso degli eventi non cambiano questo fatto semplice e poco discutibile quando si osserva con un po' di razionalità.

E tuttavia si discute, con sempre maggior veemenza e urlando sempre di più; la propaganda è focalizzata a tappare col nastro adesivo le crepe sempre più grandi nel muro della realtà. E anche se non potranno evitare il suo crollo finale, possono però contribuire, e tanto, a creare un'immagine completamente distorta di quello che sta succedendo, a introdurre abbastanza rumore nella comunicazione per fare in modo che una grande massa di persone accetti rassegnata e docilmente il cammino della Grande Esclusione.

Durante i prossimi anni saremo sopraffatti da notizie false di abbondanza energetica, alcune completamente nuove, alcune che stanno già comparendo e alcune altre che verranno riciclate dal passato recente. Ho creduto conveniente fare qui una piccola guida di alcune delle menzogne e scuse che verranno usate nei media per togliere importanza al problema energetico e che tenteranno di far credere che l'origine dei nostri problemi sono altri gruppi umani e non il nostro modello economico assurdamente insostenibile. Non posso prevedere tutte le cose che diranno, ma spero che questi appunti servano a qualcuno da guida, da faro nel mezzo della tormenta che si avvicina.

Il prezzo del petrolio: Voglio illustrare questa discussione con un piccolo aneddoto che mi riguarda. Poco tempo fa ho visto un una discussione di Burbuja.info dove prendono gioco di me per quella che chiamano la mia “fallita previsione sul prezzo del petrolio”. Ad iniziare la discussione è stato l'illustre Alb, che ha imperversato tanto qui col suo sogno (quello si che non si è materializzato) dell'introduzione esplosiva dell'auto elettrica e che ovviamente ha deciso di fare contro di me la sua crociata personale (come dimentica tutto le critiche che mi aveva fatto per che avevo detto nel 2010 che il 75% dei giacimenti di petrolio sarebbero decaduti a un tasso di quasi il 6% all'anno, quando nel 2013 la stessa IEA riconosce che decade già a questo tasso il 100% dei giacimenti attualmente sfruttati). Il fatto è che nella sua critica, Alb mette il link all'immagine di apertura del post (che non è mia, ma di Dave Cohen)


e dice: “Guardate quanto sono sbagliate le previsioni di Turiel, quando in realtà il prezzo si è comportato così”:



Lasciando perdere il fatto che né lui né quelli che commentano si sono scomodati a leggere il post in questione e vedere tutte riserve che li si esprimevano (per esempio, testualmente: “In realtà tutto questo [il post] è del tutto speculativo; ci sono molti fattori non lineari che favoriranno il fatto che i ritmi siano sempre più rapidi di quanto qui indicato e altri che che favoriranno il rallentamento del prezzo, ma come conseguenza di una grande devastazione dell'economia”), la cosa veramente curiosa è che nessuno si è disturbato nemmeno nel mettere i due grafici insieme per vedere fino a che punto il grafico di Dave Cohen (rozzo ed approssimativo, visto che il punto da mostrare era il comportamento generale qualitativo, non quello quantitativo) somigliava alla realtà:


La corrispondenza è fatta a mano libera, ma anche così è impressionante come la previsione di Dave Cohen abbia colto correttamente la tendenza e una parte significativa della volatilità (sicuramente meglio di quello che hanno fatto in quel periodo tanto lungo di tempo molti analisti professionisti che guadagnano stipendi a sei cifre). E se in qualcosa sbaglia la previsione di Dave Cohen, come anche sbagliava la mia (anche quella qualitativa, come saprà chi ha letto il post), è in cui i prezzi non scendono tanto fra i picchi consecutivi (e che il secondo picco non è tanto elevato) per le ragioni che indicavo nel paragrafo che ho evidenziato nel mio post, che in questo caso si chiama fracking, una tecnica per la quale gli Stati Uniti sono riusciti a produrre 2,5 milioni di barili al giorno di petrolio che in condizioni di libero mercato non sarebbero sfruttabili e se lo sono e grazie alla tecnica di esportare inflazione nel resto del mondo, cioè, deteriorando l'economia del resto del mondo (in prima istanza quella dei suoi fornitori, anche se questi addossano i loro dollari sopravvalutati ai loro stessi fornitori fino a far cadere il peso dell'inflazione implicita sugli ultimi anelli della catena, che di solito sono i paesi che forniscono le materie prime). Ma anche così questo “petrolio subprime” (un'espressione fortunata di Rafa Íñiguez) è costato caro alle grandi multinazionali del petrolio, che, come abbiamo già spiegato, stanno tagliando le spese a tappe forzate con conseguenze prevedibilmente disastrose sulla produzione di petrolio a breve termine. Come questo condizionerà il futuro prezzo del petrolio dipende da molti fattori (come, per esempio, se gli Stati vengono in soccorso dei giacimenti non redditizi, sottraendo per questi risorse che non arriveranno più al resto della società), ma ciò che è ovvio è che tanto se la volatilità è selvaggia, come se il prezzo si mantiene semplicemente alto, in ambo i casi sarà a costo di un impoverimento della società.

