sabato 30 luglio 2016

Il confronto fra scienziati del clima e i loro detrattori: non c'è proprio partita



La società chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima


Ho raccontato in un post precedente della figuraccia che ha fatto la società italiana di fisica rifiutandosi di firmare un documento condiviso da 14 società scientifiche italiane a sostegno della scienza del clima. Poi, hanno fatto anche di peggio con le giustificazioni che hanno dato. Non certamente una bella figura per la fisica italiana, il cui prestigio era già scosso dall'appoggio che il Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna aveva inizialmente dato alla storia del'E-Cat.

Al contrario, la società di chimica italiana ha preso una netta posizione in favore della scienza del clima. Nell'articolo riportato qui di seguito, "Saperescienza" racconta la storia, sfortunatamente dandone un'interpretazione un tantino semplificata, come se fosse una partita di calcio fra la società di chimica e quella di fisica. In realtà, nel campo della scienza del clima, se si mettono a confronto i veri scienziati e i loro detrattori, non c'è proprio partita. Per fortuna, l'articolo termina in modo corretto dicendo che " astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile."

(U.B.)

I cambiamenti climatici e l' "astensione" della Società Italiana di Fisica

13 Luglio 2016

I cambiamenti climatici sono un'emergenza da fronteggiare, determinata dall'attività umana? "Sì", per i chimici italiani, "ni" per i fisici. Almeno questo è quello che sembra emergere dalle prese di posizione della Società Chimica Italiana (SCI) e della Società Italiana di Fisica (SIF). O meglio, dalla non presa di posizione di quest'ultima.

Mentre la SCI, in un documento, riconosce infatti nei cambiamenti climatici una delle "principali minacce per lo sviluppo sostenibile" e si associa alla necessità, globalmente percepita, di ridurre le emissioni di gas serra e di adottare adeguati piani di adattamento agli impatti negativi previsti dagli attuali modelli climatici, la SIF preferisce non esprimersi in modo così netto.

Alla fine dell'anno scorso, dodici associazioni scientifiche italiane hanno sottoscritto la "Dichiarazione sui cambiamenti climatici" approvata alla vigilia della COP21 di Parigi, con la vistosa eccezione della SIF, che ha fatto togliere il suo logo. Pomo della discordia, una parola: "inequivocabile".

Nella dichiarazione, presentata in occasione dello "Science Symposium on Climate" che si è tenuto a Roma nella sede FAO, infatti, si trova questo passaggio: "l'influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo". Ma, secondo la SIF, "alcune certezze non sono certezze, occorre fare attenzione" ha dichiarato la presidentessa Luisa Cifarelli, che continua: "non esistono le equazioni del clima. E io non mi trovo d'accordo con l'affermazione che il ruolo dell'uomo nel riscaldamento sia inequivocabile". La SIF avrebbe preferito parole come "verosimiglianza" o "probabilità", ma la proposta non è stata accolta dagli altri scienziati, anzi Cifarelli è stata, come riferisce lei stessa, "trattata male".

L'IPCC (Intergovernmental panel on climate change) organo ufficiale dell'ONU e autorità di riferimento in fatto di cambiamenti climatici, sostiene essere "molto probabile che l'influenza umana sia la causa dominante del riscaldamento osservato nel XX secolo", dove "molto probabile" corrisponde a una probabilità del 95 per cento. E' sufficiente per usare la parola "inequivocabile"?

Al di là della terminologia, la posizione della SIF è stata molto criticata ed è stata in alcuni casi definita "irresponsabile", per esempio da Ferdinando Boero, professore di biologia dell'università del Salento e dell'Istituto di scienze marine del Cnr. Quello che è sicuro è che i negazionismi sui cambiamenti climatici non sono certo stati superati e hanno un discreto peso, a livello scientifico e politico, e astensioni come quelle della Società Italiana di Fisica rischiano di alimentare lo scetticismo con gravi effetti sulle politiche ambientali di contenimento di un fenomeno che è tutt'altro che sottovalutabile.


lunedì 25 luglio 2016

Il fotovoltaico è una vera fonte energetica!