In realtà, la questione chiave non è il prezzo (rappresentazione del valore) ma la produzione di petrolio e più nello specifico l'energia netta che ci resta (il valore in sé, visto che è con l'energia che si effettua il lavoro utile) e per questa le previsioni non possono essere più tetre. Tuttavia, è più che prevedibile che durante i prossimi anni tutta la discussione si centrerà sul prezzo del petrolio, cercando ad ogni piè sospinto la scusa del giorno per giustificare le sue variazioni. Per un po' si è riusciti ad occultare il declino dell'energia netta (che in realtà è iniziato nel 2010) semplicemente aggiungendo più volume di petrolio senza nessun guadagno reale di energia, ma in poco tempo il volume di petrolio greggio diminuirà e non molto dopo anche il volume di tutti i liquidi mostrerà segni di decadenza. Sarà il tempo di guerre e rivolte e in quel momento le scuse di distrazione tenderanno ad essere altre. Tenendo conto di questo, stimo pertanto che le discussioni vuote sul prezzo del petrolio dureranno altri cinque anni da adesso, approssimativamente.

Di sicuro per ironia della sorte, nonostante la quantità di articoli dall'inizio di questo blog e dei discorsi registrati per anni in cui ho ripetuto che l'importante è la produzione e non il prezzo, ancora leggo che è una cosa nuova che dico adesso “perché mi sono sbagliato nelle mie previsioni sul prezzo”.


La scarsità è originata dalla guerra, quando questa finisce tutto si risolve: Prima o poi i conflitti che si stanno scatenando in tutto il globo finiranno per colpire un produttore importante di petrolio. In quel momento sarà evidente che c'è davvero un problema con la fornitura di petrolio, dato che mancherà realmente nell'opulento occidente indipendentemente dal prezzo che si è disposti a pagare. Siccome nessuno metterà le cifre in prospettiva, nessuno metterà nel conto che la diminuzione di produzione di 2 o 3 milioni di barili al giorno rappresenta soltanto il 2,2 o il 3,3% dei 90 milioni di barili al giorno che si consumano nel mondo e che una diminuzione così, anche se brusca, è relativamente piccola e se ci sono problemi per compensarla è perché il resto dei produttori realmente non possono mettere una sola goccia in più nel mercato, perché loro stessi si trovano in declino produttivo o prossimi ad esserlo. Tutto lo sforzo di analisi si centrerà nell'analisi della guerra, su come il paese in questione sia il quarto o il settimo maggior produttore del mondo, come se questo spiegasse il motivo per cui non si può superare il problema della fornitura; nessuno spiegherà nemmeno che quella piccola percentuale di volume di petrolio rappresenta un volume più grande e pertanto significativo dell'energia netta del petrolio che arriva alla società, perché tutto il maquillage contabile della falsa categoria "tutti i liquidi del petrolio" nasconde la realtà di ciò che vale e ciò che non vale. Con la mancanza repentine del greggio e lo sforzo della guerra, la popolazione dei paesi occidentali si vedrà obbligata a misure drastiche di riduzione del consumo, ma se per caso qualcuno osasse collegare la scarsità del prezioso liquido col picco del petrolio, qualche analista economico di guardia se ne uscirà a dire che tale affermazione è una barbarie, che la scarsità è causata “artificialmente” e che è “temporanea”, che finirà “quando finisce la guerra e torna l'investimento”, visto che il mondo nuota nel petrolio e nei suoi succedanei. Anche se al lettore attento non quadrerà poco un tale scenario di pretesa abbondanza coi problemi che starà causando la mancanza di produzione di un solo paese le cui esportazioni, inoltre, era da tempo che stavano diminuendo, alla maggioranza della popolazione tale spiegazione quadrerà.

Tuttavia, la piaga crudele della guerra non solo chiederà non solo il suo infelice ed evitabile pedaggio di vite umane, ma causerà che la produzione del paese colpito non torni mai ai livelli prebellici. Pensate per esempio al caso della Libia: vedendo che le sollevazioni popolari non riuscivano a rovesciare Gheddafi, i paesi occidentali hanno scatenato una guerra lampo che ha causato la caduta a picco della produzione nel 2011, ma come mostra questo grafico di Flussi di Energia durante il 2012 la produzione non ha ancora recuperato i livelli di prima della guerra:


Come vedete, la Libia non ha recuperato mai il livello di produzione di petrolio che aveva nel 1970, circa quando Muhammar Gheddafi è giunto al potere rovesciando il re Idris. Quando sembrava che la produzione tornava a risalire, la guerra col Chad prima e le rappresaglie per l'attentato di Lockerbie poi, con l'embargo che è seguito agli attacchi americani, hanno portato ad un nuovo contraccolpo con successiva stagnazione. E quando di nuovo la cosa sembrava che stesse per riprendere, sembra che sia arrivato il picco del petrolio della Libia (verso il 2008 circa). E poi la guerra. Se si guarda più in dettaglio quello che è successo negli ultimi anni si vede che la situazione in Libia è lungi dall'essere stabilizzata: 


Ci sono due ragioni per questo: una sopra ed una sotto il suolo. Sopra il suolo abbiamo un paese in una situazione convulsa, instabile, con frequenti proteste (come quelle che hanno chiuso il giacimento elefante in data recente) che finiscono per interrompere parzialmente il flusso di petrolio. Ma ci sono anche ragioni sotto il suolo: mantenere in buone condizioni di sfruttamento un giacimento vecchio non è facile, visto che si deve iniettare continuamente gas o acqua in pressione e se a causa di una guerra tale flusso si interrompe, ristabilirlo non è tanto semplice, visto che mancando la pressione supplementare la porosità della roccia può diminuire e andare lentamente verso il collasso per azione della pressione. Inoltre, esistono molte installazioni dal pozzo alla raffineria o al magazzino che richiedono una manutenzione continua e che si vedono seriamente colpite da un'interruzione dell'attività per settimane, per non dire mesi. Questo fenomeno è stato osservato in molti paesi in guerra (Iraq, Iran, Siria), con sollevazioni sociali (Venezuela) o che hanno subito un collasso sociale (Russia, dove il livello di produzione non è mai tornato ai livelli del 1980). E' per quello che qualsiasi paese che si veda coinvolto in un conflitto su grande scala difficilmente potrà recuperare il proprio livello di produzione di petrolio precedente. 

Possiamo fare pressione sui produttori di petrolio perché producano di più: La situazione attuale con la Russia mostra fino a che punto il mondo è cambiato senza che ce ne rendessimo conto. L'Europa minaccia di sanzionare la Russia per l'occupazione della Crimea, ma in pratica è un leone con gli artigli di velluto: il 26% del gas e il 40% del petrolio consumati in Europa vengono dalla Russia, così che in realtà è più la Russia quella che ci può danneggiare, piuttosto che il contrario. Gli americani, da parte loro, si sono imbarcati in una ruota di fantasie pericolose. Da un lato vogliono esportare in Europa le loro eccedenze di gas da fracking (senza tenere conto che la bolla ha i giorni contati e che sarà scoppiata per quando finissero di costruire le costosissime installazioni di liquefazione del gas per il trasporto nella altrettanto costosissime navi metaniere). Dall'altro stanno tentanto di convincere i sauditi di inondare il mondo di petrolio a basso prezzo e far così sprofondare l'economia russa; essenzialmente lo stesso trucco che usarono negli anni 80 e che ha tanto aiutato all'affondamento dell'Unione Sovietica. Tuttavia, a differenza di 30 anni fa, l'Arabia Saudita non ha più capacità inutilizzata, ha solo l'apparenza di averla e tanto meno gli Stati Uniti diventeranno il primo produttore di petrolio del mondo grazie al fracking. Cioè, la capacità reale di far pressione sulla Russia è nulla e in realtà è la Russia che ha il coltello dalla parte del manico, soprattutto se decidono di eliminare il dollaro dalle loro transazioni di petrolio, come si è già accordata con la Cina. La distanza tremenda fra il mondo in cui crede di vivere l'opinione pubblica occidentale e quello in cui vive realmente darà luogo, nei prossimi anni, a dichiarazioni assurde e situazioni ridicole che sarebbero divertenti se non fossero tanto gravi e tanto tristi. 

Diverse illusioni nel mondo degli idrocarburi: Mentre la guerra va mostrando i suoi artigli neri in un confine o nell'altro del pianeta, i portavoce dell'abbondanza in Occidente annunceranno che stanno sul punto di arrivare in nostro aiuto nuove fonti di idrocarburi. Dieci anni fa erano i biocombustibili che dovevano salvarci e si è già visto che non sarà così; 5 anni fa la panacea erano i petroli super pesanti e come bandiera su scala mondiale avevamo le sabbie bituminose del Canada (seguite da vicino dai petroli della Cintura dell'Orinoco in Venezuela), ma si è visto che anche queste hanno troppi limiti per cambiare sostanzialmente la situazione. Ora si spinge il fracking come metodo fantastico per estrarre gas in tutto il mondo e petrolio leggero in alcune zone, ma è sempre più evidente che è una risorsa dal rendimento molto basso e che in realtà non è altro che una bolla finanziaria sul punto di scoppiare. E così, siccome il gas da fracking è sempre stato una rovina e si prepara già per una rapida discesa, il petrolio da fracking, sebbene per poco giungeva ad essere redditizio, sta già cominciando ad avere il respiro affannoso.  


Immagine dell'articolo “Texas RRC Crude and Condensate Data, Is Eagle Ford Peaking?" http://peakoilbarrel.com/texas-rrc-monthly-update/ 