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Questo è un commento di Luis De Souza su un recente articolo di Ferroni e Hopkirk che hanno riportato un rendimento energetico negativo degli impianti fotovoltaici in Svizzera (in altre parole, un ritorno energetico, EROEI, minore di 1). E' un risultato anomalo, considerando che un'analisi complessiva del campo ha riportato valori di EROEI di 11-12 per la tecnologia fotovoltaica più comune. Quindi cosa c'è di sbagliato nell'articolo di Ferroni e Hopkirk? Molte cose, pare. Qui, De Souza mostra che il fotovoltaico è una fonte di energia, persino in un paese non molto soleggiato come la Svizzera. De Souza conclude che qualcosa è andato incredibilmente storto nella procedura di revisione della rivista che ha pubblicato l'articolo di F&H, “Energy Policy”. Questo sembra essere vero e potrebbe interessarvi di sapere che è stata preparata e sottoposta alla rivista una confutazione di quell'articolo da parte di un gruppo di ricercatori esperti nel campo dei calcoli energetici. La confutazione scopre molte cose sbagliate in più nell'articolo di F & H che in quelli identificati da De Souza. In breve, Energy Policy è riuscita a pubblicare uno studio pieno di errori che non avrebbe mai dovuto essere pubblicato in una rivista scientifica. Sfortunatamente è stato fatto ed ora un sacco di persone lo usano a supporto della guerra alle rinnovabili. (U.B.)




Il fotovoltaico non è uno spreco energetico in Svizzera

Di  Luis De Souza

Energy Policy ha di recente pubblicato uno studio condotto sul EROEI delle tecnologie fotovoltaiche (FV) installate in Svizzera. Il risultato finale è una cifra notevolmente bassa, cioè 0,8:1. Ben al di sotto di qualsiasi valutazione del EROEI mai condotta su questa tecnologia energetica.

Un tale valore ha naturalmente deliziato coloro che fanno campagne contro l'energia rinnovabile, che prende per oro colato qualsiasi indizio di prestazione negativa. Tuttavia, da questo studio emerge immediatamente un numero: il rendimento energetico medio del ciclo di vita di 106kWh/m2/a. A quanto pare, uno sguardo più ravvicinato a questo singolo valore è sufficiente a negare l'ipotesi che il fotovoltaico in Svizzera sia un pozzo energetico.

giovedì 21 luglio 2016

Uguaglianza e sostenibilità: possiamo averle entrambe?

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

Di Diego Mantilla




Guest post di Diego Mantilla

Recentemente, in questo blog, Jacopo Simonetta ha sollevato una domanda molto importante: una più giusta distribuzione del reddito in tutto il mondo diminuirebbe il danno che gli esseri umani stanno facendo alla terra? La sua risposta, che non lo farebbe e in realtà renderebbe le cose molto peggiori, mi ha intrigato. Quindi ho deciso di guardare i dati migliori disponibili.

Simonetta ha guardato nello specifico alla questione del se una distribuzione piì giusta del reddito ridurrebbe le emissioni globali di CO2. Nel 2015, Lucas Chancel e Thomas Piketty (da ora in avanti C-P) hanno scritto un saggio ed hanno messo online una serie di dati relativi che hanno affrontato la distribuzione globale del consumo delle famiglie e le emissioni di CO2e (biossido di carbonio equivalente = CO2 ed altri gas serra) nel 2013. I dati non sono perfetti, ma sono i migliori che esistono. La serie di dati di C-P coglie i valori delle Household Final Consumption Expenditures – HFCE (spese finali delle famiglie per il consumo) forniti dalla Banca Mondiale, usando la distribuzione del reddito della serie di dati di Branko Milanovic (che riguardano il 99% di quelli bassi) e quella del World Wealth and Income Database (che riguardano l'1% di quelli alti). (Il reddito non equivale al consumo e C-P ipotizzano che la distribuzione del reddito sia la stessa di quella del consumo. Inoltre, ipotizzano che la stessa distribuzione del reddito che c'era nel 2008 esistesse anche nel 2013. Come ho detto, la serie di dati non è perfetta).