Da qui a due o tre anni comincerà ad essere evidente che il fracking non cambierà il mondo né, tanto meno, sosterrà la fantasia secondo la quale gli Stati Uniti saranno indipendenti energeticamente; e entro 5 anni il fracking sarà praticamente dimenticato (anche se quando si tira fuori il tema l'esperto di turno di energia dirà che è stato abbandonato “per un eccesso di regole da parte degli Stati”, dando da intendere che i governi abbiano ceduto all'isteria ecologista disinformata). E cosa viene dopo il fracking? Torneranno i miti ricorrenti degli ultimi 10-20 anni: il petrolio dell'Artico, le formazioni pre-sale del Brasile e della costa africana occidentale, gli idrati di metano, comprese le risorse dell'Antartide, se audaci... Si faranno nuove e costose campagne per cercare di dimostrare la capacità commerciale di tutte queste risorse, i quotidiani si faranno eco del fatto che sono già qui, che quasi le possiamo toccare con la punta delle dita, ma non arriveranno mai ed essere sfruttate su scala significativa, visto che se tutte quelle che abbiamo gia enumerato sono di cattiva redditività, queste altra sono direttamente rovinose già nella fase di investimento precedente. Tuttavia, le fanfare della stampa faranno credere a più di uno che “il problema del petrolio” (del quale si sarà sempre più consapevoli) è sul punto di essere risolto.

Il carbone: C'è chi linka i miei articoli annunciando una rinascita del settore del carbone in Spagna, forse senza vedere che in realtà tutta la nostra società è minacciata dalla scarsità energetica e che forse, perché siano energeticamente redditizie, queste miniere di carbone in Spagna, si finisce per sfruttarle con schiavi umani, di fatto o di diritto. La cosa certa è che l'energia del futuro è l'energia del passato: in tutto il mondo il consumo di carbone sale, sale più in fretta da quando il consumo di petrolio è stagnante e molto presto il carbone supererà il petrolio come prima fonte di energia primaria su scala mondiale (se non l'ha già superato). Il problema col carbone è che ci si attende che anch'esso giunga al suo picco entro pochi anni; per esempio, secondo la previsione del Energy Watch Group si pensa che il suo massimo (in energia prodotta) sarà verso il 2020:


Bisogna evidenziare che, a causa delle caratteristiche geologiche del carbone (può essere estratto praticamente a mano se così è richiesto, al contrario di petrolio e gas), è possibile che si possa ritardare leggermente il suo picco ed allungare il plateau produttivo (in linea con ciò che mostra già il grafico sopra). Il che non rappresenta necessariamente delle buone notizie dal punto di vista del carico umano che dovrà sopportare questa società basata sull'estrazione dell'ultimo carbone, redditizio solo in condizioni penose di estrazione. In ogni caso, e anche nelle migliori condizioni di sfruttamento, il carbone non ci permetterà di tornare ai ritmi crescenti del passato; è solo una pausa, un “vecchio amico fedele” che ci può aiutare per un po' se siamo capaci di sfruttarlo (anche se dato il suo impatto ambientale bisognerebbe chiedersi se vogliamo realmente il suo aiuto). Per quando la scarsità di petrolio sarà evidente, i mezzi di comunicazione ci racconteranno che degli scienziati locali hanno scoperto un metodo nuovo ed ultra efficiente per trasformare il carbone in “petrolio” (diranno così), “con un miglior numero di ottani” (in riferimento alla benzina che ne deriva) e che le riserve locali (per esempio, nel caso della Spagna) permetteranno di assicurare la fornitura del paese per almeno 200 anni. In realtà la scoperta sarà una piccola miglioria del processo centenario di Fischer-Tropsch, conosciuto ed usato da molto tempo, e l'esagerazione provvederà, come sempre, a confondere riserve (ciò che si può estrarre dal suolo) con la produzione (a che velocità si estrae). Nella pratica la società spagnola ed altre in situazioni simili dovrà imparare a fare con meno idrocarburi liquidi, che verranno riservati per i servizi cruciali, mentre il carbone da bruciare nelle caldaie per il riscaldamento sarà un lusso non alla portata di tutti.

C'è scarsità perché la si vuole, abbiamo energia rinnovabile da dare e regalare: Questo tema è stato trattato per esteso su questo blog. L'energia rinnovabile è senza dubbio quella che ci resterà nel futuro a lungo termine, ma non può compensare nemmeno lontanamente il tremendo buco che si sta lasciando dietro di sé il petrolio e che si lasceranno dopo qualche anno in più gas e carbone. Le rinnovabili hanno molti limiti, tanto quelli associati con le necessità di capitale, di materie prime, di ubicazioni per i pannelli fotovoltaici e per gli aerogeneratori ed hanno anche limiti al proprio potenziale massimo (tanto l'eolico quanto il fotovoltaico – di quest'ultimo non ho ancora scritto il saggio corrispondente, per questo non c'è link). Dall'altro lato l'EROEI del fotovoltaico è basso e in generale si pone il dubbio sul fatto che l'EROEI sarebbe troppo basso senza i combustibili fossili. Sì, insomma, gli attuali sistemi di generazione rinnovabili non sono che mere estensioni dei combustibili fossili. Inoltre, vedendo come evolve il consumo di energia elettrica e comprendendo perché succede questo, si capisce che l'attuale modello di installazione di centrali rinnovabili non risolverà la crisi energetica (in parte perché ci si sta ponendo il problema sbagliato).

Nonostante quanto enumerato qui sopra, anche per troppo tempo si insisterà da parte di certi settori che questo modello di investimento in energia rinnovabile è la strada giusta, la giusta direzione. Si creeranno fazioni nel dibattito pubblico diffuso e stimolato dai mezzi di comunicazione: da un lato i difensori dei nuovi giacimenti fantasiosi menzionati sopra o di qualche altra tecno-fantasia collegata all'energia nucleare (che sia la più che improbabile fusione o i reattori di IV generazione, coi quali sono già 70 anni che si fanno esperimenti); dall'altro, i difensori di questo modello di generazione rinnovabile. L'opinione pubblica sarà convinta che convinta che queste siano tutte alternative disponibili ed assisterà al dibattito sperando che alla fine qualcuno vinca, che si trovi una soluzione ai nostri gravi problemi. Naturalmente questo non succederà mai e ci ritroveremo sempre più sprofondati economicamente, ma distratti dal credere che la nostra salvezza si radichi in questo falso ed immobile dibattito.

La chiave è la sovrappopolazione: Questo tema esce fuori alcune volte nel blog e non ha un approccio facile. Ovviamente siamo molti sul pianeta e, come alcune volte si è detto, il numero di ettari coltivabili per abitante è di solo 0,16, cioè 1.600 metri quadrati, un quadrato di 40 x

40 metri. E' nel limite della capacità di carico di un essere umano e questo con una fornitura di combustibili fossili enorme. E' pertanto ovvio che se non si prendono misure correttive verranno prese automaticamente quelle esercitate dalla Natura in questo tipo di situazioni: fame, epidemie, guerra e morte.

Un problema tanto critico e tanto delicato, che richiederebbe una gestione integrata (in modo da sfruttare le risorse non rinnovabili rimanenti per adattarci dolcemente alla capacità di sostenere la popolazione del pianeta nei prossimi decenni) non sarà affrontato affatto in questo modo e così i mezzi di comunicazione tenderanno a fare un discorso sempre più semplicistico, sempre più xenofobo e dai tratti rozzi. In un determinato momento la base sociale comunemente accettata probabilmente sarà che il nostro è nostro e che bisogna cacciare quelli di fuori che vengono ad approfittarsi di quello che è nostro (ignorando chi siamo e da dove veniamo). Visto che è un discorso semplicistico e volgare, ma facilmente popolare e per populisti, e vedendo come si sta evolvendo l'Europa in questo senso, le mie speranze che si imponga un minimo di razionalità, se sono basse rispetto al resto delle problematiche, rispetto a questa sono nulle.

I problemi col cambiamento climatico: Un altro fronte di negazione e di confusione è quello collegato al cambiamento climatico. Un anno fa ho pubblicato qui un articolo intitolato “Un anno senza estate”, del quale si sono presi gioco più volte in diversi forum di Internet con la curiosa argomentazione di “Vedi? Questo tipo si è sbagliato. Certo che c'è stata l'estate”. Chi dice questo dimostra, ancora una volta, che l'unica cosa che ha letto dell'articolo è il titolo. Per nostra disgrazia, il problema che si descriveva in quel post (la destabilizzazione della Corrente a Getto polare, che è sempre meno zonale e più meridionale) persiste, con conseguenza incerte per il nostro futuro.



Gli episodi di ondate successive di fronti di forti piogge nell'Atlantico settentrionale, lo stazionamento delle Vortice Polare nella zona orientale degli Stati Uniti e le siccità nella zona occidentale sono fortemente collegate col problema del Jet Stream e anche stando così le cose si persiste nel tentativo di disdegnare i problemi come cose che rientrano in una più o meno pretesa “normalità”. In questo senso, è impressionante vedere con frequenza nei mezzi di comunicazione come persone con conoscenze di meteorologia tendano a sminuire le tendenze attuali e per esempio spieghino che nel 1962 la temperatura minima di giugno nella Cuenca è stata inferiore a quella osservata nel 2013 o che nel 1958 ci sono state grandi mareggiate a Santander e tuttavia non sono capaci di capire che non si erano mai visti fenomeni di tale ampiezza in tutti questi luoghi contemporaneamente (è ciò che in statistica si chiama statistica comparativa marginale, di fronte alla statistica comparativa congiunta). Quando si insiste ripetutamente che per decifrare tendenze statisticamente significative è necessario vedere l'evoluzione dell'andamento climatico durante i decenni, il che è sicuro quando si parla di quelle marginali, si disdegna anche il fatto che un andamento congiunto di molti punti allo stesso tempo abbia molto più significato statistico di una serie lunga di un solo punto (a ragione di una proprietà fondamentale in Fisica Statistica: l'Ergodicità). Ciononostante si tenta di tranquillizzare la popolazione anche in presenza di fenomeni significativamente anomali e la cosa sicura è che ci si riesce. Poco tempo fa a Gijón mi hanno raccontato di come una signora che tornava a casa, nel bel mezzo di una terribile mareggiata che inondava la sua via, ha incontrato una persona che ha assistito ad un mio discorso. Lei gli ha detto che non aveva mai visto nulla di simile in vita sua. Quando lui ha commentato che probabilmente era una conseguenza del cambiamento climatico, le gli ha risposto: “Be', questo non lo vedrò mai”. E in un certo senso è vero, perché ce l'ha davanti ma non lo vede.