lunedì 18 luglio 2016

In punta di piedi nel campo minato dell'energia rinnovabile

Da “Post Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg


Ho impiegato l'anno passato a lavorare con David Fridley e lo staff del Post Carbon Institute ad un libro appena pubblicato, Il nostro futuro rinnovabile. Il processo è stato un piacere: è stato un piacere lavorare con tutte le persone coinvolte (compresi i circa 20 esperti che abbiamo intervistato o consultato) e personalmente ho imparato moltissimo nel percorso. Ma abbiamo anche incontrato una sfida spinosa nell'elaborare un tono che informasse ma non alienasse il pubblico potenziale del libro.

giovedì 14 luglio 2016

La fine del “boom della popolazione”: il collasso di Seneca della popolazione irlandese durante la grande carestia

Da “Cassandra's Legacy”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

La storia della Grande Carestia in Irlanda è un chiaro esempio di “Collasso di Seneca”, cioè di un caso in cui il declino è più rapido della crescita. E' una cosa che ci aspetta a livello globale? (Fonte dell'immagine Rannpháirtí anaithnid - vecchio - presso la English Wikipedia) 


In un post precedente, ho sostenuto che molte proiezioni attuali sulla popolazione globale sono erroneamente basate sull'idea che la “transizione demografica” funzionerà al contrario. Cioè, spesso si ipotizza che le persone impoverite tendano a fare più figli e che quindi la popolazione mondiale continuerà a crescere anche nel bel mezzo delprofondo declino economico che potrebbe accompagnare una crisi di risorse e climatica (questa, per esempio, era l'ipotesi dello studio originale del 1972 “I limiti della crescita”).


Ho invece proposto che l'inizio di una grande crisi economica/climatica causerà una immediata riduzione dei tassi di nascite, in parte in conseguenza della salute in declino delle donne fertili e in parte di una reazione razionale da parte delle famiglie che capirebbero che possono prendersi cura solo di un numero limitato di bambini in una condizione di aumento di povertà in aumento.

Ovvero, non ci sarà un aumento della popolazione nel bel mezzo di una crisi e il declino dei tassi di nascite porterebbe immediatamente all'inizio di un declino mondiale della popolazione che potrebbe potrebbe anche assumere la forma di un vero e proprio “Collasso di Seneca”. Per sostenere la mia tesi, ho portato l'esempio della ex Unione Sovietica, la cui popolazione ha cominciato a declinare persino prima del collasso politico dell'Unione. Ho menzionato anche diversi esempi di altri paesi occidentali (vedi l'Italia) in cui i tassi di nascite sono scesi in parallelo col peggioramento delle condizioni economiche, al punto che stiamo cominciando a vedere un declino generale della popolazione.

Questa interpretazione è stata criticata nei commenti da alcuni che obbiettavano che sì, la mia idea potrebbe essere giusta per paesi relativamente moderni ed “Occidentalizzati”, ma non per le aree più povere come l'Africa e l'Asia. Questi commentatori hanno obbiettato che le persone di quelle aree continueranno a fare quanti più figli possibile a prescindere da cosa succede intorno a loro, apparentemente in conseguenza degli Imam che dicono loro di farlo (o a causa del malvagio dittatore Erdogan, o persone del genere).

Non credo che questa critica sia giusta e posso ribattere con un esempio. Conosciamo tutti la storia della carestia irlandese che ha avuto luogo fra il 1845 e il 1852 e che ha ucciso una grande percentuale della popolazione irlandese. Sappiamo qualcosa sul numero di morti e su quanti irlandesi sono emigrati, ma sappiamo relativamente poco sul modo in cui la carestia ha condizionato i tassi di nascite. Le donne irlandesi hanno cercato di compensare la mortalità più alta facendo più figli?