Alla fine, sembra un po strana l'insistenza ad usare modelli del passato per cercare di descrivere il comportamento del clima nel presente e nel futuro se si comprende che in realtà il clima sta cambiando. Fondamentalmente, potremmo dire che una parte dei meteorologi in modo implicito non crede alla validità del cambiamento climatico, visto che insistono nel credere che il futuro sia una replica del passato. Il problema più serio a breve termine con la destabilizzazione climatica è il suo effetto sulla produzione di alimenti e le possibili guerre che si possano scatenare a causa sua (le Guerre della Fame). Nonostante questo, tutti questi aspetti verranno coperti con illusioni tecnologiche di rimedi tecnici per combattere una forza che supera, in ordini di grandezza, la capacità industriale dell'Uomo e con appelli al consumo responsabile e al risparmio che in realtà occultano la necessità di consumare meno per la minore disponibilità, che a poco a poco arriverà in tutto. Quello che potrebbe finire per succedere col Cambiamento Climatico è impossibile da sapere con certezza in questo momento, anche se gli scenari di futuro, se non si facesse assolutamente niente, possono essere simili ad un racconto dell'orrore.

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La finisco qui col mio catalogo , non esaustivo, di scuse per il prossimo decennio. Alla fine, tutte le scuse hanno uno stesso punto in comune: l'opposizione ferrea al cambiamento del sistema economico con uno veramente sostenibile e la necessità di mantenere a oltranza il BAU, costi quel che costi, ingannando la gente con qualsiasi mezzo per riuscirci. Mettere in discussione le basi del nostro sistema economico è un'eresia e per questo verrà distorta la realtà quel tanto che sia necessario per mantenere l'illusione il più a lungo possibile, anche se se fosse un solo secondo in più e anche se ci lasci peggio preparati per quello che succede alla caduta del capitalismo.

Nonostante tutto quello che abbiamo detto, ultimamente si vedono alcune crepe nella compiacenza ufficiale. Da poco la Banca d'Inghilterra ha pubblicato un articolo di ricerca sorprendente che fa cadere le idee convenzionali sulla creazione di denaro, con gravi conseguenze sul significato del nostro sistema monetario. Uno studio scientifico finanziato dalla NASA da un lato e un rapporto dell'ONU, dall'altro, danno l'allarme su un collasso più che probabile della società. Anche da parte dell'economia più tradizionale, qualche giorno fa è stato pubblicato su "La Carta del la Bolsa" un articolo nel quale un economista abbastanza convenzionale conveniva, su basi completamente razionali, che la scarsità di risorse è un problema grave  che cambierà il nostro mondo. Tutto questo sarà sufficiente? Siamo in tempo per fermare la barbarie?


Saluti.
AMT

mercoledì 2 aprile 2014

Studio finanziato dalla NASA: la civiltà industriale è diretta verso un “collasso irreversibile”?

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (h/t Luca Lombroso)

Nota di UB. Su questo sudio ci sono parecchie cose da dire e anche parecchie critiche da fare, inclusa l'enfasi esagerata sul fatto di essere "finanziato dalla NASA," cosa che - di per se - non vuol dire affatto che sia uno studio valido. Con calma, sto preparando un piccolo esame critico di questi risultati. Nel frattempo, potete leggervi anche l'ottimo articolo di Dario Faccini in proposito sul blog di ASPO-Italia. 

 

Di Nafeez Ahmed

Gli scienziati del mondo naturale e sociale sviluppano un nuovo modello di come la “tempesta perfetta” di crisi potrebbe disfare il sistema globale


Questa immagine dell'Osservatorio della Terra della NASA mostra un sistema tempestoso che circola intorno ad un'area di bassa pressione estrema  nel 2010, che molti scienziati attribuiscono al cambiamento climatico. Foto: AFP/Getty Images


Un nuovo studio sponsorizzato dal Centro per il Volo Spaziale Goddard della NASA ha evidenziato la prospettiva che la civiltà industriale globale possa collassare nei prossimi decenni a causa dello sfruttamento insostenibile delle risorse e la distribuzione sempre più iniqua della ricchezza. Osservando che gli avvertimenti di “collasso” sono spesso marginali o controversi, lo studio cerca di dare un senso a dati storici convincenti che mostrano che “il processo di ascesa e collasso è di fatto un ciclo ricorrente che si ritrova lungo tutta la storia”. I casi di distruzione grave di civiltà dovuti al “collasso precipitoso – spesso della durata di secoli – è stato piuttosto comune”.

Il progetto di ricerca è basato su un nuovo modello di disciplina incrociata “Dinamiche esseri umani-natura” (Human And Nature DYnamical – HANDY), condotto dal matematico applicato Safa Motesharri del Centro Nazionale di Sintesi Socio-Ambientale, in associazione con una squadra di scienziati del mondo naturale e sociali. Lo studio basato sul modello HANDY è stato accettato per la pubblicazione peer-reviewed nella rivista di Elsevier, Economia Ecologica. Questa scopre che secondo i dati storici, anche le civiltà avanzate e complesse sono soggette al collasso, sollevando domande circa la sostenibilità della moderna civiltà:

“Il crollo dell'Impero Romano e quello dei parimenti avanzati (se non di più) Imperi Han, Maya e Gupta, così come molti altri Imperi avanzati mesopotamici, testimoniano tutti il fatto che civiltà avanzate, sofisticate, complesse e creative possono essere sia fragili si impermanenti”. 