Su questo punto ho trovato uno studio completo fatto da Phelim P. Boyle e Cormac O Grada sul volume 23, n° 4 del novembre 1986 di “Demography”, pp. 543-562 (qui il link). Servono alcune ipotesi ed estrapolazioni per determinare i tassi di nascite irlandesi prima e dopo la carestia. Non riportano nemmeno dei grafici, ma solo tabelle. Tuttavia, la loro conclusione è chiara: il tasso di natalità è sceso con la carestia in Irlanda. In altre parole, le famiglie irlandesi non hanno cercato di compensare la loro maggiore mortalità facendo più figli, niente affatto.

Ciò è confermato da quello che sappiamo della popolazione irlandese nei decenni dopo la carestia. Anche se le forniture alimentari smisero di essere un problema, la popolazione continuava ancora a declinare o rimanere stabile ben oltre l'inizio del XX secolo. Gli irlandesi di allora non avevano buoni contraccettivi, ma sembra che ci siano riusciti principalmente ritardando l'età del matrimonio ed adottando uno stile di vita che scoraggiasse l'attività sessuale fra i giovani.

Ciò è rilevante per il caso di cui discuto qui. Nel XIX secolo, i contadini irlandesi erano cattolici (o, se preferite, “papisti”). La visione cattolica del matrimonio doveva essere allora (come è ancora oggi in alcune cerchie) quella per cui una coppia sposata debba avere quanti figli quanti gliene manda il Signore – cioè il maggior numero possibile. Dopo la carestia, gli irlandesi sono rimasti cattolici, ma hanno completamente trascurato il consiglio che potrebbero aver ricevuto dai loro preti. Si è trattato di una scelta del tutto razionale – gli irlandesi non erano stupidi.

Stiamo chiaramente discutendo di qualcosa di difficile da quantificare, ma tendo a pensare che la maggior parte delle persone su questo pianeta non siano così stupide come credono gli specialisti di pubbliche relazioni. Così, da questi esempi storici (Russia ed Irlanda) direi che una crisi economico/climatica futura sarà immediatamente accompagnata da un declino dei tassi di nascite e quindi della popolazione. Se questo succede, sarà una cosa buona in quanto la pressione sull'ecosistema verrà ridotta. Ciò non significa che avremo risolto tutti i problemi che abbiamo di fronte, ma perlomeno non dobbiamo preoccuparci del fatto che le persone peggiorino la situazione riproducendosi come conigli.




martedì 12 luglio 2016

Il bello delle grandi opere - come andrà a finire con il nuovo aeroporto di Firenze?


L'auditorium di Piazza del Mercato, a Fiesole, in provincia di Firenze. Annunciato nel 2003, avrebbe dovuto essere finito in due anni. Oggi, dopo oltre un decennio, questo gigantesco arnese in vetro e cemento giace abbandonato in una piazza, mai terminato. Un destino che potrebbe abbattersi su altre "grandi opere" in programmazione nella provincia di Firenze, incluso il nuovo mega-aeroporto nella piana di Sesto.


Alle volte ti sentiresti contento a poter dire di aver avuto ragione, anche se non ti hanno dato retta. In realtà, vedere che tutto è andato come tu e altri avevano previsto - ovvero malissimo - non ti da nessuna soddisfazione. Questo è il caso dell'auditorium di Fiesole, edificio che fu annunciato in pompa magna nel 2003 dall'allora sindaco come "una necessità irrinunciabile per la città."

A questo annuncio, molte associazioni locali reagirono con critiche; principalmente sulle dimensioni previste per l'auditorium. Fiesole è una piccola cittadina in cima a una collina: non ha gran che in termini di ricettività alberghiera, non ha grandi parcheggi adiacenti a dove doveva sorgere l'auditorium, e il servizio di autobus dal centro di Firenze non solo è scomodo, ma anche inesistente negli orari in cui opera di solito un auditorium. E allora, a cosa poteva servire un auditorium di 312 posti?

Ma, come vi potete immaginare, quelli di noi che si opponevano furono accusati di tutto e di più: di essere contro lo sviluppo, di essere contro i posti di lavoro, di volere il male di Fiesole; di essere nemici del popolo lavoratore. Mi ricordo che ci infamarono anche alcuni dei vecchietti della società filarmonica di Fiesole, la cui sede è stata inglobata poi nell'edificio. Sembravano convinti che il comune stesse costruendo l'auditorium apposta per fare un regalo a loro.