Investigando le dinamiche della natura umana di questi casi di collasso passati, il progetto identifica i fattori interrelati più salienti che spiegano il declino della civiltà e che potrebbero aiutare a determinare il rischio di collasso oggi: cioè, Popolazione, Clima, Acqua, Agricoltura ed Energia. Questi fattori possono portare al collasso se convergono per generare due caratteristiche sociali cruciali: “lo stress delle risorse dovuto alla tensione posta sulla capacità di carico ecologica” e “la stratificazione economica della società in Elite [ricche] e Masse o 'cittadini comuni' [poveri]”. Questi fenomeni sociali hanno giocato “un ruolo centrale nel carattere o nel processo del collasso”, in tutti quei casi durante “gli ultimi 5.000 anni”. Attualmente, gli alti livelli di stratificazione economica sono direttamente collegati al consumo eccessivo di risorse, con “Elite” che si trovano in gran parte in paesi industrializzati responsabili di entrambe le cose:

“... il surplus accumulato non è solo distribuito in modo iniquo nella società, ma piuttosto è stato controllato da una élite. Alla massa della popolazione, mentre produce la ricchezza, viene assegnata una piccola porzione della stessa da parte delle élite, di solito a livelli di sussistenza o poco al di sopra”. 

Lo studio sfida coloro che sostengono che la tecnologia risolverà queste sfide aumentando l'efficienza:

“Il cambiamento tecnologico può aumentare l'efficienza dell'uso della risorsa, ma tende anche ad aumentare sia il consumo pro capite della risorsa sia la scala dell'estrazione della risorsa, cosicché, assenti gli effetti delle politiche, gli aumenti del consumo spesso compensano l'aumento di efficienza nell'uso della risorsa”.

Gli aumenti di produttività dell'agricoltura e dell'industria degli ultimi due secoli sono venuti da “un aumento (piuttosto che da una diminuzione) della produzione”, nonostante dei guadagni di efficienza straordinari durante lo stesso periodo. Facendo modelli su una gamma di diversi scenari, Motesharri e i suoi colleghi concludono che in condizioni “che riflettono da vicino la realtà del mondo di oggi... scopriamo che il collasso è difficile da evitare”. Nel primo di questi scenari, la civiltà:

“... appare trovarsi su una strada sostenibile per un periodo piuttosto lungo, ma anche usando un tasso di esaurimento ottimale e cominciando con un numero davvero piccolo di élite, Le élite stesse alla fine consumano troppo, col risultato di una carestia fra i cittadini comuni che alla fine causa il collasso della società. E' importante osservare che questo collasso di Tipo L è dovuto ad una carestia indotta dall'iniquità che causa una perdita di lavoratori, piuttosto che a un collasso della Natura”.

Un altro scenario si concentra sul ruolo dello sfruttamento continuo delle risorse, scoprendo che “con un ampio tasso di esaurimento, il declino dei cittadini comuni avviene più rapidamente, mentre le élite prosperano ancora, ma alla fine i cittadini comuni collassano completamente, seguiti dalle élite”. In entrambi gli scenari, i monopoli della ricchezza da parte delle élite significano che queste sono protette dagli “effetti più negativi del collasso ambientale fino a molto più tardi rispetto ai cittadini comuni”, permettendo loro di “continuare col 'business as usual' nonostante la catastrofe imminente”. Lo stesso meccanismo, sostengono, potrebbe spiegare il perché “le élite hanno permesso che avvenissero i collassi storici che sembrano essere ovvi dalla traiettoria catastrofica (più chiaramente evidente nei casi Romano e Maya)”. Applicando questa lezione al nostro dilemma contemporaneo, lo studio avverte che:

“Mentre alcuni membri della società potrebbero dare l'allarme che il sistema si muove verso un collasso imminente e pertanto richiedere cambiamenti strutturali della società per evitarlo, le élite e i loro sostenitori, che si opporrebbero a questi cambiamenti, potrebbero indicare la traiettoria lunga e sostenibile 'fino ad ora' a sostegno del non fare nulla”. 

Tuttavia, gli scienziati evidenziano che gli scenari peggiori non sono affatto inevitabili e suggeriscono che una politica appropriata e dei cambiamenti strutturali potrebbero evitare il collasso, se non spianare la strada verso una civiltà più sostenibile. Le due soluzioni chiave sono quella di ridurre l'iniquità economica così come quella di una più equa distribuzione delle risorse e di ridurre drammaticamente il consumo di risorse affidandosi a risorse rinnovabili meno intensive e riducendo la crescita della popolazione:

“Il collasso può essere evitato e la popolazione può raggiungere un equilibrio se il tasso di esaurimento pro capite della natura viene ridotto ad un livello sostenibile e se le risorse vengono distribuite in modo ragionevolmente equo”. 

Il modello HANDY finanziato dalla NASA offre un campanello d'allarme credibile ai governi, alle multinazionali e alle imprese – e ai consumatori – per riconoscere che il 'business as usual' non può essere sostenuto e che sono richiesti immediatamente politiche e cambiamenti strutturali. Anche se lo studio è ampiamente teorico, numerosi altri studi empiricamente focalizzati – da parte del KPMG e dell'Ufficio Governativo della Scienza del Regno Unito, per esempio – hanno avvertito che la convergenza delle crisi alimentare, idrica ed energetica potrebbero creare la 'tempesta perfett' entro circa 15 anni. Ma queste previsioni 'business as usual' potrebbero essere molto prudenti.


martedì 1 aprile 2014

Perché non finiremo mai il petrolio: un'intervista con Ugo Bardi





"Effetto Risorse" è lieto di presentare oggi in esclusiva mondiale un'intervista che il Professor Ugo Bardi, autore del libro "Extracted", ha concesso a Radio Ronkonkoma (*), New York. 


- Prima di tutto, Professor Bardi, grazie per aver accettato di parlare agli ascoltatori di  Radio Ronkonkoma. 

- E' un piacere.

- Allora, prima di cominciare l'intervista, una breve presentazione per i nostri ascoltatori. Il professor Ugo Bardi insegna all'università di Firenze, in Italia, ed è ben noto per i suoi studi sulle risorse minerali e in particolare del petrolio greggio. A questo proposito, siamo venuti a sapere che ha ottenuto recentemente un importante contratto di ricerca da una grande compagnia petrolifera. E' vero, professore?

- Si, posso confermare di aver ricevuto quel contratto, sebbene non possa, al momento, rivelare il nome della compagnia.

- Quindi, congratulazioni, professore. Ho capito bene che questo contratto le ha permesso di fare un'importante scoperta nel campo delle tendenze della produzione petrolifera?

- E' corretto. E' un nuovo modello che ho sviluppato sulla base della dinamica dei sistemi e altri metodi matematici molto sofisticati per descrivere le future tendenze produttive del petrolio.

- E così è arrivato alla conclusione che non finiremo mai li petrolio?

- Sostanzialmente, si.

- Mi sembra di capire che la matematica del modello è molto complessa, ma potrebbe per favore descrivere i suoi risultati in modo semplice per i nostri ascoltatori? 

- Ci posso provare. Allora, pensi a questo: prima di finire il petrolio, bisogna finire la metà di quello che c'è, giusto?

- Si.

- Ora, se uno ha usato la metà del petrolio che ha, vuol dire che ne rimane ancora la metà. Giusto?

- Certamente.

- Allora, prima che uno abbia consumato la metà rimasta, ne deve consumare ancora metà. Giusto?

- Credo di seguire la sua logica, professore......

-  E poi ci sarà un'altra metà, e poi ancora un'altra metà, e così via.....

- Da questo si deduce che non finiremo mai il petrolio?

- Esattamente.

- Sa, professore, il suo modello mi ricorda qualcosa che ho studiato al liceo; qualcosa a proposito di una tartaruga rincorsa da qualcuno che correva molto velocemente.... non mi ricordo il nome.

- Oh, beh, questa è una origine remota del modello. Per questo i miei studenti lo chiamano a volte il modello di "Achille e la tartaruga".

- Però, professore, c'è qualcosa che non mi torna. Capisco che a furia di dividere a metà quello che resta non finiremo mai il petrolio. Ma non è che ne avremo sempre di meno?

- No.... assolutamente no.

- Ma perché?

- Beh, per questo bisognerebbe capire la matematica del modello ma, di nuovo, credo di poter spiegare la cosa in modo semplice per gli ascoltatori. Allora, torniamo indietro a quello che dicevamo. C'è questo petrolio. Lo dividiamo in due parti uguali e ne usiamo una parte. Mi segue?

- Si. 

- E allora ne rimane una metà, giusto?

- Giusto.

- Quindi siamo allo stesso punto di prima quando consumavamo l'altra metà. Non c'è differenza: abbiamo sempre lo stesso quantitativo di petrolo. Quindi, qual'è il problema?

- Sa, professore, devo dire che la sua logica mi scombussola, ma devo confessare che tutto questo mi lascia un po' confuso.

- Si, capisco. La matematica che sta dietro a questi risultati è molto complicata. Ma il risultato finale è semplice: avremo sempre petrolio e ne possiamo sempre produrre vogliamo. C'è solo il piccolo problema che bisogna investire di più via via che ne resta di meno.

 - Ma questo non vuol dire che dovremo pagare il petrolio sempre di più?

- Si, c'è questo piccolo inconveniente.

- Capisco..... Professore, qualcosa mi ha fatto tornare in mente quel contratto che lei ha ricevuto da una compagnia petrolifera. Ci potrebbe dire quanti soldi ha ricevuto?

- Spiacente, non posso rivelare questo dato.

- Grazie mille al professor Bardi per essere stato con noi oggi a Radio Ronkonkoma, New York. Adesso, pubblicità.  





Se vi incuriosisce il perché del nome "Radio Ronkonkoma", è un posto che esiste per davvero e abitavo non lontano da lì negli anni 1970