Così, i lavori per l'auditorium sono partiti e i "due anni" sono diventati oltre un decennio. Oggi, dopo 13 anni dal primo annuncio, se fate una passeggiata nella piazza del Mercato, a Fiesole, ci troverete l'oggetto in vetro-cemento che vedete nella foto, più sopra. Non c'è che dire, un bel pugno in un occhio; assolutamente sproporzionato per una piccola cittadina come Fiesole. Ma, peggio della sproporzione è il fatto che non è ancora finito e probabilmente non lo sarà mai.

In questo momento, l'amministrazione comunale di Fiesole sta lottando disperatamente per evitare la bancarotta dovuta a certe operazioni finanziarie alquanto disinvolte delle amministrazioni precedenti. Non è detto che ci riesca, ma anche se ci riuscisse non ci sarebbero certamente i soldi per finire l'auditorium. E, anche se qualcuno li trovasse, chi si prenderebbe all'anima di gestire un arnese del genere? Il comune, no di certo; un privato, forse? Ma chi prenderebbe in gestione un grande cinema-teatro in cima a una collina quando ci sono già decine di cinema e teatri nel centro di Firenze? Insomma, ti trovi a camminare davanti a questo arnese e ti viene lo sgomento (e dicono anche che ci piove dentro!).

Credo che ci sia più di una cosa da imparare da questa storia. Una è che io credo che quelli che hanno spinto per costruire l'auditorium non avevano il guadagno personale come obbiettivo - perlomeno non il principale. L'hanno fatto in perfetta buona fede; in nome della crescita economica. E, 15 anni fa, quando si cominciò a parlarne, sembrava in effetti abbastanza ovvio che quella fosse la giusta direzione. Se qualcuno avesse detto, allora, che il comune di Fiesole non si sarebbe potuto permettere di gestire un cinema-teatro, ti avrebbero guardato come un marziano. Si dovrebbe imparare da questo (ma non lo si imparerà) che il futuro è sempre diverso da quello che ti aspetti.

A proposito di non imparare dagli errori del passato, oggi è il turno del nuovo aeroporto di Firenze: guardate il progetto (foto da Kelebek)


Notate come la nuova pista va a piazzarsi nel mezzo di una zona altamente urbanizzata, con il centro storico di Firenze a pochi chilometri di distanza. Fra le altre cose, se realizzata, la nuova pista costringerà a spostare gran parte degli edifici del Polo Scientifico dell'università di Firenze, per non parlare della distruzione delle ultime zone verdi della piana.

Ma, a parte queste cosucce; la nuova pista non vi sembra una cosa sproporzionata? Serve, essenzialmente, a fare atterrare i grandi aerei carichi di turisti che oggi non possono atterrare sulla pista esistente. Evidentemente, nove milioni di turisti all'anno a Firenze sono considerati troppo pochi. Ma quanti turisti può effettivamente gestire una città come Firenze prima di scoppiare per il sovraffollamento? E siamo sicuri che continueranno ad aumentare per sempre?

Eppure, quando sentite il presidente della regione Toscana dichiarare “C’è una priorità assoluta: aeroporto, aeroporto, aeroporto” sembra di sentire il sindaco di Fiesole (fra l'altro suo compagno di partito) quando dichiarava che l'auditorium era una "priorità irrinunciabile."

Andrà a finire nello stesso modo?












domenica 10 luglio 2016

La sabbia del mondo scompare

Da “New York Times”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

Di Vince Beiser




Sally Deng 

La maggior parte degli occidentali che affrontano accuse penali in Cambogia ringrazierebbero le loro stelle fortunate nel ritrovarsi al sicuro in un altro paese. Ma Alejandro Gonzalez-Davidson, che è mezzo britannico e mezzo spagnolo, sta supplicando il governo di Phnom Penh di permettergli di presenziare al processo con tre colleghi cambogiani. Sono stati accusati, essenzialmente, di interferire con la raccolta di una delle risorse più preziose del XXI secolo: la sabbia.